A Taxi Driver (2017)
- michemar

- 13 apr 2020
- Tempo di lettura: 5 min

A Taxi Driver
Corea del Sud 2017 biografico 2h17’
Regia: Hun Jang
Sceneggiatura: Eom Yu-na
Fotografia: Go Nak-seon
Montaggio: Kim Sang-bum, Kim Jae-bum
Musiche: Jo Yeong-wook
Scenografia: Jeong Yi-jin, Jo Hwa-seong
Costumi: Jo Sang-gyeong
Song Kang-ho: Kim Sa-bok
Thomas Kretschmann: Jürgen Hinzpeter
TRAMA: Nel 1980, un tassista di Seoul viene ingaggiato da un giornalista straniero per condurlo nella città di Gwangju per l'intera giornata. Al loro arrivo, però, i due trovano una città sotto assedio da parte del governo militare e con i cittadini, guidati da un gruppo di studenti universitari, pronti alla rivolta in nome della libertà. Quella che è iniziata come una semplice corsa in taxi per i due diventerà presto una questione di vita o di morte.
Voto 7,5

Kim Sa-bok è un tassista di Seul. La sua dote principale nel traffico e nelle occasioni più intricate è la retromarcia, nonostante il suo taxi sia vecchio e con vari problemi di motore, dato che ha fatto più di 600.000 chilometri. La sua situazione sociale e familiare non è delle più felici e rilassanti. È vedovo e ha una bambina di sei anni che lascia a casa della moglie del suo padrone di casa per tutto il giorno, mentre cerca di sbarcare il lunario alla bell’e meglio. La sua attività non rientra in quella ufficiale di una compagnia, è un tassista autonomo e quindi fa salti mortali per trovare clienti. È un uomo sempre allegro, nonostante gli affari non vadano bene e sia indietro con il pagamento dell’affitto, cosa che gli viene spesso rinfacciata dalla signora. Oltre all’allegria che porta in giro, allo spirito ottimistico che lo accompagna, alla voglia di rimediare comunque alle avversità che lo affliggono e soprattutto alla furbizia con cui si procaccia con ogni mezzo gli sparuti clienti che serve, la sua dote principale resta la retromarcia. Gliela vediamo effettuare più volte, sin dalle prime sequenze: appena vede un intoppo nella strada che sta percorrendo, se si creano code, se la polizia sta fermando il traffico, lui non ci pensa due volte: innesta la marcia e percorre ad una velocità sostenuta e con una precisione che non è da tutti la strada all’indietro, per poter prendere appena possibile una deviazione e ricominciare la corsa. E ciò lo vediamo fare anche durante lo stesso viaggio. Insomma, non si perde mai d’animo, così come gli succede nella vita privata.

Non gli interessa la politica, di quello che succede agli altri (ha troppi problemi personali per perdere tempo per quelli altrui), sa approfittare del pur minimo invito per scroccare un lauto pasto e mettere a posto lo stomaco per qualche ora, rinvia sempre quella revisione definitiva al motore del suo taxi per evitare guasti gravi nel futuro, dopo si vedrà, adesso mancano sempre i soldi. A Seul la vita è caotica ma è la solita, con gente occupata che corre seguendo i propri percorsi. Kim Sa-bok non ha particolari interessi, si potrebbe definire quello che oggi identifichiamo con il termine qualunquista: a lui tutto va bene, purché si possa sfangare la giornata, tornare dalla sua bella bimba, riuscire a pagare l’arretrato della pigione, litigare per un compenso adeguato alla fine delle corse, sapendo che spesso i clienti si accorgono di aver dimenticato il portafoglio solo a destinazione. La vita intanto si trascina e Kim aspetta che prima o poi qualcosa di positivo gli succederà e la vita potrà avere una svolta. Sì, ma quale. Forse, in cuor suo sa che non succederà tanto facilmente. È così intento al suo mondo che non è mai al corrente di ciò che succede in altre città del suo Paese. Quando scaltramente soffia ad un altro tassista la prenotazione di un giornalista tedesco che deve recarsi urgentemente a Gwangju, una città nella Corea del Sud meridionale, distante centinaia di chilometri da Seul, riesce a pattuire un compenso che gli pare una vincita alla lotteria. E ci si butta a capofitto, senza conoscere, proprio a causa del suo modo di vivere, le difficoltà del viaggio e dei cambiamenti che stanno investendo la vita di quella città.

