Agente 007 - Una cascata di diamanti (1971)
- michemar

- 15 nov
- Tempo di lettura: 4 min

Agente 007 - Una cascata di diamanti
(Diamonds Are Forever) UK, Francia, USA, Olanda 1971 spionaggio 2h
Regia: Guy Hamilton
Soggetto: Ian Fleming
Sceneggiatura: Richard Maibaum, Tom Mankiewicz
Fotografia: Ted Moore
Montaggio: Bert Bates, John W. Holmes
Musiche: John Barry
Scenografia: Ken Adam
Costumi: Elsa Fennell, Donfeld, Ted Tetrick
Sean Connery: James Bond
Jill St. John: Tiffany Case
Charles Gray: Ernst Stavro Blofeld
Lana Wood: Plenty O’Toole
Jimmy Dean: Willard Whyte
Bruce Cabot: Saxby
Lois Maxwell: Miss Moneypenny
Norman Burton: Felix Leiter
Joseph Furst: dott. Metz
Bruce Glover: Mr. Wint
Putter Smith: Mr. Kidd
Marc Lawrence: Impiegato della Slumber A
Laurence Naismith: Sir Donald Munger
David Bauer: Mr. Slumber
Sid Haig: impiegato della Slumber B
Joe Robinson: Peter Franks
Desmond Llewelyn: Q
Bernard Lee: M
TRAMA: Il mercato mondiale dei diamanti è sconvolto da un improvviso aumento di acquisti da parte di ignoti compratori. L’incarico di far luce sulla vicenda viene affidato a James Bond, che indagando tra gli Stati Uniti e l’Olanda scopre che i preziosi servivano a finanziare un micidiale complotto.
VOTO 6,5

Guy Hamilton aveva già diretto Goldfinger ed ora rieccolo alla regia di questo e di altri due (Vivi e lascia morire e L’uomo dalla pistola d’oro. Siamo al settimo film della saga di James Bond e sesto e ultimo della Eon interpretato da Sean Connery dopo la temporanea parentesi dell’australiano George Lazenby. L’attore, rivoluto fortemente, fu ricompensato benissimo con uno stipendio record di 1,25 milioni di dollari. I produttori si vollero ispirare al successo di Goldfinger e quindi, come per quel film, fu richiamato il regista e Shirley Bassey ad eseguire la canzone del titolo sperando in un clamoroso e nuovo successo. E difatti fu un successo commerciale, anche se non è considerato tra i migliori film della serie.

In questo film, si racconta come l’agente 007 sia sulle tracce di Ernst Stavro Blofeld (Charles Gray) per vendicare l’assassinio della moglie nel precedente episodio e lo ritrovi in una struttura in cui vengono creati sosia per mezzo della chirurgia plastica. Bond uccide un soggetto di prova e quindi il vero Blofeld, annegandolo in una pozza di fango surriscaldato. Mentre i killer Mr. Wint e Mr. Kidd uccidono sistematicamente diversi commercianti di diamanti, M (sempre Bernard Lee) sospetta che i preziosi sudafricani vengano accumulati per abbassarne il prezzo a livello di dumping, e così incarica Bond delle indagini, il quale, fingendosi trafficante e killer, si reca ad Amsterdam per incontrare il contatto, l’avvenente Tiffany Case (Jill St. John), ma il piano è intralciato dall’arrivo del vero sicario, sicché l’agente deve eliminarlo spacciandolo per se stesso. I due si recano a Los Angeles contrabbandando i diamanti all’interno del cadavere del killer. Le danze spionistiche hanno così inizio.

Se si vuole essere obiettivi, questo è indubbiamente un Bond che brilla più per il carisma di Sean Connery che per la coerenza narrativa, perché salta subito agli occhi che sia un cocktail di glamour, assurdità e inseguimenti lunari che segna purtroppo la fine di un’epoca. E se si vuole anche scherzare, si può affermare che se il film fosse un gioiello, sarebbe uno di quelli vistosi e scintillanti, ma con qualche zircone al posto del diamante vero. Questo ritorno di Sean Connery segna un tono più giocoso, quasi parodico, rispetto ai Bond precedenti. Ma l’impareggiabile attore è il vero asse portante: elegante, ironico, imperturbabile anche quando guida un moon buggy nel deserto o si ritrova in un inseguimento acrobatico tra le luci di Las Vegas. La sua presenza è talmente magnetica da rendere credibili anche le scene più improbabili, come il satellite laser di Blofeld o le gemelle assassine. Impossibile non essere d’accordo con tutta la critica dei tempi che scriveva che Connery era proprio nato per quel ruolo e nessuno era in grado di sostituirlo, capace di mantenere il sangue freddo anche in situazioni da cartone animato.

Come capita in questi casi, io dico sempre che nelle saghe di successo, anche questa volta la trama è solo un pretesto, specialmente quando, come qui, le vicende appaiono abbastanza poco realistiche e si assiste ad una discesa nell’assurdo, dove il traffico di diamanti si mescola a sosia di Blofeld e piani di conquista spaziale. Ma in fondo, chi guarda un Bond per la logica? Qui conta il momento, il ritmo, il glamour. E in questo, il film non delude. Il cast di contorno, però, zoppica. Charles Gray è un Blofeld troppo raffinato per essere minaccioso, mentre Jill St. John, prima Bond girl americana, è più fastidiosa che affascinante. Anche il finale, pur ricco di esplosioni, manca di tensione e lascia un retrogusto amaro: Connery meritava un’uscita di scena più epica.

Eppure, tra le note di Shirley Bassey (nella versione italiana della canzone, il testo è di Gianni Boncompagni) e le acrobazie automobilistiche, il film conserva sempre il suo fascino: è il Bond che non si prende troppo sul serio, che gioca con il proprio mito, e che ci ricorda che a volte anche l’assurdo può essere divertente.

Riconoscimenti
Oscar 1972
Candidatura miglior suono






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