Berlinguer - La grande ambizione (2024)
- michemar
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Berlinguer - La grande ambizione
Italia/Belgio/Bulgaria 2024 biografico 2h3’
Regia: Andrea Segre
Sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre
Fotografia: Benoît Dervaux
Montaggio: Jacopo Quadri
Musiche: Iosonouncane
Scenografia: Alessandro Vannucci
Costumi: Silvia Segoloni
Elio Germano: Enrico Berlinguer
Paolo Pierobon: Giulio Andreotti
Roberto Citran: Aldo Moro
Elena Radonicich: Letizia Laurenti
Fabrizia Sacchi: Nilde Iotti
Paolo Calabresi: Ugo Pecchioli
Andrea Pennacchi: Luciano Barca
Giorgio Tirabassi: Alberto Menichelli
Stefano Abbati: Umberto Terracini
Francesco Acquaroli: Pietro Ingrao
Pierluigi Corallo: Antonio Tatò
Fabio Bussotti: Armando Cossutta
TRAMA: Il racconto della vita privata e pubblica di Enrico Berlinguer, dal viaggio a Sofia del 1973 fino al discorso della Festa Nazionale dell’Unità di Genova del 1978.
VOTO 6,5

Sfidando i dogmi della guerra fredda e di un mondo diviso in due, Berlinguer e il PCI tentano per 5 anni di andare al governo, aprendo a una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana e arrivando a un passo dal cambiare la storia con il Compromesso Storico. Dal 1973, quando sfugge a Sofia a un attentato dei servizi segreti bulgari, attraverso le campagne elettorali e i viaggi a Mosca, le copertine dei giornali di tutto il mondo e le rischiose relazioni con il potere, fino all’assassinio nel 1978 del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. La storia di un uomo e di un popolo per cui vita e politica, privato e collettivo, erano indissolubilmente legati.

Quando una strada politica sembra impossibile da percorrere, molti riterrebbero giusto rinunciarvi, anche se gli ideali sono legittimi, ma un uomo dalle tante virtù, per coerenza e lealtà, per senso di giustizia sociale e impegno personale fino ad esaurire le forze fisiche, come fu Enrico Berlinguer, non lo riteneva giusto e ci provò con tutte le maniere, alla luce del sole, senza inganni e sotterfugi, così tipici della politica italiana.

Questo galantuomo fu segretario negli anni Settanta di quello che era il più importante partito comunista del mondo occidentale, con oltre un milione settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori e raggiungendo l’apice nelle elezioni politiche del 1976 con il 34,4% dei votanti. Sia lui, sia gli iscritti, sia gli elettori erano uniti da una grande ambizione: quella di riuscire a realizzare il socialismo nella democrazia. Che è poi quella del titolo di questa pellicola. Anche nel film di Segre, tentando in ogni modo di combattere le colonne del mondo separato in due, USA e NATO da una parte e l’URSS dall’altra, il PCI di quest’uomo ha tentato per cinque anni di salire al governo. Per farlo, ha aperto in maniera inedita a una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana, arrivando a un passo dal cambiare la storia con il fatidico Compromesso Storico, pattuito tra lui e Aldo Moro. Storia troncata con l’efferato assalto alla scorta e con l’uccisione del leader democratico cristiano, la notte della Repubblica.

Andrea Segre ripercorre con un’opera definibile docufilm quel periodo cruciale della nostra Storia alternando scene di vita familiare, quasi intima, con quelle dell’attività – in quel periodo frenetica – del leader comunista e i suoi collaboratori, compreso i colloqui e i rapporti che ebbe con Moro. Dalle vicende narrate risulta evidente come egli si trovò in difficoltà sia con i suoi (alcuni erano perplessi a riguardo dei passi che stava compiendo) e sia nei rapporti consolidati con l’Est europeo, dove si recava per mantenere coerente la sua linea politica, volendo sganciarsi dalle linee instaurate negli anni e stabilire una certa indipendenza ai fini, appunto, di occidentalizzare e modernizzare i concetti del socialismo democratico. Pur nella diffidente aria che si respirava nei partiti opposti che governava l’Italia in quegli anni. Ben conscio che, provando ad andare al governo, avrebbe avuto contro con tutti i mezzi, leciti o meno, il Vaticano, gli USA e gli uomini politici conservatori nazionali. I nemici erano anche nei Paesi della sfera sovietica e l’attentato che subì in terra bulgara ne fu una chiara dimostrazione. Importante fu anche lo strappo di non allineamento che Berlinguer annunciò nella gigantesca assemblea svolta a Mosca alla corte di Leonid Brežnev, da cui uscì con solo due applausi di circostanza.

Se le vicende politiche sono più o meno note, quelle familiari sono meno conosciute ed è interessante osservare come il regista e l’altro sceneggiatore, Marco Pettenello, abbiano voluto ricostruire la vita quotidiana in casa Berlinguer, con le comuni faccende domestiche di un qualsiasi uomo, dove manteneva senza contraddizioni al suo pensiero politico il contegno di padre e marito, educando, ad ogni minima occasione, anche la più banale, i figli secondo gli ideali della giustizia sociale che lo contraddistinsero sempre. Il popolo era tutto con lui, più della cerchia dei famosi politici che lo attorniavano: Pecchioli, Barca, Terracini, Ingrao, Cossutta, che comunque lo stimavano assai. Si faceva voler bene in maniera incondizionata.

