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Armand (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 21 apr
  • Tempo di lettura: 7 min
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Armand

Norvegia/Olanda/Germania/Svezia/UK 2024 dramma 1h58’

 

Regia: Halfdan Ullmann Tøndel

Sceneggiatura: Halfdan Ullmann Tøndel

Fotografia: Pål Ulvik Rokseth

Montaggio: Robert Krantz

Musiche: Ella van der Woude

Scenografia: Mirjam Veske

Costumi: Alva Brosten

 

Renate Reinsve: Elizabeth

Ellen Dorrit Petersen: Sarah

Endre Hellestveit: Anders

Thea Lambrechts Vaulen: Sunna

Øystein Røger: Jarle

Vera Veljović-Jovanović: Ajsa

Patrice Demonière: Emmanuel, il bidello

 

TRAMA: Armand, un bimbo di sei anni, è accusato di aver molestato sessualmente il cuginetto nei bagni della scuola.

 

VOTO 7,5


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Il film segna il fulminante debutto nel lungometraggio del regista norvegese Halfdan Ullmann Tøndel, nipote di Liv Ullmann e Ingmar Bergman, di cui sono evidenti le influenze nello sguardo alle problematiche interpersonali, verso gli spazi da inquadrare e i silenzi pesanti, nel trattare le emozioni e le reazioni di persone (termine che richiama subito l’opera del nonno) simili a giganti d’argilla che si sfaldano quando toccati nell’intimo, denudati nelle loro debolezze. Un esordio manifestatosi in una estetica disarmante che richiama l’umanità tormentata e i dilemmi morali del cinema bergmaniano, arricchito anche da influenze satiriche e metacinematografiche tipiche di Luis Buñuel, trasportandoci in un microcosmo claustrofobico e inquietante: una scuola elementare in cui l’infanzia e l’etica adulta si scontrano in una danza tanto affascinante quanto destabilizzante.


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La storia prende avvio da un incidente tra due bambini, Armand e Jon, che scuote le fondamenta di una comunità scolastica. A causa di ciò, poco prima delle vacanze estive, i genitori dei piccoli cugini, vengono convocati dal preside della scuola Jarle, assieme all’insegnante psicologa Sunna e l’infermiera Ajsa, per discutere della spinosa questione, frutto però di testimonianze discordanti: nei bagni della scuola, tra i due bambini di sei anni potrebbe essersi consumato qualcosa di più di un gioco innocente, forse addirittura una molestia sessuale del primo nei confronti dell’altro. La reazione meravigliata e nervosa della madre vedova di Armand, Elisabeth (Renate Reinsve), è anche veemente tanto da suscitarle la voglia di lasciare tutti e scappar via, rigettando ogni congettura conoscendo bene suo figlio. Tutto prevedibile, verrebbe da dire, dato che nessun genitore accetterebbe accuse di questo genere su un proprio figlio. Ovviamente, anche il comportamento dei genitori di Jon, Sarah e Anders, è scostante, alla ricerca che giustizia sia fatta. Come ci si aspetta, i pareri su ciò che è realmente accaduto tra i loro figli divergono fortemente. Lentamente si scopre che dietro la vicenda c’è molto più di quanto si pensi inizialmente, incluso il fatto che molte delle persone coinvolte si conoscevano già da prima. Anzi, i precedenti rapporti, oltre ai legami di sangue, non erano semplici e lineari.


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A dispetto del titolo riferito al nome al centro delle polemiche, più che del piccolo Armand, il film parla soprattutto degli adulti, il cui disvelamento, la cui spoliazione reciproca, dietro il tentativo a tratti maldestro e ipocrita di chiarirsi civilmente e gestire con maturità i conflitti sorti tra i minori, può ricordare, soprattutto nella prima parte, il crudele Carnage di Roman Polanski. Con la differenza che lì i quattro genitori iniziavano con una ipocrita cortesia, qui si inizia all’opposto anche se in totale diffidenza, e continuano sino al termine in perenne battaglia. Sorvolando – e di queste sorprese ce ne sono non poche durante lo sviluppo – su qualche segreta attrazione sorta nel passato e nascosta agli occhi degli altri. Che Elisabeth non si farà sottomettere dai genitori di Jon risulta evidente sin dalle prime battute, in cui la donna prima mostra tutta la sua incredulità, poi controbatte con intelligenza e logica: come è possibile credere che il suo bimbetto abbia minacciato il cugino di infilare il proprio pene nell’orifizio anale dell’altro? Quanto può essere un seienne capace di usare questi termini, così appropriati, alla sua età? E poi, suo figlio non si sognerebbe mai di compiere abusi di questo tipo ed essere così violento. Ma si sa, ogni scarrafone è bello a mamma sua e quindi è, per lei, impensabile.


