American Skin (2019)
- michemar

- 28 mag 2021
- Tempo di lettura: 5 min

American Skin
USA 2019 dramma 1h29’
Regia: Nate Parker
Sceneggiatura: Nate Parker
Fotografia: Kay Madsen
Montaggio: Matthew Feinman, Billy Weber
Musiche: Henry Jackman
Scenografia: Geoffrey Kirkland
Costumi: Tiffany White Stanton
Nate Parker: Lincoln 'Linc' Jefferson
Omari Hardwick: Omar 'Derwood' Scott
Theo Rossi: Dominic Reyes
Shane Paul McGhie: Jordin King
Milauna Jackson: Tayana Jefferson
Beau Knapp: Mike Randall
Tony Espinosa: KJ, Kajani Jefferson
Larry Sullivan: Clay Dwyer
Michael Warren: Melvin
Allius Barnes: Jayden
James C. Burns: Russell Mosier
Trama: Lincoln Jefferson è un veterano della Marina – ora bidello in una prestigiosa scuola media in California – che cerca di recuperare il rapporto con il figlio dopo il divorzio. Un giorno, in seguito a un banale controllo della polizia, il ragazzo viene ucciso ma l'agente colpevole di avergli sparato viene dichiarato innocente senza essere processato. Deluso dal fatto di non aver avuto un procedimento equo, Lincoln prenderà in ostaggio l'intera stazione di polizia, mettendo su lui stesso un vero e proprio processo dove la giuria sono i detenuti e la gente comune, sostituendosi di fatto allo Stato per dare finalmente giustizia al figlio.
Voto 6

A dirigere è Nate Parker, sceneggiatore e attore statunitense, che da qualche anno ha iniziato a girare alcuni film da regista portando avanti una battaglia che sente ormai come una missione di vita. Nato in Virginia nel 1979, Parker ha trascorso infatti gran parte della sua vita e della sua carriera combattendo le ingiustizie sociali e creando contenuti che affrontano le disparità delle comunità emarginate in tutto il mondo. Il suo esordio nel lungo è stato appunto The Birth of a Nation - Il risveglio di un popolo, in cui il protagonista Nat è uno schiavo letterato e predicatore che, dopo essere stato testimone delle innumerevoli atrocità commesse ai danni dei compagni di schiavitù, escogita un piano per condurre la sua gente verso la libertà. Questo film si guadagnò il Sundance Grand Jury Prize Award 2016 e il Premio del pubblico. I recenti fatti di cronaca, le manifestazioni a proposito del Black Lives Matter e specialmente il brutale assassinio di George Floyd avvenuto per mano di un poliziotto il 25 maggio del 2020 a Minneapolis, lo hanno fortificato nei suoi convincimenti e ha deciso di puntare maggiormente nel realizzare film che portano in primo piano la battaglia della parità dei diritti dei neri. Ad aiutarlo nell’impresa ci ha pensato l’amico e sodale Spike Lee che ha anche prodotto questo film, portandolo in anteprima mondiale al Festival del cinema di Venezia 2019.

La trama ricalca più o meno ciò che succede spesso per le strade americane e più volte raccontato da diversi film: l’alt imposto dalla polizia ad una macchina guidata da un cittadino di colore, i controlli severi, le minacce con le armi, la reazione a volte nervosa del soggetto e la situazione che precipita, spesso concludendosi con spari e ferimenti se non l’uccisione del fermato. È proprio ciò che succede al figlio del protagonista Lincoln Jefferson detto Linc, interpretato dallo stesso regista. Il giovane, KJ infatti, un giorno viene fermato per un controllo della polizia assieme al padre e siccome egli, immaginando il sicuro abuso che sta avvenendo, filma con il suo smartphone la scena e la discussione con gli uomini dell’ordine si accende fino al punto che questi sparano al ragazzo, che rimane ucciso. Il processo che ne segue assolve il poliziotto che ha esploso i colpi, lasciando nella totale disperazione i genitori, acuita dal fatto che ancora una volta non è stata fatta giustizia. È appunto quello che si legge sovente e che ha dato tutte le volte adito alle proteste e spesso alle manifestazioni violente del popolo discriminato.

