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Angèle e Tony (2010)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 mar 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

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Angèle e Tony

(Angèle et Tony) Francia 2010 dramma 1h23’


Regia: Alix Delaporte

Sceneggiatura: Alix Delaporte

Fotografia: Claire Mathon

Montaggio: Louise Decelle

Musiche: Mathieu Maestracci

Scenografia: Hélène Ustaze

Costumi: Bibiane Blondy, Julie Couturier


Clotilde Hesme: Angèle

Grégory Gadebois: Tony

Evelyne Didi: Myriam

Jérôme Huguet: Ryan

Antoine Couleau: Yohan

Patrick Descamps: il nonno

Lola Dueñas: Anabel


TRAMA: Angèle è una giovane donna allo sbando, Tony è un pescatore abituato ai sacrifici che vive con la madre vedova dopo che il padre è scomparso in mare durante una battuta di pesca. Entrambi sono in cerca di un legame: Angèle perché vuole disperatamente formare una famiglia che le permetta di riprendersi il figlio, Tony per sfuggire a una solitudine affettiva che lo stringe come una morsa. Si trovano grazie ad un annuncio personale.


Voto 6,5



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Nei piccoli comuni affacciati sulle coste francesi della Manica, la vita dei pescatori è dura e la crisi economica morde aspramente anche loro, tanto da spingerli in proteste violente seguite da arresti dopo gli scontri con la polizia. Tra questi ci sono Tony e suo fratello Ryan, uno dei più agitati. L’attività è faticosa ma loro tirano avanti, perché di pescare si pesca, ma i prezzi del mercato non prospettano un futuro roseo. Tony ormai non è più giovane e ad una sistemazione familiare ci pensa poco: vive con la mamma, Ryan va e viene, e ha messo comunque un annuncio sul giornale. Chissà. Se si presenta una brava donna poi si vedrà il da farsi. È un uomo gentile, quieto e pensa solo a lavorare, senza grilli per la testa. È proprio a Port-en-Bessin-Huppain, un paesino di 2.000 anime circa, con la parte bassa che costeggia la spiaggia (quella ribattezzata Omaha Beach con lo sbarco in Normandia degli alleati il 6 giugno 1944), che arriva Angèle con la speranza di riconquistare la fiducia del suo piccolo Yohan.

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Angèle è una bella ragazza, alta e magra, appena uscita dalla prigione con l’obiettivo di rivedere il figlio che nel frattempo è stato dato in affido ai nonni, genitori dell'uomo di cui lei, forse, ha causato la morte a causa di un incidente stradale (che non verrà mai spiegato). Siccome il tribunale le ha imposto di trovare un lavoro e rifarsi una famiglia per riaverlo, lei ha fretta e conosce tramite un annuncio Tony, questo imponente pescatore timido e silenzioso, ma, attenzione, non stupido. Lei, che è solo in libertà vigilata e deve stare attenta a quello che combina, è quasi disposta a prostituirsi pur di ottenere qualche ricompensa. La scena iniziale è infatti sconcertante: lei si accoppia con un giovane che la ripaga con un giocattolo, una action figure di cui vanno matti i bambini appassionati di fumetti e anime giapponesi. È con quel regalo che vuol ripresentarsi al suo bimbo, sperando di far colpo, sebbene ben conscia che i nonni paterni non vogliono che si avvicini né a loro né tantomeno al ragazzino. Angèle è determinata, testarda, ci proverà sempre e comunque, a costo di essere maltrattata e cacciata. Non ha altri nella sua vita sbandata e solitaria: per potersi muovere nel posto, non ci pensa due volte e ruba una bicicletta.

