Amira (2021)
- michemar

- 5 set 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Amira
Egitto/Giordania/Em.Arabi/ArabiaSaudita 2021 dramma 1h38’
Regia: Mohamed Diab
Sceneggiatura: Mohamed Diab, Khaled Diab, Sherin Diab
Fotografia: Ahmed Gabr
Montaggio: Ahmed Hafez
Musiche: Khaled Dagher
Scenografia: Nael Kanj
Costumi: Hamada Atallah
Tara Abboud: Amira
Saba Mubarak: Warda
Ali Suleiman: Nuwar
Waleed Zuaiter: Said
Ziad Bakri: Basel
Suhaib Nashwan: Ziad
Reem Talhami: nonna
Samira Al Asir: Reema
Kais Nashif: Hani
Saleh Barki: Etai
TRAMA: Amira, una diciassettenne palestinese, è stata concepita in maniera fortuita, grazie allo sperma trafugato del padre Nuwar, rinchiuso in prigione. Sebbene sin dalla nascita la loro relazione si è limitata alle visite in carcere, Nuwar è l'eroe della figlia, costretta a compensare la sua assenza con l'amore e l'affetto di chi la circonda. Quando un altro tentativo di avere un figlio fallisce e porta alla luce l'infertilità di Nuwar, l'intera esistenza di Amira viene rimessa in discussione. Contro il parere della sua stessa famiglia, la giovane si metterà sulle tracce del padre biologico cercando di salvare ciò che resta della sua identità mentre il suo mondo cade a pezzi.
Voto 8

Quanto sia forte il legame d’affetto nella famiglia di Nuwar lo si nota immediatamente sin dalle prime sequenze: quando la moglie Warda e la figlia Amira si recano col taxi del fidanzato di quest’ultima al carcere nei territori occupati dove sono detenuti i palestinesi da parte degli israeliani sono truccate e ben vestite per comparire belle davanti al loro uomo, seppur dietro al cristallo che li divide nel parlatorio. Warda è molto bella e ancor più per come si prepara per far visita al marito tenuto prigioniero per motivi politici da molti anni, troppi anni. Sin da quando non era ancora nata Amira, concepita attraverso l’inseminazione artificiale dopo un trasporto contrabbandato del suo sperma con l’aiuto degli agenti della prigione, compiacenti nel loro compito ben compensato. Difficile prevedere quanto tempo ancora l’uomo rimarrà nella cella. Come fare a sperare di regalare alla ragazza un fratellino? Evidentemente con lo stesso sistema, ammesso che il traffico sia ancora in essere. Amira, nel frattempo, ha coltivato la passione e il lavoro del padre: fa la fotografa in città (non precisata, una qualsiasi della Palestina, come tiene a precisare il bravissimo regista egiziano Mohamed Diab, “una vale l’altra”, dice).

Questa idea, che però vede il viso della donna corrucciarsi, come se di difficile attuazione, viene discussa brevemente e poi anche per telefono (altro sistema abusivo) e quindi prendono la decisione di procedere, per la felicità del carcerato. Se è potuta nascere Amira, si potrà rifare ugualmente con un altro concepimento in ospedale. E proprio a causa di questo piano si scopre una realtà inaspettata, impensabile e sconvolgente per tutta la famiglia dell’uomo. Dall’esame del suo sperma si scopre che Nuwar è congenitamente sterile, a causa dell’ipogonadismo di cui è affetto. Una notizia che stravolge non solo il progetto ma l’atmosfera dell’intera famiglia. Di chi è allora figlia Amira? Lo sperma di chi è stato utilizzato per la fecondazione a suo tempo? Qualcuno ha tradito la fiducia dell’uomo in carcere e, soprattutto, Warda ha avuto una relazione con un altro uomo tenuta segreta a tutti? Tradendo anche l’intera organizzazione paramilitare che copre le azioni palestinesi, comportamento che non verrebbe mai perdonato, anche per la grave mancanza di rispetto per un prigioniero politico? A queste domande è difficile sapere quale è la risposta più grave. La signora Warda è in difficoltà e deve decidere se ammettere un adulterio – come in effetti comincia a fare – o dare credito all’ipotesi della figlia secondo cui qualcuno ha sostituito il liquido seminale durante il tragitto carcere-ospedale. Lei sa benissimo che questa ipotesi distruggerebbe il morale di Amira, così legata al padre, rendendosi conto di non appartenere a quell’uomo che ama così tanto, che considera un eroe, a cui pensava di rassomigliarsi fino a continuare la sua attività di fotografo. Warda si chiede cosa sia per la ragazza la “verità” più scomoda e demoralizzante: per questo prende la tremenda decisione di inventarsi il tradimento ben sapendo che ciò le distruggerebbe la reputazione e costerebbe la sicura espulsione dalla famiglia dell’uomo, oltre al disprezzo che subirebbe da tutto l’ambiente. Ma è la soluzione che farebbe soffrire di meno Amira. La quale intuisce perfettamente il pesante sacrificio che le sta offrendo la madre e, per togliere ogni dubbio, fa sottoporre all’esame del DNA le tante persone che girano intorno alla sua casa e a sua madre, inutilmente: ma il sospetto che si affaccia, terribile, molto terribile, infinitamente tragico per la sua vita, è che il padre biologico potrebbe benissimo essere il soldato israeliano che ha fatto da tramite. Lei, quindi, è di sangue ebreo? Figlia di un nemico giurato? Sarebbe rifiutata da tutto il suo ambiente, dalle altre studentesse, dalla città intera. Una macchia inestinguibile che le rovinerebbe la vita. Per sempre.