Linc è un veterano dei Marines tornato dall’Iraq e come tante volte il cinema ci ha mostrato si sente trascurato dal governo, anche per aver avuto problemi a trovare un’occupazione al ritorno alla vita civile. Adesso lavora come custode in un prestigioso liceo della California, un lavoro che si è trovato per garantire l'iscrizione alla scuola del figlio quattordicenne, KJ. Per lui sogna, come ogni padre, una bella carriera da studente e chissà una borsa di studio in un buon college: il ragazzo è bravo e, impegnandosi, promette bene. Tutto crolla quella sera, ogni sogno svanisce e si apre una voragine psicologica dopo la morte. Linc è un uomo tranquillo e nulla fa pensare che invece sta organizzando una nuova “missione” assieme ai suoi fedeli commilitoni. Il processo giusto verso il poliziotto deve essere celebrato, non quella farsa a cui ha assistito. Come fare? Entrare nella stazione di polizia con i suoi amici equipaggiati come in guerra, barricarsi all’interno e sequestrare tutti, creando una giuria con i presenti, dipendenti civili e avventori che siano, e costringerli dopo un regolare dibattito processuale ad esprimere un verdetto obiettivo.

Un po’ John Q (di Nick Cassavetes), maggiormente come nel celeberrimo La parola ai giurati di Sidney Lumet (recensione), Nate Parker imbastisce una (troppo) lunga sceneggiatura per mettere sotto accusa la polizia in genere, che tanto spesso ha dato origine ad abusi di comportamenti autoritari anche tragici, ma in particolare Mike Randall, l’autore di quello che lui ritiene un vero delitto. L’idea gli era nata quando una troupe dilettante di tre studenti erano andati ad intervistarlo a casa per girare un documentario sulla drammatica vicenda: l’ideale per portarseli dietro e far registrare il processo e mandarlo in onda. Una vendetta, una disperata richiesta di giustizia da rendere pubblica e far clamore, un modo eclatante per interessare tutta l’opinione pubblica alla vicenda capitata alla sua famiglia.

L’operazione di Nate Parker è ambiziosa ma anche velleitaria, pur se caldeggiata da un produttore che si chiama Spike Lee, che se dagli esordi ha sempre portato avanti la questione della discriminazione razziale, oggi ha aumentato il tasso del problema nelle sue ultime opere. Le intenzioni sono ottime, l’idea di fondo è sicuramente buona e i presupposti per realizzare un buon film ci sono tutte, ma ciò che si avverte è che, forse data l’inesperienza che ancora è comprensibile per un neoregista, si assista ad un film pieno di stereotipi, di prevedibile e forse anche di momenti di forzature. Qui e là punte di retorica e di enfasi, qualche eccesso di frasi stentoree o epiche, ma, in fondo, tutto rientrante nella fattispecie di cinema di denuncia quando si vuol urlare il desiderio di giustizia. Non è certamente da tutti essere misurati ed efficaci, Parker imparerà. Il tragicissimo finale sembra inevitabile: non può finire con baci e abbracci. Un classico.

Le motivazioni del regista sono chiare: “Nel 2014, dopo la morte di Michael Brown, sono andato a Ferguson, nel Missouri, per capire meglio le tensioni tra le forze dell'ordine e i giovani uomini e donne di colore. Il momento più tragico di questo viaggio è arrivato quando mi sono trovato in centro città tra due gruppi di cittadini infuriati. Da una parte sentivo urlare lo slogan ‘Giustizia per Mike Brown’ e dall'altra quello di ‘Sostieni la nostra polizia’. La cosa che ho notato all'istante è stata quella profonda diversità dell'idea che abbiamo di cittadinanza, di applicazione della legge, e la nostra responsabilità di preservare la vita. Come cittadino americano, padre, fratello, figlio e artista, mi sono sentito obbligato a utilizzare la mia piattaforma di film-maker per rispondere a questa crisi, non solo per promuovere l'equità sociale, ma avviare anche un cambiamento culturale globale che possa portare a preservare delle vite umane. Se questo film riuscirà a salvare anche solo una vita, allora avrà raggiunto il suo scopo principale. Cosa mi aspetto?", ha poi concluso, "La risposta è semplice. Verità, pacificazione e riconciliazione. L'America, come nazione, potrebbe sembrare in declino, ma non siamo finiti. Affrontando questioni difficili come quelle che riguardano la razza, la paura e le divisioni culturali, possiamo impostare una rotta verso un'autentica riconciliazione razziale. Cosa che, in caso di successo, potrebbe diventare un modello per affrontare altre questioni sistemiche in America e nel mondo.”
Mi sarei aspettato di più dal film, ma non sono del tutto d’accordo con i giudizi che la vedono come opera mediocre, la sufficienza è d’obbligo, sia per aver organizzato un discreto film, sia per i nobili intenti. Oltre che per una apprezzabile recitazione di tutti gli attori.






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