Blonde (2022)
- michemar

- 30 set 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 8 apr

Blonde
USA 2022 dramma 2h46’
Regia: Andrew Dominik
Soggetto: Joyce Carol Oates (romanzo)
Sceneggiatura: Andrew Dominik
Fotografia: Chayse Irvin
Montaggio: Adam Robinson
Musiche: Nick Cave, Warren Ellis
Scenografia: Florencia Martin
Costumi: Jennifer Johnson
Ana de Armas: Marilyn Monroe / Norma Jeane Mortenson Baker
Adrien Brody: Arthur Miller
Bobby Cannavale: Joe DiMaggio
Julianne Nicholson: Gladys Pearl Baker
Evan Williams: Eddy Robinson Jr.
Xavier Samuel: Cass Chaplin
Vanessa Lemonides: voce Marilyn cantante
TRAMA: Una versione romanzata della vita di Marilyn Monroe, basata sull'omonimo romanzo del 1999 di Joyce Carol Oates.
Voto 6

Intenzionalmente, ho scelto di specificare il genere del film con “dramma” e non, come verrebbe spontaneo, “biografico”, perché il romanzo omonimo della scrittrice americana Joyce Carol Oates è parecchio romanzato e sicuramente si discosta non poco da ciò che è realmente successo nella vita della iconica diva protagonista del film. Non si tratta solo di riferimento alle scene scritte nella sceneggiatura ma anche alla lettura molto personale da parte della scrittrice a proposito delle burrascose vicende che Marilyn Monroe ha incontrato nella sua non lunga esistenza, tra mariti, amanti e amicizie forse sempre sbagliati. Il film è stato scritto e diretto da Andrew Dominik, regista soprattutto noto per due film molto pregevoli (L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e Cogan - Killing Them Softly) titoli che vedono Brad Pitt non solo come protagonista, ma anche nelle vesti di produttore, come pure in questa occasione.

Quello che colpisce principalmente è che il film si rivela una storia ad alto tasso di drammaticità, una sequela delle tante vicende capitate a Norma Jeane Mortenson Baker molto sfortunate, sempre solo apparentemente a lei favorevoli, ma sempre portatrici di conseguenze negative. Ogni volta, per esempio, si illudeva di aver trovato l’uomo giusto ed invece solo dopo poco tempo esplodeva l’incongruenza della scelta e il matrimonio crollava: l’amore inizialmente fiorito cadeva ben presto nell’equivoco della gelosia, della incomprensione o del semplice, ma grave, fraintendimento del sentimento. Oppure, elemento che destabilizzò ogni volta la mente e l’esistenza della donna, i tre aborti, voluti o causati da accidenti, che ogni volta sconvolgeva e distruggeva la sua grande voglia di essere madre, lei che aveva il peggior ricordo possibile dei genitori. La madre Gladys era malata di mente e in un terribile momento tentò addirittura di affogare la sua piccola Norma nella vasca da bagno, e poi, in seguito, visse il resto della vita in un ospedale psichiatrico. Il padre, invece, fu il fantasma della sua intera esistenza: da bambina sentiva parlare di un uomo che lavorava lontano, da grande fu vittima di una fantomatica relazione epistolare poi rivelatasi una truffa che le fece molto male, essendo sempre vissuta nella speranza di ritrovarlo per riceve quell’affetto paterno che le era sempre mancato. Una lacuna affettiva che la perseguiterà ogni giorno, specialmente nei momenti difficili, quelli della solitudine che si affacciava frequentemente benché sempre cercata dagli uomini, pure e ferocemente nell’ultima notte, dopo aver ricevuto un pacco contenente il leoncino di peluche della sua infanzia ed un biglietto che credeva del padre, inesistente. Una pillola e un sorso di alcol, un’altra pillola ed un altro sorso di alcol e così via, fine a perdersi per sempre nel sonno. Pelle bianca su un letto di lenzuola ancor più bianche, immobile, senza alcuna espressione, mentre si sdoppia e il secondo corpo che si accoccola intorno al grande cuscino in una delle più celebri pose, immortalata da uno dei tanti prestigiosi fotografi che l’hanno fissata per l’eternità tra le luminose stelle che brillavano nel cielo in quella notte trascorsa con i “gemelli” Eddy e Cass.


Il film è un susseguirsi, per più di due ore e mezza, di episodi angoscianti, uno più sfortunato dell’altro e intervallati da solo qualche momento di apparente felicità e serenità, segnati da fin troppo facili innamoramenti di uomini così diversi tra loro che è difficile giustificarne l’infatuazione: da un campione di baseball non più in attività, alquanto geloso e violento, ad un intellettuale, scrittore di successo, il passo è fin troppo lungo e difficile da capire. Ma tutto sta, ancora una volta, a dimostrare quale bisogno di amore e affetto lei avesse. E, contemporaneamente, nulla viene mostrato sui motivi che conducevano al crollo del legame, con conseguente separazione sofferta. Mai sofferenza, però, quanto quella patita nei primi due aborti: il primo per non rovinare la carriera appena iniziata (con una gravidanza derivata dallo stupro di un produttore) ma che lei voleva bloccare al momento del ricovero; il secondo per una rovinosa caduta su una spiaggia del Maine dove era in vacanza con Arthur Miller ed una coppia di amici (che la mettevano a disagio, altro suo frequente imbarazzo per eccesso di umiltà e consapevolezza di ignoranza). Due perdite che patì molto, mentre del terzo aborto fu vittima del presidente John Kennedy, altra esperienza relazionale totalmente negativa.