Decide allora, dato che è l’ipotesi più verosimile e attendibile, di varcare clandestinamente il confine presidiato dai soldati d’Israele per cercare il padre biologico. E ucciderlo, ammesso che ciò possa purificare il suo sangue, possa ripulirla dalla vergogna e rendersi accettabile davanti alle persone che la circondano. Basterebbe? Sarebbe utile? Il fidanzato Ziad cerca di dissuaderla, ma la decisione è presa e Amira non cambierà più idea. Eccoci, allora, alla reale tesi, alla chiave di lettura del film di Mohamed Diab: se nella vita di un essere umano conti più quello che pensa e come agisce coerentemente oppure abbia più importanza la cellula biologica di cui è fatto; se il suo valore sociale dipenda dal suo pensiero esistenziale e i suoi principi morali oppure le tradizioni esteriori. Tant’è che ci si può anche comportare diversamente da tutti gli altri componenti la famiglia, clan, classe, ambiente in genere. È l’essenza della libertà individuale. La scena clou che dimostra tutto questo è nel momento in cui ormai Amira ha chiaro in mente quello che le spetta fare e prima di partire fa una visita alla scuola per litigare con orgoglio con le studentesse, dal momento che il segreto di famiglia ormai è di dominio pubblico, e il professore di letteratura Hani, collega e tanto amico della mamma, le fa una brevissima lezione morale che vale tutto il film.

- Non sei la stessa Amira?
- No. Io sono la stessa Amira perché sono nata qui. Se fossi nata lì sarei qualcun’altra.
- Quindi quelli nati qui sono uguali? Tutti quelli nati lì sono uguali? È rigorosamente una questione di DNA? E quindi non abbiamo una nostra volontà?


Il canto religioso che precede i titoli di coda, mentre si alza uno striscione con il viso di Amira, è una preghiera lancinante e commovente, con una voce che si leva verso il cielo:
Vieni verso il sole che sorge
La tua genesi è stata un fenomeno
Ora sali sull’asse, sali
Oh, figlio di Maria, tu sei l’unico
Alzati, alzati, ma non lasciarci mai
Sei la luce nell’oscurità della vita

“Dal 2012, oltre 100 bambini sono nati concepiti con sperma contrabbandato. I metodi di contrabbando rimangono sconosciuti. Tutte queste nascite sono state legittimamente confermate.”

La storia del film è drammaticamente bella, il contenuto morale è importante e fa riflettere, l’ambientazione è profondamente realistica, l’impegno interpretativo è commovente, la regia è tangibilmente gratificante. Il film è bellissimo. Nel ruolo del militante incarcerato Nuwar è nelle mani di un attore visto molte volte nel cinema palestinese, il noto Ali Suleiman, già distintosi in La sposa siriana (recensione), il premiato Paradise Now, Il giardino di limoni (recensione); Warda è la bellissima Saba Mibarak, popolare attrice e produttrice giordana più volte premiata in quella parte della regione mediorientale; mentre Kais Nashif, nel ruolo del prof, lo si è tanto apprezzato nel simpaticissimo personaggio protagonista di Tutti pazzi a Tel Aviv, oltre che in Paradise Now. Ma tutta l’attenzione è ovviamente puntata sulla giovane Amira interpretata molto bene da Tara Abboud, che riesce con molta attenzione a tenere tutta la durata del film sulle spalle, con ottima predisposizione. La rivedremo sicuramente.
Un film, incentrato sul confronto su questioni complesse relative al mondo mediorientale e sul concreto concetto di identità. Un film che mi ha molto colpito, impressionato, piaciuto!






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