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C'era una volta a... Hollywood (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 dic 2019
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 19 dic 2023


C'era una volta a... Hollywood

(Once Upon a Time... in Hollywood) USA/UK/Cina 2019 commedia 2h41’


Regia: Quentin Tarantino

Sceneggiatura: Quentin Tarantino

Fotografia: Robert Richardson

Montaggio: Fred Raskin

Scenografia: Barbara Ling

Costumi: Arianne Phillips


Leonardo DiCaprio: Rick Dalton

Brad Pitt: Cliff Booth

Margot Robbie: Sharon Tate

Emile Hirsch: Jay Sebring

Margaret Qualley: Pussycat

Timothy Olyphant: James Stacy

Julia Butters: Trudi Fraser

Austin Butler: Charles "Tex" Watson

Dakota Fanning: Lynette "Squeaky" Fromme

Bruce Dern: George Spahn

Mike Moh: Bruce Lee

Luke Perry: Wayne Maunder

Damian Lewis: Steve McQueen

Al Pacino: Marvin Schwarzs

Nicholas Hammond: Sam Wanamaker

Samantha Robinson: Abigail Folger

Rafał Zawierucha: Roman Polański

Lorenza Izzo: Francesca Capucci

Costa Ronin: Wojciech Frykowski

Damon Herriman: Charles Manson

Scoot McNairy: "Business" Bob Gilbert

Kurt Russell: Randy

Michael Madsen: sceriffo Hackett


TRAMA: Rick Dalton, un attore televisivo, e Cliff Booth, la sua controfigura, intraprendono una personalissima odissea per affermarsi nell'industria cinematografica nella Los Angeles del 1969, segnata dagli omicidi di Charles Manson.


Voto 7,5

Tre i personaggi principali, tre nomi eccellenti della Hollywood odierna, tra i quali secondo il mio parere non c’è un unico protagonista - anche se indubbiamente il Dick Dalton di Leonardo DiCaprio è l’asse portante della trama - in quanto il bel personaggio di Cliff Booth, un Brad Pitt in forma eccellente (anche fisica), non è mai da meno rispetto al bel Leo. Perché entrambi hanno un copione molto denso e interessante e la macchina da presa segue, quando sono separati, le loro vicende a lungo, come fossero appunto due protagonisti. Nello stesso tempo però mi è sembrato importante, soprattutto come nome simbolico – quello di Sharon Tate – ma con pochi minuti a disposizione come personaggio, quello della bellissima Margot Robbie, che è stata portata in giro per il mondo nel battage pubblicitario e nelle prime nazionali come una vera diva e co-protagonista del film. In realtà non ha molte battute, mentre i due uomini conducono per quasi tutta la durata il film nelle varie sequenze. È servita più come centro di attenzione che come soggetto di storia, più come richiamo che come sostanza, dato che veniva dato molto risalto al tragico avvenimento che spense la vita della bella moglie di Roman Polanski e dei suoi amici ad opera di una setta indiavolata. La vera sorpresa è che il lungo film di Tarantino termina con un omaggio impensabile proprio verso la povera donna, un regalo inatteso, che per necessità non va mai assolutamente spoilerato: fa parte integrante del film e quindi tenuto segreto per forza e per onestà.

Per buona parte della durata, il film, eccettuata l’adeguata e necessaria descrizione dell’ambiente hollywoodiano e delle atmosfere che si vivevano in quegli anni, si offre senza particolari spunti eclatanti in quanto ci illustra la vita del protagonista Rick Dalton che di mestiere fa l’attore di telefilm con un certo successo, è ben conosciuto dal pubblico affezionato, ma che gli danno scarsa soddisfazione artistica essendo l’eroe di serie TV poliziesche di valore mediocre e perfino gli spot pubblicitari che lo vedono sorridente protagonista riguardano prodotti di non eccelsa qualità. La sua aspirazione è affermarsi nel grande cinema, ma le occasioni non si presentano e ciò lo demoralizza parecchio. Gli dà man forte sia nel disbrigo delle faccende della vita quotidiana che come conforto morale il fidato Cliff Booth, una volta anch’egli attore, ma che l’uccisione accidentale della moglie ha allontanato dai vari casting: tutti lo evitano, tranne appunto Dalton, a cui presta la sua opera di valente stuntman, oltre che di autista e tuttofare. Quando all’attore si presenta l’occasione di trasferirsi in Italia per girare qualche spaghetti-western con la regia di uno specialista come Sandro Corbucci, egli accetta malvolentieri avendo sognato una carriera ben diversa e in ben altri generi di film. I suoi progetti non prevedevano B-movies ma film di successo.

