Argentina, 1985 (2022)
- michemar

- 26 ott 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 14 giu 2023

Argentina, 1985
Argentina/USA/UK 2022 dramma storico 2h20’
Regia: Santiago Mitre
Sceneggiatura: Santiago Mitre, Mariano Llinás, Martín Mauregui
Fotografia: Javier Juliá
Montaggio: Andrés P. Estrada
Musiche: Pedro Osuna
Scenografia: Micaela Saiegh
Costumi: Mónica Toschi
Ricardo Darín: Julio César Strassera
Peter Lanzani: Luis Moreno Ocampo
Alejandra Flechner: Silvia Strassera
Norman Briski: Alberto Ruso
Santiago Armas Estevarena: Javier Strassera
Laura Paredes: Adriana Calvo de Laborde
Claudio Da Passano: Carlo 'Somi' Somigliana
Gina Mastronicola: Verónica Strassera
Carlos Portaluppi: presidente della Corte
Héctor Díaz: avv. Basile
Susana Pampín: madre di Luis Moreno Ocampo
Francisco Bertín: fidanzato di Verónica
Santiago Armas Estevarena: Javier
Alejandra Flechner: Silvia
Paula Ransenberg: Susana
Gabriel Fernández: Bruzzo
Ricardo Truppel: Juez Militar
Norman Briski: Ruso
Guillermo Jacubowicz: Hormiga
Martin Gallo: Romero
Claudio Da Passano: Somi
Fernando Ritucci: Loza
Pablo Burzstyn: Gonzaga
Marcelo Pozzi: Videla
Joselo Bella: Massera
Jorge Gregorio: Agosti
Sergio Sánchez: Anaya
Marcelo López: Lami Dozo
Jorge Luis Couto: Graffigna
Carlos Ihler: Galtieri
Héctor Balcone: Viola
Jorge Varas: Lambruschini
Manuel Caponi: Lucas
Brian Sichel: Federico
Almudena González: Judith
Santiago Rovito: Eduardo
Félix Rodríguez Santamaría: Maco
Leyla Bechara: Isabel
Antonia Bengoechea: María Eugenia
Carlos Portaluppi: Leon Carlos Arslanian
TRAMA: Una squadra di giovani avvocati, capeggiati dal pubblico ministero Julio César Strassera e dal procuratore aggiunto Luis Moreno Ocampo affronta il processo a carico della sanguinosa dittatura militare argentina negli anni '80, in una battaglia processuale in cui non credeva nessuno, contro ogni probabilità di riuscita e una corsa contro il tempo.
Voto 8

Tralasciando ogni intento di retorica, sempre fastidiosa e odiosa, un dato certo è che prima o poi, in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi periodo, ogni regime fa i conti con la Storia e quando il rendiconto viene realizzato e chiarito in un’aula di tribunale, che sia militare o civile, resta scritto per sempre e passa anch’esso nelle pagine della Memoria. Ciò che il film di Santiago Mitre racconta e che è realmente avvenuto nel 1985 ne è una fedele trascrizione, mediante la cronaca biografica del protagonista che attraversa la Storia dell’Argentina nei due anni successivi al felice avvento di un governo democraticamente votato dai cittadini dopo il regime militare.
Infatti, dal 24 marzo 1976 al 10 dicembre 1983 il Paese sudamericano fu segnato da una dittatura autodefinitasi civile-militare che salì al potere a seguito di un colpo di stato tramite il cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale, imponendo un regime burocratico-autoritario caratterizzato da un piano sistematico di terrorismo. Un terrorismo di Stato, il peggiore immaginabile fra tutti, perché confortato e supportato dalla polizia e dall’esercito. Il violento capovolgimento rovesciò la presidente Isabel Martínez de Perón e tutte le autorità costituzionali, nazionali e provinciali, imponendo una giunta composta dai tre comandanti delle forze armate. La giunta emanò diverse norme di gerarchia che andarono oltre la costituzione e nominò un ufficiale militare a titolo di Presidente (nelle cui mani furono accentrati i poteri esecutivo e legislativo sulla nazione e sulle province) e cinque funzionari civili che occuparono la corte suprema. Un dominio assoluto.

Violando ogni principio di diritti umani e con il pretesto di combattere la corruzione, la demagogia e la sovversione, con il progetto politico-sociale di collocare l'Argentina nel mondo occidentale e cristiano, la dittatura si impose con soprusi e limitazione delle libertà dei cittadini, arrestando con ogni minima o inesistente giustificazione le persone, che poi se fosse andato bene sarebbero state rilasciate dopo torture disumane, altrimenti sparivano per sempre nel nulla. Decine di migliaia di giovani di cui non si è avuto più notizia. Fu il buio dei diritti civili, perfino con donne incinte torturate nonostante la loro condizione, arrecando ogni tipo di tortura psicofisica per estorcere notizie e delazioni a carico di altri sospettati, compiendo crudeltà inaudite anche ai nascituri e ai neonati davanti agli occhi delle madri. Orrori narrati nell’aula del processo dagli stessi perseguitati tra lo sgomento degli astanti turbati e allibiti da tali crudeltà e i capi politici e militari sotto accusa, immobili e senza alcuna espressione.