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Deve rispondere all’annuncio fatto pubblicare dal pescatore, bada al sodo. Se l’accordo tra i due si conclude, potrà lavorare nell’attività dell’uomo e nel contempo sposarsi, così da poter presentarsi dal giudice reclamando la definitiva libertà e finalmente il ritorno del figlio. L’incontro tra i due apre quindi nuovi scenari: Tony la assume come pescivendola, la ospita e le insegna il mestiere, non senza qualche difficoltà, mentre i rapporti tra la madre Myriam e Angèle sono tutt'altro che facili; ma la giovane donna si adatta – perché ha deciso che deve adattarsi, comunque - gradualmente al suo nuovo ambiente e a poco a poco Tony e Angèle riescono a guardarsi meglio in faccia e dentro l’un l’altra, cercando un’armonia non facile. Ciò che li spinge è che sono essenzialmente due esseri diversi, accomunati da un lutto e da una solitudine da cui vorrebbero uscire. Lei è attraente, ma di frequente acida con gli altri, spesso indisponente perché diffidente, è un animale selvatico che vive sempre in guardia. Guizza con lo sguardo a destra e a manca, facilmente guardando dall’alto in basso essendo più alta di tante persone che si avvicinano. Non riusciamo a capire se è e quanto sia sincera quando si mostra disponibile con Tony, forse il suo è semplicemente un espediente per raggiungere lo scopo prefissato. La sincerità non è il suo forte e l’uomo lo ha intuito: le crede scetticamente, sta sulla difensiva, resta indeciso pur se propenso a prenderla in casa e darle la stanza del fratello, nonostante la reazione e la pessima accoglienza da parte della madre. Ma non osa toccarla, anche se lei cerca di provocarlo. Non si fida e per adesso non si avvicina più di tanto: la studierà, con i suoi occhietti timidi che non la guardano più di un secondo, ben sapendo che, arrivati lui a quella età e lei in quelle condizioni, l’unica strada da percorrere sarà metter su famiglia, assieme a Yohan.

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Spazi vuoti da riempire, vite da colmare, esistenze monotone in cui anche questi avvenimenti sono una novità che può dare una spinta in avanti. È il lungometraggio d’esordio di Alix Delaporte, una interessantissima regista che con questo film aveva aperto la possibilità di un innovativo neorealismo francese, e purtroppo dopo solo un altro film – Le dernier coup de marteau distintosi a Venezia 2014 – ed una serie TV è sparita dalla circolazione. Peccato perché questa sua opera dimostra la delicatezza con cui ha affrontato una trama non facile, lavorando anche come regia in sottrazione, così come gli attori, che, sfiorando il goffo, si muovono sulla scena con circospezione, in silenzio, con movimenti a volte bruschi, a volte fuori luogo. La timidezza, l’insicurezza, sono armi letali da suicidio sociale ed entrambi ne soffrono, anche con un carattere così scontroso come quello di Angèle, forse divenuta così per via delle esperienze vissute: il carcere segna la vita a tutti. La visione diventa così un sofisticato impegno da parte dello spettatore, chiamato anch’egli a riempire i vuoti e i silenzi della sceneggiatura (sempre della Delaporte), a intuire i sentimenti e le reazioni dei due personaggi. Che sono bravissimi, in particolare lei, Clotilde Hesme, bella, spigolosa, nervosa e ottima interprete. Con quel fisico magro che trova il terminale nei bellissimi occhi che fiammeggiano pensieri e progetti, spavaldamente. Mi piacerebbe rivederla in altre pellicole.

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Discorso a parte per Grégory Gadebois, che già allora aveva un fisico “importante” ma adeguato al ruolo, oltremodo bravo a rappresentare il carattere del suo Tony. Recentemente lo abbiamo rivisto, irriconoscibile, in quella specie di sergente Garcia che era il sottufficiale Henry che ostacolava le indagini in L’ufficiale e la spia (recensione). Forse, alla somma del risultato, è mancato un piccolo scatto di reni, direi quasi un atto di coraggio, una scossa emotiva, ma in fin dei conti va bene anche così, ci accontentiamo dello scherzo finale con la fuga al mare, mentre gli invitati restano abbandonati: meglio una corsa forsennata sulla sabbia in tre che il solito rituale. Non è un film sul riscatto, è un film sulla sopravvivenza. È un film che, come mi piace scrivere spesso, richiede anche la nostra partecipazione emotiva. Quando non la diamo non la riceviamo.



 
 
 

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