Non è un film ideologico e sia l’autore che il fantastico attore a quei tempi non c’erano e ciò comporta uno sguardo diverso che collega le differenti generazioni. In altre parole, consente di guardare con distanza a quel periodo e magari a fare un passo in più: capire cosa ci dice adesso quella storia. Almeno queste sono state le intenzioni di chi ha lavorato al film e alla stesura della sceneggiatura. Proprio per questi motivi, il regista ha cercato di tenere omogeneità nella trama passando frequentemente dalle immagini girate sul set a quelle dei filmati d’epoca, senza mai far diventare l’opera un film documentaristico ma unendo in maniera logica la continuità del racconto di quei cinque anni tra fiction realistica e Storia documentata.

Berlinguer fu protagonista della Storia suo malgrado (Segre lo mostra ritroso e dimesso), senza prevaricare su nessuno e senza la precipua volontà di imporsi sul prossimo. Un uomo che nominava i giovani, i lavoratori, gli sfruttati e gli operai prima di se stesso. Un segretario di partito, forse più che un leader, che, chissà, ragionando per assurdo, avrebbe accolto e abbracciato un film che porta il suo nome e descrive il suo sogno, quella grande ambizione, ma in cui la vera protagonista drammaturgica è la ricostruzione storica di un paese, l’Italia, in un periodo caratterizzato da un clima politico violento e instabile. Difatti, più volte gli avvenimenti quotidiani vengono interrotti bruscamente dai brutali assassinii da parte di estremisti totalmente estranei ai partiti di destra e di sinistra: giudici, sindacalisti e cittadini comuni, come nel terribile attentato della Piazza della Loggia a Brescia. Fino al punto che un giorno, Berlinguer chiama a raccolta i suoi familiari per dare istruzioni nel caso che capitasse a lui quello che succedeva ad altri: coerentemente al suo pensiero e alle sue scelte, pregò moglie e figli che nessuno avrebbe mai trattato con i terroristi per la sua liberazione, come invece chiedeva il povero Moro nelle missive che scriveva (?) ai politici affinché potesse essere risparmiato.

Il rigore dell’uomo lo ritroviamo nell’interpretazione fortemente sentita di Elio Germano, che ha cercato anche di assomigliarlo nella postura e nella dizione ma soprattutto cercando di trasmetterci le sue virtù di persona qualunque che sognava di portare il suo popolo a governare con il solo scopo di portare giustizia, diritti a tutti, specialmente a quegli ultimi della società che popolavano le fabbriche. Germano è praticamente sempre in scena fornendo una performance di grande qualità, ribadendo ancora una volta quanto impegno mette sempre nei suoi personaggi. Come scrivo sempre, perché è quello che succede a me, in tanti ci si dimentica della sua bravura ed ogni volta che lo si ammira all’opera ci si ricorda quanto sia bravo e come si avvicini, film dopo film, alla statura di uno dei più grandi attori che abbiamo avuto, Gian Maria Volonté, che come lui dava corpo a personaggi forti, di carattere, importanti, sia di persone semplici che di nomi influenti della Storia, dal Medioevo all’oggi.

Nonostante quello appena detto, il film si può anche definire come corale, data la quantità di personaggi, tutti ben conosciuti, che entrano in scena e ruotano nelle tante scene di riunioni, viaggi, consultazioni, con il mitico Alberto Menichelli, storico autista che non lo lasciava un minuto. Al centro sempre lui, Enrico Berlinguer, in una biografia che ha preso come ispirazione, per ammissione dello stesso Segre, il fantastico Malcolm X per il suo aspetto drammaturgico.

Ci sono molti attori rinomati ma nessuno viene messo in risalto più di tanto, neanche Elena Radonicich nel ruolo della moglie Letizia Laurenti, poco raccontata e fotografata un passo indietro rispetto all’uomo importante. Essi sono solo un coro che accompagnano un grande solista, da intendersi come personaggio e come attore. Il racconto di chi fu ma anche un pensiero di speranza, inserito con le emozionanti parole di Eppure il vento soffia ancora di Pierangelo Berti.

Elio Germano è superlativo ma ritengo, comunque, che, qui e in ogni caso, quando un bravissimo attore indossa i panni di un personaggio pesante è costretto a muoversi negli spazi dello stesso, senza mai liberare totalmente il proprio potenziale. E l’attore romano ne ha tanto.
L’emblematico poster dice tutto: lui, di spalle, che parla ad un popolo sterminato, felice di ascoltarlo.
Nei titoli di testa si legge Gramsci: “Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo.”

Riconoscimenti
David di Donatello 2025
Miglior attore protagonista a Elio Germano
Miglior montatore
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regista
Candidatura miglior sceneggiatura originale
Candidatura miglior produttore
Candidatura miglior attore non protagonista a Roberto Citran
Candidatura miglior casting
Candidatura miglior compositore
Candidatura miglior scenografo
Candidatura miglior trucco
Candidatura al miglior suono
Candidatura ai migliori effetti speciali visivi
Candidatura al David Giovani
Festa del Cinema di Roma 2024
Premio Vittorio Gassman come miglior attore a Elio Germano
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