Barbarian (2022)
- michemar

- 24 set
- Tempo di lettura: 4 min

Barbarian
Bulgaria, USA 2022 horror 1h42’
Regia: Zach Cregger
Sceneggiatura: Zach Cregger
Fotografia: Zach Kuperstein
Montaggio: Joe Murphy
Musiche: Anna Drubich
Scenografia: Rossitsa Bakeva
Costumi: Kiril Naumov
Georgina Campbell: Tess Marshall
Bill Skarsgård: Keith Toshko
Justin Long: AJ Gilbride
Matthew Patrick Davis: la “Madre”
Richard Brake: Frank
Kurt Braunohler: Doug
Jaymes Butler: Andre
Sophie Sörensen: Bonnie Zane
J.R. Esposito: Jeff
Kate Bosworth: Melisa Herberts
Brooke Dilman: madre di AJ
Sara Paxton: Megan
Will Greenberg: Robert
TRAMA: Una donna deve fare un colloquio di lavoro in una città diversa dalla sua e per questo affitta una stanza su AirBnb, per arrivare con calma la sera prima nella città e presentarsi fresca all'importante appuntamento. Quando però arriva all'alloggio scopre che è stato oggetto di doppia prenotazione e che la occupa già un ragazzo. A malincuore decide di rimanere nonostante il disagio, ma nel corso della notte scopre che la presenza di un altro ospite è l'ultimo dei problemi di quella casa.
VOTO 6,5

Zach Cregger, noto finora per la sua carriera di attore comico, sorprende con un debutto horror che sfida le convenzioni del genere e le aspettative dello spettatore. Il suo non è solo un film di paura: è un esperimento narrativo che gioca con la struttura, il tono e la percezione morale, trasformando una premessa da commedia romantica millennial in un incubo stratificato e disturbante.

Il film si apre con Tess (Georgina Campbell), giovane documentarista in cerca di lavoro, che arriva in un quartiere desolato di Detroit per soggiornare in una casa affittata online. Scopre che la prenotazione è stata duplicata: Keith (Bill Skarsgård), un musicista gentile ma ambiguo, è già lì. La tensione iniziale è tutta giocata sul sospetto e la domanda che si pone la giovane è condivisibile: è più pericoloso dormire in macchina o accettare l’ospitalità di uno sconosciuto?

Questa prima mezz’ora è già un buon inizio e un discreto lavoro di ambiguità e sottotesto. Zach Cregger, nome in questi mesi in auge per il suo ultimo Weapons, sfrutta il volto inquietante di Skarsgård, ormai specializzato in questo genere (già Pennywise in It), per instillare il dubbio, ma poi ribalta tutto. Il vero orrore non è Keith, come ci si poteva attendere e come succede solitamente, bensì ciò che si cela sotto la casa: un labirinto di corridoi, stanze segrete e presenze deformi che rimandano a un passato di abusi, segregazione e follia. Siamo a Detroit, in una zona periferica ideale per lo svolgimento della trama, siamo anche in una casa con doppia prenotazione, ma il vero incubo non è in questi posti: è nel sottosuolo.

Il film si spezza in tre atti disomogenei: il primo è un thriller psicologico, il secondo un horror grottesco, il terzo una riflessione sociopolitica travestita dalla cosiddetta exploitation (termine di moda nel cinema d’oggi per indicare un filone di moda, come sesso e violenza). Ogni segmento è introdotto da un cambio radicale di tono e prospettiva, incluso un flashback anni ’80 che cita film precedenti per stile e inquietudine visiva. Insomma, il regista ha studiato per iniziare.

Dove risiede l’exploitation di cui sopra? Osservando bene il film, e come la dottrina insegna, è un film che parla di corpi, di spazi e di potere: il sottosuolo della casa diventa metafora di ciò che l’America ha sepolto e cioè traumi familiari, misoginia sistemica, e una cultura del controllo che si perpetua attraverso la violenza. La “Madre” mostruosa che abita il seminterrato non è solo una creatura da incubo, ma il prodotto di generazioni di abusi e isolamento. Il suo desiderio di maternità è distorto, ma tragicamente umano. Da notare anche che il film riflette anche sul concetto di “brava persona”: prendiamo per esempio il personaggio di AJ (Justin Long), un attore in crisi accusato di molestie, che entra in scena con leggerezza comica, ma che diventa il catalizzatore di una riflessione morale, tipo cosa significa essere buoni, quando il sistema stesso è corrotto? Il regista sceglie, come capita spesso, di non offrire risposte, ma seminare dubbi.

Detroit, scelta come ambientazione, non è casuale. La città è ritratta come un relitto post-industriale, un paesaggio di rovine che richiama altri film di genere tipo It Follows oppure Man in the Dark, film molto noti e di successo. La casa, apparentemente ristrutturata, è un guscio vuoto sopra un abisso. Cregger dimostra, pur se esordiente, una sorprendente maturità registica. La fotografia è nervosa e geometrica, con l’uso sapiente del buio e della profondità di campo. Le inquadrature statiche della casa contrastano con i movimenti frenetici nel sottosuolo, creando un senso di disorientamento crescente. La colonna sonora è minimale ma efficace, con droni elettronici che amplificano la tensione. Il montaggio lo trovo audace con cambi di prospettiva bruschi, ma funzionali. Georgina Campbell è brava e credibile, incarnando una protagonista che non è mai vittima passiva. Bill Skarsgård gioca con la sua ambiguità, mentre Justin Long offre una performance sorprendente, oscillando tra comicità e orrore. Richard Brake, nel ruolo del patriarca Frank, è disturbante senza mai essere caricaturale. Il titolo? È ironico: chi è il vero “barbaro”? La creatura nel seminterrato o la società che l’ha generata?
Nessun capolavoro, beninteso, ma merita la visione dei tanti fans del genere e che il regista se la sappia cavare lo dimostra il fatto che il successivo e citato Weapons sta avendo notevoli apprezzamenti. Questo film in Italia è arrivato quasi in sordina, ma merita di essere riscoperto come uno degli horror più audaci e disturbanti degli ultimi anni.












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