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Malcolm X (1992)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 18 giu 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

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Malcolm X

USA/Giappone 1992 biografico 3h22’

Regia: Spike Lee

Soggetto: Malcolm X, Alex Haley (Autobiografia)

Sceneggiatura: Spike Lee, Arnold Perl

Fotografia: Ernest R. Dickerson

Montaggio: Barry Alexander Brown

Musiche: Terence Blanchard

Scenografia: Wynn Thomas

Costumi: Ruth E. Carter

Denzel Washington: Malcolm X

Angela Bassett: Betty Shabazz

Albert Hall: Baines

Al Freeman jr.: Elijah Muhammad

Delroy Lindo: West Indian Archie

Spike Lee: Shorty Henderson

Theresa Randle: Laura

Kate Vernon: Sophia

Lonette McKee: Louise Little

Tommy Hollis: Earl Little

Roger Guenveur Smith: Rudy

Joe Seneca: Toomer

James McDaniel: fratello Earl

Giancarlo Esposito: Thomas Hayer

John Sayles: agente F.B.I.

Martin Donovan: agente F.B.I.

Christopher Plummer: cappellano Gill

Peter Boyle: cap. Green

Ossie Davis, Nelson Mandela, Michael Jordan, Janet Jackson, Bill Cosby, Tracy Chapman

TRAMA: Il piccolo Malcom Little, figlio di un pastore protestante, cresce nel Nebraska. La sua infanzia è segnata tragicamente dalla violenza razzista: il padre è infatti ucciso dagli uomini del Ku Klux Klan che ne incendiano la fattoria e li riducono così in miseria. La madre impazzisce e muore in manicomio. Dopo anni in cui passa di famiglia in famiglia, giunge ormai adolescente a New York. È intelligente, ma la sua condizione lo conduce alla delinquenza: furti, spaccio di droga, prostituzione, sono i suoi campi. Finché viene arrestato e, dopo anni di carcere in cui conosce ogni sorta di esperienza negativa, si converte all'Islam, studia e impara a opporsi al potere bianco. Una volta fuori, completamente trasformato, si sposa, entra in un'organizzazione islamica e diventa un trascinatore politico. Divenuto una delle personalità più in vista del mondo afroamericano, si crea parecchi nemici. Per le sue posizioni sempre meno estremiste, ma favorevoli a un dialogo con i bianchi, viene in più occasioni minacciato.


Voto 7,5



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Forse Spike Lee è l’unico regista che si è occupato, con tutte le forze, di girare un film completamente dedicato alla vita di Malcolm Little, storicamente conosciuto con il cognome “X”. Molte altre opere hanno riferimenti alla persona, ai suoi numerosi discorsi e soprattutto alle sue idee, ma una vera biografia l’ha portata a termine solo il nero cineasta georgiano di Atlanta. A suo tempo, fece fuoco e fiamme per avere il progetto, dal momento che la produzione aveva affidato il soggetto (tratto dall'Autobiografia di Malcolm X, scritta dal leader afroamericano con la collaborazione di Alex Haley (ricordate Radici?) a Norman Jewison. E se ne era occupato anche il celebre scrittore di colore James Baldwin con una sceneggiatura mai messa all’opera ma raccolta in un saggio a parte, One Day When I Was Lost. Ma era destino che l’impresa riuscisse al nostro regista che indubbiamente ci ha messo l’anima e ne ha fatto un’opera fluviale di quasi 3 ore e mezza piena di episodi, discorsi, e perfino filmati di repertorio in bianco e nero a testimonianza delle violenze brutali che il popolo afroamericano ha subito nella storia e che continuano imperterrite. Proprio nei giorni in cui scrivo queste righe l’America è in ebollizione dopo l’uccisione (evento non unico ma frequente) di George Floyd e di altri ad opera della polizia metropolitana di varie città.


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Il film è fedelissimo alla autobiografia citata, ne segue passo passo gli eventi sin da quando era giovane e spensierato, un ragazzo che pensava solo a divertirsi e a trovare il sistema di cavarsela in ogni occasione, tra furtarelli, vestiti stravaganti e belle donne. Ma leggendo o guardando la pellicola ci si rende presto conto che la sua infanzia fu davvero difficile nel clima profondamente razzista dell’America di Omaha, nel Nebraska. Suo padre, predicatore battista, morì ufficialmente per essere stato investito da un tram, tuttavia il figlio sostenne che fu assassinato in quella maniera dai sostenitori di supremazia bianca appartenenti alla Black Legion, una sorta di KKK, di cui Spike Lee si è occupato in modo adeguato nel 2018 con il bellissimo BlacKkKlansman (recensione). La madre di Malcolm, originaria di Grenada, era per metà bianca, perché nata in seguito ad uno stupro da parte di un bianco, cosa normale per quei tempi. A causa delle persecuzioni e delle controversie sulle reali cause della morte del marito, Louise soffrì in seguito di gravi e ripetuti crolli emotivi. Alcuni anni dopo fu dichiarata insana di mente e rinchiusa in un istituto psichiatrico. I figli furono separati tra famiglie affidatarie diverse ed orfanotrofi. Malcolm terminò la scuola ottenendo i migliori risultati della sua classe ma abbandonò gli studi quando il suo insegnante preferito gli disse senza mezzi termini che diventare un avvocato di fama non era "un obiettivo realistico per un negro". Lasciata la scuola, Malcolm ebbe i primi problemi con la legge che lo portarono in un centro di detenzione, da cui uscì per trasferirsi per qualche tempo a Boston, presso la sorella maggiore. Da qui, dalle brutte esperienze giovanili, dai reati di criminalità (droga, prostituzione, scommesse clandestine) per cui fu condannato, dal carcere in cui era noto per la sua ribellione, da tutto ciò arrivò al contatto con i seguaci della Nation of Islam (NOI) e la conseguente conversione all’islamismo più radicale. Dal allora assunse il cognome di “X”, come gesto simbolico per cui lui, anche se nato non da schiavi, rifiutava il cognome dei padroni come si usava in quei tempi.


