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Bronson (2008)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 20 dic 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

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Bronson

UK/Danimarca 2008 dramma 1h32’


Regia: Nicolas Winding Refn

Sceneggiatura: Brock Norman Brock, Nicolas Winding Refn

Fotografia: Larry Smith

Montaggio: Matthew Newman

Musiche: Johnny Jewel

Scenografia: Adrian Smith

Costumi: Sian Jenkins


Tom Hardy: Bronson

Kelly Adams: Irene

Matt King: Paul Daniels

James Lance: Phil Danielson

Amanda Burton: madre di Charles

Andrew Forbes: padre di Charles

Katy Barker: Julie

James Lance: Phil

Jonny Phillips: direttore del carcere


TRAMA: Nel 1974 Michael Peterson ha 19 anni e un sogno: diventare una celebrità. In cerca di fama, si fabbrica una pistola e rapina un ufficio postale. Inizialmente condannato a sette anni di reclusione, in prigione si scopre incapace di controllare la propria indole violenta e finisce per passare dietro le sbarre ben 34 anni, durante i quali si crea un alter ego ispirato al noto attore Charles Bronson.


Voto 7

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Tra la trilogia Pusher che lo aveva lanciato in campo internazionale e prima dell’affascinante Valhalla Rising - Regno di sangue (che precedette di due anni il film che lo avrebbe reso celebre, Drive) Nicolas Winding Refn si conferma un autore di opere molto differenti dal panorama di quegli anni tramite una pellicola che merita alcuni aggettivi che sono anche contraddittori: sconcertante, spettacolare, artistico, respingente, e via così. Il motivo è presto detto. Il protagonista è una persona realmente esistente e questa ne è la sua storia: MichaelGordon Peterson, nato nella città inglese di Luton il 6 dicembre 1952, adottò in seguito il nome di CharlesSalvador, dopo essere stato Charles Bronson e Charles Ali Ahmed, a seconda dei periodi della vita e di ciò che voleva essere. Questa evoluzione spiega già in partenza la sua instabilità anche mentale e ciò che perseguiva. Che in definitiva consisteva nel voler essere in qualsiasi modo famoso, noto a tutto il mondo che lo circondava, e anche oltre. Storicamente è tutt’oggi considerato come “il più violento prigioniero britannico vivente” e questo basterebbe a racchiudere il quadro d’insieme della sua personalità. Quale sarebbe stata la sua scelta per affermare la propria notorietà è semplice: tramite la violenza. E la sua biografia lo dice chiaramente.


Da giovanissimo lui era solo un piccolo criminale, prima di essere condannato a sette anni di reclusione nel 1974 per una rapina ad un ufficio postale con una pistola costruita da sé. Mentre era in prigione ha cominciato a farsi un nome come mina vagante, scatenando spesso risse con altri detenuti e con guardie carcerarie. Considerato come un prigioniero problematico, è stato spostato ben 120 volte (!) tra le carceri del Regno Unito ed ha trascorso la maggior parte del tempo in cella di isolamento. La sua condanna, in origine a sette anni, si trasformò in quattordici anni di detenzione, e questo portò la sua prima moglie Irene, dalla quale ebbe un figlio, a divorziare. Rilasciato nell’ottobre 1988, trascorse solo 69 giorni da uomo libero prima di essere arrestato di nuovo. Subito dopo il suo rilascio intraprese una carriera di pugile a mani nude nell’East End di Londra. Fu il suo promotore, ritenendo che avesse bisogno di un nome più suggestivo, a suggerirgli di cambiare legalmente il suo nome in Charles Bronson, prendendo spunto dall’omonimo attore, cosa che ha fatto nel 1987, dopo il rilascio. Tornato in carcere , appunto 69 giorni dopo il rilascio per una nuova condanna, dovuta alla pianificazione di una rapina, ha continuato ad essere un detenuto difficile. Nel 1992 resta in libertà per 53 giorni. In carcere nel 2001 sposa la sua seconda moglie, una divorziata originaria del Bangladesh che lo ha ispirato a convertirsi alla religione islamica e a prendere il nome di Charles AliAhmed. Il matrimonio dura solo quattro anni e nel 2005 i due hanno divorziato e Charles ha rinunciato anche a quella religione. A causa della sua condotta violenta, la sua condanna fu convertita in ergastolo. Il 3 agosto 2014 annuncia il suo cambio di nome da Charles Bronson a Charles Salvador, in onore di Salvador Dalí. Durante una visita in prigione il 13 febbraio 2017, Charles chiede all’attrice Paula Williamson di sposarlo e lei accetta. Questa arriva ad affermare: “Sono follemente innamorata di Charlie e lui lo è di me. Ma nemmeno io riesco a credere di stare per sposare il più famigerato detenuto della Gran Bretagna. Vogliamo solo essere una coppia normale.”. Ammesso che tutta questa cronaca sia normale. Ma tant’è.