Come pubblico ministero fu nominato Julio Strassera, che se in un primo momento cercò di evitare il gravoso compito, una volta incaricato prese con grande impegno l’incombenza e con l’aiuto, che inizialmente riteneva insufficiente, del giovane magistrato Luis MorenoOcampo per giunta inesperto, fu attorniato da un gruppo di ragazzi e ragazze alle prime armi nel campo giuridico ma che avevano una grande voglia che venisse fatta giustizia. Era chiaro che le alte sfere dello Stato e della Magistratura volessero evitare clamorose ripercussioni nell’opinione pubblica con processi eclatanti dalle conseguenze imprevedibili, ma essi compirono un lavoro enorme e prezioso raccogliendo moltissime testimonianze a carico degli imputati, girando in lungo e in largo il territorio e accumulando una enorme quantità di documentazioni. Un’operazione che risultò molto difficoltosa, dato il timore dei testimoni per eventuali rappresaglie dei fedeli al regime - ancora liberi e in giro, strutturati in organizzazioni che non avevano smesso di far paura alla gente - ma anche a causa delle minacce che riceveva quotidianamente sia Strassera sia i suoi giovani collaboratori, che coraggiosamente non si fecero intimorire. Tutto viene mostrato nel film e portato in aula, dove molti accettano di testimoniare le violenze subite, alcune davvero inenarrabili ed invece raccontate con dovizia di particolari agghiaccianti da parte di moglie, madri in quegli anni terribili ancora giovani, di figli di dispersi, di parenti che non avevano più notizie dei loro congiunti. Santiago Mitre ci fa percorrere le difficoltà che ogni giorno Strassera deve affrontare e superare, tra momenti di euforia e tanti altri di depressione, tra proiettili recapitati in casa, telefonate anonime che minacciavano la famiglia e loschi individui che pedinavano i loro movimenti, fino a presentarsi nel pubblico dell’aula del tribunale con facce minacciose. Tutto per ostacolare il corso del dibattito giudiziario e intimorire chi indagava e chi doveva giudicare e decidere l’eventuale condanna.
Chi crede che il film, essendo sotto forma di legal movie, possa annoiare è fuori pista: il ritmo che impone il regista è quello del thriller ritmato che non concede un momento di pausa, appassionante come un giallo scritto da grandi specialisti. Anche il dibattito in aula è appassionante e non permette di distrarsi un attimo, per giunta aggravato dalle strazianti testimonianze. Non fanno mancare l’appoggio, ovviamente, neanche le coraggiose Madri di Plaza de Mayo, cioè le madri dei desaparecidos - ossia i dissidenti scomparsi - che con il loro fazzoletto bianco sulla testa non hanno mai smesso di manifestare sommessamente ma fermamente per giungere alla verità e alla giustizia, con la remota, ma mai abbandonata, speranza di avere notizie certe sul destino che hanno subito i loro cari. Anche semplicemente per avere l’informazione ufficiale della loro morte, che è già una forma di riconoscimento dell’accaduto. L’arringa finale letta dal coraggioso pubblico ministero è il frutto di un lungo e laborioso lavoro di Strassera che cerca una sponda nella collaborazione dei colleghi più cari e anziani, cercando un filo conduttore che sappia convincere la corte sulla giustezza di una condanna esemplare. Il discorso che pronuncia davanti ai giudici e ai tanti presenti assume i connotati di un’orazione commovente e solenne alla nazione, una lezione di civiltà in cui il magistrato spiega che in quel giorno e in quella occasione non si chiede di compiere vendetta ma, con buona pace di tutti, è solo e soltanto il momento storico della Giustizia, è puramente necessità e sete di giustizia. Una giustizia necessaria per porre fine ad un dolorosissimo e angosciante periodo di sofferenze e di illegalità sociale e civile, scatto giudiziario e morale che possa dare un maggiore slancio alla democrazia argentina finalmente realizzata.

Il film è bellissimo ed emozionante, avvincente e palpitante come un thriller, scritto benissimo, con attimi di tregua dal dramma con piccole e intelligenti battute, recitato magnificamente non solo da un attore che si è rivelato un gigante, Ricardo Darín, ma anche da chi ha avuto ruoli secondari e ancora meno, come la bravissima attrice che interpreta una mamma ferita nel fisico e nell’anima, che ci fa vivere le terribile ore nelle mani dei torturatori davanti ai quali aveva partorito e visto maltrattare l’esserino appena messo al mondo. Un mondo che non poteva immaginare tanto malvagio. Viene da chiedersi qual è il limite della cattiveria e della ferocia se un uomo è capace di massacrare un neonato che piange disperatamente davanti alla mamma che non può difenderlo. Storia come tante altre, tutte narrate davanti al pubblico che non respira, ai giudici senza parole, ai colpevoli riluttanti.


Notevole la regia di Santiago Mitre, già autore cinque anni prima di un altro buon film, anche se non all’altezza di questo, con lo stesso Ricardo Darín che interpreta un presidente dell’Argentina in difficoltà nella vita privata, Il Presidente. Attore che, con questa superlativa prova, posa una pesantissima pietra miliare nella sua ricca carriera. Il suo pubblico ministero si esibisce nell’assolo finale come un tenore nell’aria principale dell’opera, con un discorso lucido e pacato ma incisivo e definitivo, da brividi, che commuove tutti (spettatori compresi). Che finisce con un avverbio che, come dice lui stesso, non sono parole sue ma che fa proprie, affinché tragedie come quelle non si riaffaccino nella Storia. Mai più.
Nella storia del cinema non esiste un avverbio così commovente come quello che il suo Julio César Strassera pronuncia prima dei titoli di coda e degli applausi di un tribunale colmo di persone in lacrime ed entusiaste, che avvertono il momento storico importante che stanno vivendo: “Nunca más!”.
“Nunca más!” ma nel frattempo in cui vengono stilate queste riflessioni, in molti Paesi, soprattutto del Medioriente e dell’Est del mondo, i giovani che protestano per la libertà di espressione vengono manganellati, arrestati, torturati e di alcuni di loro non si hanno più notizie.
“Nunca más!” Quando?

Riconoscimenti
2023 - Premio Oscar
Candidatura miglior film internazionale
2023 - Golden Globe
Migliore film in lingua straniera
2022 – Festival di Venezia
Premio Fipresci












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