Lui ignora, tragicamente, quello che sta succedendo a Gwangju, ignora la rivolta popolare che sta agitando la città da quando, il 18 maggio 1980, il popolo e gli studenti in prima fila, come sempre succede nelle ribellioni, sono scesi nelle strade per protestare contro la durissima dittatura di Chun Doo-hwan, politico e generale che ha ricoperto la carica di presidente della Corea del Sud dal 1980 al 1988 e che a seguito della sua autorizzazione ai massacri ordinati per sedare la rivolta scoppiata contro la sua presidenza, fu condannato a morte nel 1996 (ma ricevette l'amnistia). Il giornalista tedesco, Jürgen Hinzpeter, che parla inglese per interloquire ma che Kim capisce solo parzialmente, è invece ben al corrente, anzi la sua missione è andare sui luoghi dei violenti scontri tra l’esercito e i ribelli per documentare il mondo occidentale sulla gravità dei fatti e sulla ferocia usata dal presidente, che autorizza i soldati a sparare sulla folla disarmata. Il viaggio e la breve permanenza a Gwangju coinvolgeranno drammaticamente Kim e il suo passeggero e se in primo momento il tassista pensa solo a salvare la pelle pensando di tornare in fretta a casa, all’improvviso verrà coinvolto emotivamente ed umanamente dalle tragiche vicende e ancora una volta farà la sua caratteristica retromarcia. Non con l’auto stavolta, ma con la vita, invertendo infatti il suo percorso esistenziale e andando dritto verso gli ideali patriottici, mettendo a rischio la sua vita pur di salvare Hinzpeter e il materiale filmico che questi ha girato nelle strade insanguinate. È una decisione importante per la sua vita e la attua di impeto e con coraggio, senza rendersi conto dell’importante contributo che dà riportando in salvo il reporter, il quale finalmente potrà mettere al corrente l’opinione pubblica mondiale dei fatti accaduti. La persona qualunque diventa quindi un piccolo eroe.

La mia esposizione, si potrà notare, è iniziata come se riguardasse una commedia o una piccola storia di avventura ed è poi ripiegata verso il dramma: è proprio ciò che succede a questo bellissimo film, in cui il valente regista Hun Jang riesce agevolmente ad attraversare diversi registri. All’inizio infatti sembra una commedia, caratterizzata come fosse solo un simpatico buddy-movie on the road, con due personaggi molto differenti che mal si sopportano e che affrontano una infinità di difficoltà pratiche e umane attraversando tante situazioni paradossali. Toccando anche attimi di thriller e di azione, si arriva al termine alle scene di vero eroismo e il film, che fino ad allora dà l’idea di una semplice commedia anche un po’ divertente, vira all’improvviso verso il dramma di eroismo civile. È qui che il film tocca l’emozione personale, arriva al cuore, senza affondare nella retorica, mostrando nonostante tutto il viso piacione e rotondo del simpaticissimo attore che interpreta il tassista Kim, il mitico Song Kang-ho che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi film di grande successo del cinema sudcoreano, da Memorie di un assassino e da Snowpiercer (recensione) fino al premiatissimo Parasite (recensione), tutti di Bong Joon Ho. Un attore capace di assumere con abilità le vesti di protagonista in film di generi differenti, ormai divenuto un simbolo di quel cinema orientale.


È una bella trama? In realtà è una storia vera! Tutto vero sotto il cielo sudcoreano, giustamente spiegato nei sottotitoli finali in cui il regista ci mostra il vero volto dei due protagonisti, raccontando come il vero Jürgen Hinzpeter abbia cercato disperatamente e con ogni mezzo di ricongiungersi in seguito con Kim Sa-bok ma invano, perché il piccolo eroe alla fine dell’avventura preferì sparire nell’anonimato per tornare a fare il mestiere di sempre. Una scelta che conferma come egli sul campo di battaglia abbia assunto quella decisione importante solo per generosità, solo perché in quel tragico momento lo ritenne giusto, per sé e per le belle amicizie che erano nate per le strade di Gwangju. E per il legame che ormai lo aveva legato per sempre al reporter. Non per la gloria ma per scelta. Non è retorica e non vuole esserlo, è proprio la malinconica sensazione che si prova alla fine della visione del film, che – senza saper nulla prima – sorprende ed emoziona. Un film che si fa prendere, così per dire, sottogamba e alla fine conquista.






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