Il film viaggia su tre percorsi differenti e paralleli, seguendo la collaborazione tra i due uomini e contemporaneamente la vita distinta di ognuno di loro. Le scorrazzate in auto e le prestazioni di controfigura li tengono assieme ma poi Rick e Cliff, pur vivendo nella stessa villa sulle colline di Hollywood, tra le abitazioni del jet-set del cinema (a fianco a loro vive Roman Polanski con la bellissima moglie Sharon Tate) hanno vite diverse. L’attore vive parecchio in casa per prepararsi ai ciak del giorno seguente, mentre lo stuntman ha modo di gironzolare per la zona con l’auto dell’attore e di venire così in contatto con una comunità hippie non molto raccomandabile, il cui capo è un certo Charles Manson. È il lungo tratto di film in cui avviene poco eccettuato qualche scena divertente ma utile per capire le difficoltà psicologiche dell’attore e il carattere sicuro e baldanzoso di Cliff, due destini che arrancano nell’affermarsi nella società, due persone che cercano il loro futuro. La svolta della trama e l’accensione del turbo tarantiniano avvengono solo quando manca meno di mezz’ora dalla fine, allorquando i fuochi d’artificio della sceneggiatura del regista del Tennessee iniziano a scoppiettare di iniziative e di idee sorprendenti. È quando la banda sbandata degli hippies entra in azione con intenti omicidi sotto l’abbondante effetto lisergico delle droghe, convinta di avere vita facile grazie anche all’effetto sorpresa, ma si scontra con l’imperturbabile e roccioso (e veterano di guerra) Cliff. È finalmente giunto il momento per lo spargimento del mitico sangue tarantiniano, tra sparatorie, accoltellamenti e l’utilizzo di un vecchio lanciafiamme, degno strumento per la fama dell’estroso regista. È finalmente giunto il momento dello spettacolo che si è dovuto attendere per più di due ore, ma ne è valsa la pena. È una serie di contraccolpi senza risparmio di fantasia, tra il violento e lo spassoso, tra il meccanismo tradizionale della brutalità cinematografica e la sorprendente inventiva del regista. Si sobbalza e si ridacchia, nonostante qualche scena veramente feroce e cruenta.

Non facile scegliere chi tra Leonardo DiCaprio e Brad Pitt sia il ruolo più centrale e centrato. Il primo si è divertito a dipingersi un personaggio dall’espressione continuamente corrugata e accigliata, costantemente preoccupata di una carriera che non decolla, perennemente con una sigaretta tra le labbra e un bicchiere di chissà quali sostanze alcoliche, messo in difficoltà anche da una bambina saputella, vispa e intelligente conosciuta sul set del western in cui fa il pistolero cattivo, sempre insoddisfatto della vita noiosa che conduce, senza una donna, senza un legame affettivo se si esclude l’amicizia (ma di natura collaborativa) col fidato tuttofare. Brad Pitt invece ha un bel personaggio simpatico, coraggioso, paziente con il suo datore di lavoro che asseconda in ogni occasione, pronto a difenderlo, col sorriso pronto (che Brad sarebbe altrimenti?), che non cade nel tranello dell’invito della attraente ma sicuramente minorenne hippie Pussycat (l’emergente Margaret Qualley, la bella figliola di Andie MacDowell dal sicuro avvenire). Tarantino concede a Pitt l’onore di iniziare e condurre il finale pirotecnico dove gli invasati della banda Manson non pensavano di trovare un osso duro come il suo Cliff: calmo e tranquillo, senza mai farsi prendere dal panico, sembra il giustiziere della notte losangelina, Aldo l’Apache della truppa antinazista dei bastardi ingloriosi che torna. Il sorriso sarcastico è lo stesso, il portamento fiero e temerario non è cambiato, lo spettacolo è assicurato! Ma la ciliegina sulla torta nella violentissima sequenza finale spetta a Rick, il quale, come un reduce di quel branco senza gloria, tira fuori dal suo magazzino un lanciafiamme per chiudere degnamente la faccenda. Solo Tarantino è capace di far ridere in una sequenza spassosamente brutale: l’unico regista oggi nel panorama mondiale in grado di scherzare con il sangue e la violenza. Regista che sappiamo innamorato del western classico e all’italiana, a cui non sa quasi mai rinunciare in tutti i suoi film, tanto che anche qui si concede citazioni e nomi di riferimento del genere preferito, con tanto di omaggio agli autori italiani.