Tutta la sofferenza patita, la difficile infanzia, i ripetuti abusi sessuali subiti, la mancanza di un appoggio psicologico nei momenti difficili da superare, l’assenza assoluta di un’amicizia vera o anche non sincera (eccettuato il periodo trascorso con i due lussuriosi e sbandati “gemelli” tra le cui braccia si abbandonò concedendo il corpo ad ogni tipo di gioco erotico), la perdita dei figli mai nati, l’attesa illusoria del padre, gli abbandoni subiti dai partner, tutto ciò può giustificare la scelta di Andrew Dominik di far recitare la bellissima Ana de Armas con una voce flebile, da gattina che emette fusa malinconiche, sottovoce, quasi non volesse disturbare il mondo, ma dominarlo solo con il suo prorompente corpo? Perché il regista non ha fatto interpretare Marilyn con una voce realistica? Ma i motivi veri per un giudizio non positivo del film sono altri e in primo luogo la freddezza dell’intera opera. Tanto calore e impegno, tanta passione - almeno nelle intenzioni - ci ha messo l’attrice, altrettanto glaciale e poco emotiva è la conduzione del film. Monocorde. Che è la cosa peggiore che possa capitare ad un biopic su una donna come questa. Inoltre, non è giustificabile il continuo infierire sul corpo esibito in diversi frangenti e non solo nelle scene di sesso (che pure abbonda), fino al culmine inutile, nel prefinale, della fellatio a John Kennedy – dissacrato anch’egli, in una scena mortificante, fotografato come un uomo lurido ed egoista che tratta una volgare prostituta - mostrata quasi come una (finta) scena esplicita, che la stessa attrice teme possa prossimamente diventare virale a scopo ludico (e lo diventerà di certo). Non si tratta del problema se mostrarlo o meno (ci sono film in cui quell’atto è molto significativo, come succede nel meraviglioso Intimacy - Nell'intimità), ma qui sicuramente risulta una sequenza violenta e disturbante. Nel frattempo, il film viaggia con un perenne primo piano sul viso della diva, in ogni occasione, per esprimere i vari stati d’animo a seconda del momento contingente. Sempre con fissa espressività, puntando e sfruttando come punto di partenza le foto più diffuse e famose di MM, scattate dai celebri fotografi: gli occhi truccati in maniera identica alla vera attrice, il rossetto disegnato sulle labbra uguale all’originale, le pettinature scontate e conosciute delle migliaia di immagini passate alla storia, le pose rinomate. Tutta imitazione e poca interpretazione da parte della regia, che Ana de Armas asseconda passivamente.

No, contrariamente a ciò che molti si aspettavano, non è la celebrazione del mito biondo, non è una biografia scritta per prolungare il ricordo di una donna fortunata molto sfortunata, che avrebbe potuto avere il successo per decenni e che invece finì presto e male, affogata nella schiavitù medicinale di barbiturici e ansiolitici ingurgitati con l’alcol, una sorta di autodistruzione inconscia. No, il film è la vivisezione di un corpo e di una mente, lo sfruttamento che subì in entrambi, l’utilizzo del suo nome per fare cassetta, la spietatezza del circo hollywoodiano, mentre lei voleva solo essere una donna del mondo, attrice per vocazione e talento, forse più brava di quello che si ritiene comunemente. E se questo era l’obiettivo di Andrew Dominik non lo ha reso chiaramente, mentre la bella Ana de Armas si è involontariamente resa strumento come la stessa Marilyn, facendone una copia non bellissima: il nudo nel cinema è normale e spesso funzionale alla narrazione ma ho dubbi sull’utilizzo che se ne è fatto stavolta, anche perché gli autori più bravi non lo hanno mai reso necessario, al massimo strumentale ai fini dello sviluppo della trama. Non è un film che provoca emozione, al massimo la compassione per una vita sprecata, per un essere umano bistrattato, limitato dalla freddezza e dagli eccessivi primi piani per ingrandire i particolari che già conoscevamo da sempre. Non basta dipingere un neo, ci vuole anche l’anima. E quella non c’è.
Quanto volte l’ho scritto? Il biopic è un campo minato e si rischia tutte le volte di saltare all’aria.

Mi piace immaginare cosa e chi sarebbe stata in una vita diversa, non prigioniera di sé, del suo personaggio, in un mondo che le avesse voluto bene, che l’avesse lasciata in pace e meno aggredita. Povera, meravigliosa Norma Jeane!






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