American Gigolò (1980)
- michemar
- 14 mar 2024
- Tempo di lettura: 4 min

American Gigolò
(American Gigolo) USA 1980 dramma/poliziesco 1h57’
Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Fotografia: John Bailey
Montaggio: Richard Halsey
Musiche: Giorgio Moroder
Scenografia: Ed Richardson
Costumi: Giorgio Armani, Alice Rush, Bernardene C. Mann
Richard Gere: Julian Kay
Lauren Hutton: Michelle Stratton
Héctor Elizondo: detective Sunday
Nina Van Pallandt: Anne
Bill Duke: Leon
Brian Davies: Charles Stratton
K Callan: Lisa Williams
Tom Stewart: Mr. Rheiman
Patti Carr: Judy Rheiman
TRAMA: Julian Kay, di professione gigolò, diventa l’amante di Michelle, moglie del senatore Straton. L’agente per il quale lavora, Leon Jaimes, lo mette in contatto con i Rehiman, una coppia di coniugi perversi. Quando la signora Rehiman viene assassinata, Straton fa ricadere i sospetti su Julian.
Voto 6,5

Julian, accompagnatore a pagamento per donne facoltose di Los Angeles, ha tutto ciò di cui ha bisogno: stile, un bell’aspetto, guida una Mercedes decappottabile e incontra donne ricche e belle. È, quello che si suol dire, un gigolò. Le sue clienti adorano avere a fianco un accompagnatore bello e intelligente e soprattutto così elegante e per loro è lo svago momentaneo, lo sfogo del tempo libero mentre i mariti sono occupati. Egli ha due procacciatori di lavoro, in pratica due protettori, Anne, una maîtresse di origini svedese, e Leon, un magnaccia afroamericano attivo nel giro dei gay club. Tuttavia i rapporti non sono perfettamente armoniosi e scricchiolano perché Julian è anche un po’ arrogante nella sua sicurezza ma anche perché non disdegna orchestrare traffici secondari. Inoltre, non è raro che da solo pattuisca, con le sue clienti, il compenso, intascando più denaro del previsto. Succede anche quando Leon si accorda con un cliente molto particolare che cerca dal giovanotto una prestazione alquanto spinta. Julian accetta spavaldamente come fa sempre ma la serata va diversamente e si ritrova nei guai. È, come detto, un gigolò ma non si sarebbe mai aspettato una richiesta sadomaso di una coppia decisamente depravata e quando la moglie del cliente viene ritrovata uccisa quella stessa notte, i sospetti ricadono intuibilmente su di lui, sebbene in quel momento fosse altrove, naturalmente con un’altra donna. Il problema è che questa non ha alcuna voglia di testimoniare per discolparlo per timore di essere scoperta dal marito.
Sesso a pagamento e giallo, erotismo e edonismo: Richard Gere, che ha avuto il ruolo dopo il rifiuto di attori importanti come Christopher Reeve, Chevy Chase e John Travolta, imbecca il film giusto per esaltare la sua presenza fisica e il periodo esplosivo degli anni 70/80, che Paul Schrader, autore provocatore e osservatore dei tempi appena al terzo film, fotografa in maniera spietata, è l’ambientazione adatta per far nascere il mito di un attore bellissimo e sciupafemmine. Il calvario che il suo Julian deve affrontare è un percorso da compiere su un sottile filo d’acciaio, dove è difficile mantenere l’equilibrio sotto le spinte degli avvenimenti che lui non si sarebbe mai sognato di trovare davanti. Ha un innegabile sex appeal e le donne di mezza età – quelle che in tempi più attuali vengono definite MILF – lo cercano volentieri, ma lui non è affatto alla ricerca di sesso: ritiene semplicemente che è il suo lavoro, come qualsiasi altro.
Lavoro che ha molti risvolti positivi per la sua vita: soldi, eleganza (gira con abiti firmati Armani, stilista che ha fornito tutto il guardaroba necessario, quindi pienamente ritenuto nel cast tecnico) e auto di lusso. In più si sente desiderato. È il massimo della vanagloria per un uomo senza altre ambizioni, se non quello di godere il presente. Ma la realtà lo risveglia bruscamente dal torpore creato dalle comodità. Per giunta quando il suo magnaccia vola giù da una finestra. Tutto gli si sta ritorcendo contro e le donne che lo cercavano adesso provano ad evitarlo per non essere scoperte. In poche parole, chi gli può fornire l’alibi per essere scagionato non può e non vuole parlare. Per la prima volta, Julian si sente solo, la sua bella facciata da accompagnatore si sta sgretolando. Quando anche Anne e Leon lo scaricano, il suo destino sembra segnato.
La trama dimostra quanto sia essenzialmente un trattato sulla solitudine. Nessuno fu mai più solo di questo affascinante disperato. “Quando dormi con me”, dice, “impari di più su di me che quando parliamo”. Si rivela un gigolò in abito sartoriale, che tutti apprezzano, ma che deridono, sfruttato quando serviva, è un giocattolo, niente di più. Alla fine, quando chiede aiuto, disperato e solo, non c’è più nessuno. E qui viene fuori l’attore, quello che deve recitare per davvero, non solo apparire in nudo frontale integrale.

Paul Schrader realizza un film sufficientemente convincente e ha la grande intuizione e abilità di creare immagini che hanno segnato il cinema di quegli anni, iconografiche e di moda, stabilendo uno stile rivoluzionario, accentuato tutto ciò dalla colonna sonora di Giorgio Moroder e dalla hit “Call me” dei Blondie, entrambe candidate ai Golden Globe. Facendo diventare Richard Gere un mito istantaneo, permettendogli di iniziare una carriera importante: è vero che aveva appena alle spalle il bellissimo I giorni del cielo di Terrence Malick, ma solo dopo questo film arrivò il boom di Ufficiale e gentiluomo, la consacrazione. Nel frattempo, era divenuto il sex symbol per eccellenza.
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