È un buonissimo film di intrattenimento, che rientra alla perfezione nei canoni del cinema tarantiniano, nonostante fosse stato mascherato, sin dall’inizio della campagna pubblicitaria, come un racconto molto attinente al tristemente noto eccidio di Cielo Drive, avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 agosto del 1969, che invece si rivela solo un pretesto per illustrare la vita poco dolce degli attori di media levatura e quella sontuosa delle star, ad iniziare propria dalla affascinante solitaria Sharon Tate (Roman Polanski è lontano per lavoro), che abita nella villa accanto al nostro Rick. È affettuosa e romantica la dedica con cui Tarantino omaggia il ricordo della Tate, quando ce la mostra andare ad una matinée per vedere un suo recente successo. Duplice festa, quindi, quella del regista: l’omaggio all’amato western e quello nostalgico del cinema che fu.

Quentin Tarantino in gran spolvero, non c’è dubbio, pur se per un film per cui non si può gridare al miracolo: secondo me è soltanto un buonissimo film, preparato molto attentamente nei particolari, con tutta la sua nota cinefilia ero(t)ica, la sua cultura pop, molto ben fotografata da Robert Richardson con i colori forti degli anni Sessanta, del cielo azzurro e dei tramonti dorati californiani. Il tutto condito adeguatamente da notissimi brani musicali dell’epoca, con l’apicale sanguinoso momento finale in cui domina la musica rock-psichedelica dei miei amati Vanilla Fudge con uno dei loro maggiori successi, You keep me hangin' on, che fu lanciato al successo dalle Supremes di Diana Ross.

I due importanti e pesanti attori protagonisti rispondono molto bene alla chiamata, con una chiara prevalenza a mio parere di un brillantissimo Brad Pitt, che riesce a dare un’impronta personale molto forte. I pochi minuti concessi al personaggio di Sharon Tate non spengono la luce di Margot Robbie, che nelle poche scene in cui compare illumina tutto lo schermo: lei non è solo bella e non si sente mai in obbligo di usare la sua perfezione fisica, lo dimostra quando accetta ruoli antipatici come quello che l’ha vista campionessa di pattinaggio (Tonya, vedi recensione) o come quello impegnativo nell’attuale Bombshell.

Confermo: buono, buonissimo film, che alimenta la leggenda del regista, il quale giustamente ha sempre tenuto a secretare il finale, dovere che spetta anche a chiunque di noi, che abbiamo visto il film, nei confronti di chi lo deve ancora vedere.

Riconoscimenti

2020 - Premio Oscar

Miglior attore non protagonista a Brad Pitt

Migliore scenografia

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior regista

Candidatura per il miglior attore protagonista a Leonardo DiCaprio

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale

Candidatura per la migliore fotografia

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior sonoro

Candidatura per il miglior montaggio sonoro

2020 - Golden Globe

Miglior film commedia o musicale

Miglior attore non protagonista in un film a Brad Pitt

Miglior sceneggiatura in un film

Candidatura per il miglior regista di un film

Candidatura per il miglior attore in un film commedia o musicale a Leonardo DiCaprio


 
 
 

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