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American Beauty (1999)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 feb 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 20 feb

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American Beauty

USA 1999 dramma 2h2’


Regia: Sam Mendes

Soggetto: Alan Ball

Sceneggiatura: Alan Ball

Fotografia: Conrad L. Hall

Montaggio: Tariq Anwar, Christopher Greenbury

Musiche: Thomas Newman

Scenografia: Naomi Shohan

Costumi: Julie Weiss


Kevin Spacey: Lester Burnham

Annette Bening: Carolyn Burnham

Thora Birch: Jane Burnham

Wes Bentley: Ricky Fitts

Mena Suvari: Angela Hayes

Chris Cooper: col. Frank Fitts

Peter Gallagher: Buddy Kane

Allison Janney: Barbara Fitts


TRAMA: Il momento più significativo della giornata di Lester Burnham è la quotidiana masturbazione sotto la doccia. Per il resto la sua vita scorre sempre uguale con un lavoro che odia, una moglie e una figlia che lo detestano e che lo considerano solo un perdente. Ma un giorno conosce Angela, la compagna di scuola di sua figlia, e rimane folgorato dalla sua sensualità. Da quel momento la sua vita cambia: si licenzia, ottiene una buona liquidazione e comincia a vivere per davvero. L'amicizia con il nuovo vicino Ricky, spacciatore di marijuana ossessionato dal padre neonazista, fa capire a Lester che la vita val la pena di essere vissuta fino in fondo.


Voto 8,5


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Piovono petali di rose. Il profumo della rosa rossa copre quello che riesce a nascondere, all’occhio e al naso, quindi a ciò che percepiamo. Perché quello che abbiamo percepito nella esistenza quotidiana di una famiglia tipo e tipicamente american non emana un buon odore, è piuttosto l’olezzo che viene dalla vita ipocrita, dallo status raggiunto, dal suv sempre pulito, dai sorrisi prestampati. Copriamo con i petali cremisi il grigio che vogliamo nascondere: American Beauty era in origine American Rose nelle mani dell’autore del soggetto, Alan Ball, che pensava così di stendere il classico velo pietoso sulla famiglia tipo americana contemporanea. L’onda lunga dell’edonismo reaganiano aveva prodotto una società dove l’importante era arrivare, avere una gran bella abitazione, un bel giardino in cui coltivare rose e godersi l’agiatezza. Intanto, queste persone, che si sforzavano di vivere una vita costruita, una volta raggiunto questo obiettivo, si chiedevano nei pochi momenti di lucidità perché non si sentivano felici. Lester Burnham intuisce, proprio nei momenti di massima apatia e profondo grigiore esistenziale, che la via della felicità è finalmente trasgressiva e porta a desiderare l’amichetta procace della figlia, a fumare marijuana, ad ascoltare a palla il rock.


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Il pugno nello stomaco arriva col guanto e non ti fa male subito, piuttosto ti manda al tappeto lentamente, con un sorriso ebete, come quello ormai fisso stampato sulla bocca di Lester. Il quale dà inizio al film come fece a suo tempo il Joe Gillis de Il viale del tramonto di Wilder: “Mi chiamo Lester Burnham. Questo è il mio quartiere, questa è la mia strada. Questa è la mia vita. Ho 42 anni. Fra meno di un anno sarò morto”.


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Sam Mendes, che veniva dal teatro, approdava al cinema e neanche il più esaltato regista poteva immaginare di vincere l’Oscar al suo primo film e con il merito di portare al massimo della recitazione un attore come Kevin Spacey, vincitore finalmente come attore protagonista, dopo quello non protagonista del personaggio-cult Keyser Söze. Ma è tutto il cast che vibra e recita all’unisono. Annette Bening, nei panni di Carolyn moglie di Lester, riesce a dare con perfezione chirurgica l’idea di una moglie egocentrica ed egoista, con le sue smorfiette di donna plastificata; Thora Birch e Mena Suvari, finora praticamente sconosciute, sono il frutto inevitabile di quella fascia di borghesia solo apparentemente soddisfatta e infelice: la prima è Jane, silenziosa testimone del disfacimento della famiglia Burnham alla ricerca di stimoli nuovi; la seconda è la sua amica Angela, che sfida un adulto per provare a se stessa e agli altri il suo potenziale erotico. Da contraltare emergono altri due personaggi: il serioso Ricky (Wes Bentley) che con la sua telecamera spia il mondo circostante e ne rivela gli aspetti più ipocriti e tetri, come fosse il nostro occhio spaventato e inebetito e il colonnello Fitts, interpretato alla perfezione dal bravissimo attore, sempre in secondo piano in grandi film, Chriss Cooper, la cui espressione arcigna e la sua rigidità militaresca si sgretolano davanti alla evoluzione dei fatti.


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Grande, grandissimo film di contenuti, di interpretazioni e di regia, scritto con la sceneggiatura implacabile dall’autore del soggetto, Alan Ball.


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Riconoscimenti

Premio Oscar 2000

Miglior film

Miglior regia

Miglior attore protagonista a Kevin Spacey

Migliore sceneggiatura originale

Migliore fotografia

Candidatura miglior attrice protagonista a Annette Bening

Candidatura miglior montaggio

Candidatura miglior colonna sonora

Golden Globe 2000

Miglior film drammatico

Miglior regia

Migliore sceneggiatura

Candidatura miglior attore in un film drammatico a Kevin Spacey

Candidatura miglior attrice in un film drammatico a Annette Bening

Candidatura miglior colonna sonora originale

Premio BAFTA 2000

Miglior film

Miglior attore protagonista a Kevin Spacey

Migliore attrice protagonista a Annette Bening

Migliore fotografia

Miglior montaggio

Miglior colonna sonora

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior attore non protagonista a Wes Bentley

Candidatura miglior attrice non protagonista a Thora Birch

Candidatura miglior attrice non protagonista a Mena Suvari

Candidatura miglior sceneggiatura originale

Candidatura miglior scenografia

Candidatura miglior trucco

Candidatura miglior sonoro



 
 
 

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