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A prescindere da quello che avviene dopo nella vita di quest’uomo, il regista danese punta su un racconto che possa esprimersi al meglio per esplorare la personalità di un personaggio problematico e girando molte scene in cui Bronson evidenzia tutta la violenza che è in lui, racchiusa in un corpo coltivato per la potenza. Ovviamente prendendosi alcune libertà dalla stretta cronaca ai fini di una narrazione adeguatamente filmica. Il risultato è un film altamente spettacolare e (mi si passi il termine) cinetico, nel senso del continuo movimento fisico e mentale, un vulcano in continua eruzione, una irresponsabile (e forse anche studiata) volontà ferrea di continuare a sbalordire. E più si parla di lui, più si esalta. Oltretutto perché non si esibisce solo come persona violenta ma anche come attore convinto delle sue qualità recitative: d’altronde anche su un palcoscenico se fai ridere e ti fai ammirare vuol dire che ci stai riuscendo.

Sin dalle prime inquadrature capiamo che, come il personaggio, anche il film non si presenta lineare. Charlie (o come lo si voglia appellare) racconta la propria vita da narratore, sia seduto davanti alla macchina da presa come in un interrogatorio, sia nelle vesti di un comico teatrale, dinanzi a una platea pronta a ridere e ad applaudire nelle scene clou. Charlie spiega che ciò che lo motiva non è il desiderio di fare del male (era molto legato ai genitori, scommetto pure che “saluta sempre”) bensì la ricerca di notorietà, perseguita mediante la scelta del nome e la violenza che esplode all’interno della gabbia nei confronti delle guardie. Una furia che per qualche ragione diventa arte e ispirazione per il suo artefice.

Girare un film di questo tipo vuol dire anche che Refn va a nozze con il suo cinema preferito, che possa, cioè, sbalordire e sorprendere, tanto che la sua regia è certamente riuscita. Il problema principale, immagino, era trovare l’attore giusto: e chi meglio di Tom Hardy, con il suo possente fisico marziale, con un passato non del tutto limpido prima di trovarsi sui set dei tanti film in cui ha recitato? Hardy non è che sa solo interpretare al meglio questo personaggio fuori dalle righe (eufemismo) ma lo diventa del tutto. Lui È Bronson e, si se ha la pazienza e la predisposizione giusta per vedere un film del genere. lo si capisce prontamente e si ha così modo di ammirare la sua notevolissima performance. Una coppia regista-attore che è un matrimonio artistico altamente interessante.

Da non trascurare un aspetto collaterale del film. Refn affronta la tematica del carcere con grottesca ironia e una sottile critica al sistema giudiziario, come spesso accade quando un regista entra in una prigione, facendoci riflettere sulla giustizia dietro le sbarre spesso dubbia. Ma per Bronson (e può sembrare un paradosso) la libertà maggiore è proprio la prigione, perché solo lì può esprimere se stesso e la sua arte nascosta, innata, congeniale. Così il film viene diretto seguendo le battaglie interiori del protagonista, passando spesso da una messa in scena cruda a una più elegante e ricercata, in cui la composizione dell’immagine è curata nei minimi dettagli, assistita da una colonna sonora ricca di tracce classiche e di musica d’avanguardia. Lo scopo è chiaro: è la ricerca della bellezza nella violenza, dell’arte nella prigionia, che divengono lo scopo di vita di un personaggio che per tutta la vita ha lottato per capire il suo posto nel mondo. E, anche se non si può dire di poterne condividere gli ideali e le azioni, si rimane comunque folgorati da questo biopic anarchico e controverso.

L’importante è, se non lo si conosce, sapere prima di cosa si tratta. Se si è predisposti verrà apprezzato.

Tom Hardy, che già aveva girato molti film, soprattutto d’azione, con questo film sale diversi gradini nella scala che porta nell’olimpo delle star del cinema.

Quando un attore incontra il personaggio perfetto per sé.


 
 
 

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