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Spike Lee segue e descrive il suo operato tra la gente che voleva rappresentare, puntando decisamente l’attenzione sulle impetuose orazioni, in cui esortava il popolo nero a ribellarsi e a riacquistare l’indipendenza che veniva dalla lontana Africa, patria di origine, facendosi però nemici proprio nell’associazione che lo aveva assorbito, gruppo dal quale probabilmente partì il commando che ebbe il compito di assassinarlo. Teoria che il regista sposa in toto e filma come un thriller d’azione. Un uomo così passionale, complesso, con una preparazione autodidatta, profondamente convinto delle proprie idee non poteva essere raccontato tanto brevemente e difatti il regista chiede tanto tempo: il film è lungo anche perché Lee si attarda sui primi anni narrati, con i vari episodi della sua gioventù, lungo spezzone introduttivo in cui compare lo stesso regista (vezzo quasi mai perso) come amico di bravate e bisbocce. Partendo da una premessa così lunga poi è stato necessario per lui ancor più tempo per raccontare la maturazione di Malcolm X a uomo politico e religioso, filmando episodi che, veri o non veri, sono rimasti nella mitologia del personaggio, come per esempio la scena in cui il protagonista spia dietro le tende della finestra con un fucile in mano così come fu fotografato in quei giorni. Oltre a metterci l’anima, come dicevo prima, ci ha messo tutto quello che era possibile della biografia, il tutto con una retorica che si rivela necessaria, perché i discorsi erano densi e persuasivi ed esaltavano l’emozione degli ascoltatori, tutte persone alla ricerca di una guida che li portasse verso la liberazione.


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I cortei pacifici, i disordini, gli arresti, le uccisioni di questi giorni hanno riportato a galla il problema razziale che indubbiamente esiste e si trascina da sempre e che ogni tanto riaffiora tragicamente. Eppure, come un profeta dell’arte narrativa e visiva, Spike Lee era stato preannunciatore di ciò che è (ri)successo: Fa’ la cosa giusta. A rivederlo oggi fa impressione, uguale uguale, anche come la morte di Radio Raheem, soffocato da un poliziotto. Il Malcolm X di Lee è un film talmente sottovalutato, dal punto di vista artistico e di contenuto, che è un’ingiustizia non mostrarlo e non parlarne. Eppure, per il regista di Atlanta è un’opera molto importante, tanto che per assistere alla prima del film invitò tutti gli afroamericani a scioperare e a marinare la scuola: “Vi insegnerò una parte di storia americana che finora è stata tenuta nascosta.Malcolm Little, noto anche col nome islamico El-Hajj Malik El-Shabazz, è stato un uomo di forte carattere, polemico e combattivo, dalla convincente eloquenza, attivista per i diritti umani e indiscusso leader nei suoi anni della lotta degli afroamericani. Spike Lee ne fa un racconto che come al solito mette in scena l’odio verso i neri e lo spirito di ribellione che li anima per difesa e contrattacco, girando un film complesso e ambizioso. Partendo già con una fotografia dai colori accesi (particolare consueto per lui) e da una sequenza di brani musicali, perfino dal vivo, che credo sia la migliore colonna sonora in assoluto della storia del cinema. Impossibile elencarli tutti, ma immaginate quale film possa contenere al suo interno voci come Aretha Franklin, Lionel Hampton, Ella Fitzgerald, Count Basie, Billie Holliday, Perry Como, John Coltrane, Duke Ellington, solo per citarne una parte. Un film che si potrebbe anche solo ascoltare.


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Film grandioso che può anche stancare l’attenzione per la sua lunghezza, ma il piccolo/grande regista non voleva risparmiare nulla e ha ritenuto tutto necessario, quasi per celebrare appieno il personaggio e il contenuto dei suoi discorsi. E per fare ciò era necessario un attore in gran forma e di indiscusso talento. Questo era semplicemente un grandioso Denzel Washington, attore simbolo della filmografia del regista, grande rappresentante del black cinema. Enorme, vigoroso come il personaggio, cangiante come la sua vita, pronto ad ogni guizzo narrativo. Ovviamente apprezzato da tutti: premiato a Berlino 1993 e candidato sia agli Oscar che ai Golden Globe. Accanto a lui la pregevole Angela Bassett e l’affezionato amico di sempre del regista Delroy Lindo.



 
 
 

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