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In realtà, in questa vicenda vale invece quello che diceva mio padre: le colpe dei figli risalgono sempre alle responsabilità dei genitori. Ed infatti, i tre, guerreggiando tra di loro per difendere i rispettivi figli, non si risparmiano accuse e vecchie storie che hanno destabilizzato i rapporti trascorsi, la loro amicizia, la parentela. Soprattutto emerge, come un sarcofago riaperto a distanza di anni, la misteriosa morte del marito di Elisabeth, un evento che sconvolse le due famiglie e che ancora oggi si ripercuote in quanto mai messo da parte, forse una delle concause che hanno condizionato la ancora acerba crescita di Armand e che ora, nella riunione scolastica, si riaffaccia come un macigno.


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L’enorme talento di cui gode Tøndel è presto dimostrato dalle straordinarie vedute della scuola, delle aule, dei corridoi, delle scale a chiocciola, un ambiente claustrofobico in cui la protagonista si muove con baldanza, anche per sfogare la tensione che le si sta accumulando. Era giunta già impaziente di finire quanto prima, ma ora che la discussione e le insinuazioni dei cognati, aggiunti alle insopportabili ipotesi fatte dalla titubante ma preparata Sunna e dal preside Jarle, si stanno prolungando, in quei corridoi ha modo di sfogare la tensione, seguita dallo sguardo ravvicinato e particolareggiato del regista fatto di primi piani alle gambe, ai piedi, al profilo da modella che caratterizza la bellezza nordica dell’attrice. Ed il ritmo. Quello ben scandito di uno strumento che pare un metronomo implacabile, che detta le riflessioni solitarie di Elisabeth, che picchia come un piccone che scava nel passato e fa riaffiorare antichi dolori e sospetti: Armand, aveva visto qualcosa che non doveva vedere? Quale scoperta aveva fatto per indurlo a comportamenti errati?


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La questione etica centrale, oltre che culturale, è però proprio il rapporto tra adulti e bambini. Tøndel ci induce con le immagini e i dialoghi a riflettere su come i primi siano in grado di proiettare paure, nevrosi e inclinazioni egoistiche sui più piccoli. Se questi sono semplici e spontanei, mai ipocriti, è proprio l’incapacità dei personaggi adulti ad affrontare situazioni ambigue senza distorcerle con le loro insicurezze che trasforma la situazione in qualcosa di distorto. Perfino la scuola, per esempio, ora luogo di litigio, diventa uno spazio alienante. Chiaro richiamo del mondo morale frammentato di Bergman, dove i conflitti interiori plasmano ogni relazione umana. Nel film, in buona sostanza, i bambini diventano specchi deformanti delle crisi esistenziali dei loro genitori. La costruzione della realtà da parte degli adulti, basata su falsità e convenzioni sociali, si scontra con l’innocenza disarmante dei piccoli protagonisti, che non conoscono ancora il significato di ipocrisia o giudizio morale. Tutto ciò non è chiaro immediatamente nel film, anzi pare davvero che si stia assistendo ad un chiarimento necessario affinché gli episodi incresciosi, o presunti, non avvengano mai più. Ed invece assistiamo all’affiorare di una realtà che prima ci sembrava estranea: ecco, appunto, le colpe dei genitori che ricadono sulla crescita mentale dei figli. Altrimenti, da chi avrebbero mai imparato? La casa e la famiglia sono i posti ideali per crescere ed educare i piccoli figli, ma a condizione che siano luoghi esemplari a tale scopo.


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Per tutta la durata non si esce dalla scuola e le uniche fughe dall’aula sono le passeggiate nei corridoi di Elisabeth (compreso un balletto al ritmo di swing con il bidello che spazza), gli incontri riservati e rivelatori con il cognato, l’uscita simbolica da meta-cinema sotto la pioggia di tutto il cast nel cortile, ma sopra ogni cosa l’incredibile danza in pieno stile Pina Bausch che la donna inizia da sola e termina con donne che la avvicinano e la accarezzano con gesti sensuali e minacciosi allo stesso tempo. Una sequenza che dona liricità e astrazione utili ad allentare la tensione e ad aprire nuovi orizzonti visivi. Ma la sequenza più inquietante ed insieme spiazzante, destabilizzante, provocatoria, è la risata isterica a più riprese che assale la protagonista quando comincia a capire quali provvedimenti hanno voglia di prendere i tre che conducono la riunione. Una risata che sembra possa finire da un secondo all’altro e che invece non solo si protrae ma che, quando pare attenuarsi, riprende con maggiore vigore fino a diventare inarrestabile, nonostante gli sguardi nevrotici di Sarah, lo smarrimento di Anders, lo sconforto di Sunna, l’epistassi di Ajsa e i ripetuti inviti del preside Jarle di smetterla. E lei giù a ridere fino alle lacrime, preliminari ad un pianto silenzioso. Sconcertante, ma forse ha capito tutto.



Man mano che lentamente si scoprono i trascorsi della famiglia, la tragedia del suicidio, i lividi di Jon antecedenti all’episodio dei bagni della scuola, le conseguenti falsità sostenute da Sarah, la rivalità di questa che molto probabilmente risale alla rivalità d’amore, la titubanza di Anders, man mano che tutto ciò emerge si fanno largo non la certezza ma l’improbabilità dell’accaduto e un torbido album di famiglia che è servito ad Elisabeth a costruirsi una corazza impenetrabile e inattaccabile che la protegge e la fa andare avanti nonostante quello che le succede intorno. Come il caso dell’ipotetica violenza di cui è accusato suo figlio, a cui lei non ha mai minimamente creduto. Anche le foto storiche degli alunni nel corridoio della scuola diventano ricordi inquietanti, come quelle che servono ad iniziare le indagini private in Millennium - Uomini che odiano le donne.


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Potrebbe essere un’opera di satira verso la famiglia come istituzione ipocrita ed invece diventa anche un dramma dalle tinte di thriller psicologico a lento e progressivo dosaggio che coinvolge tutti, nessuno escluso, dalle due famiglie coinvolte fino al preside, mentre il bambino Armand, falso obiettivo, resta fuori campo, quasi mai sullo schermo. Un gioco al massacro definibile un kammerspiel spietato e senza prigionieri, ispirato dal cinema ereditato da quell’esploratore della psiche familiare e personale chiamato Bergman.


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L’esordio di Halfdan Ullmann Tøndel è eccellente, regista implacabile dallo stile asciutto ed essenziale, già maestro nel mettere a fuoco l’immagine nei particolari significativi, senza orpelli, dalla scrittura impietosa e inesorabile. Non una parola in più o in meno del necessario, così come nei gesti e nei movimenti, dei personaggi e della macchina. Non è virtuosismo ma essenzialità efficace. Qualità aumentata a dismisura dall’interpretazione della fantastica e magnetica Renate Reinsve che sicuramente non ha finito di stupirci. I primi ricevuti a Cannes, ai BAFTA e agli EFA per La persona peggiore del mondo e poi in questa occasione sono solo un preavviso di cosa sarà capace di fare nel futuro. Il regista le (ci) regala profili e primi piani, non solo del viso, in cui lei ricambia offrendo la sua eccelsa bravura, a dimostrazione di come abbia già diritto di essere considerata tra le migliori attrici di questi anni. Una menzione va fatto per il direttore della fotografia, capace di rendere con la luce grigia la scuola simile ad un labirinto mentale.


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Fra tanta menzogna, ipocrisia e vana pretesa di rendere adulti i bambini, al fine c’è da chiedersi perché è scoppiato il caso? qual è il motivo di un’accusa senza certezze? O è solo una vendetta?

Che scoperta questo film!


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Riconoscimenti

Festival di Cannes 2024

Caméra d’or ad Halfdan Ullmann Tøndel

EFA 2024

Miglior rivelazione – Premio FIPRESCI ad Halfdan Ullmann Tøndel

Candidatura per la miglior attrice a Renate Reinsve

Candidatura per l’University Film Award



 
 
 

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