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C'mon C'mon (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 nov 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 8 giu 2023


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C'mon C'mon

USA 2021 dramma 1h49’


Regia: Mike Mills

Sceneggiatura: Mike Mills

Fotografia: Robbie Ryan

Montaggio: Jennifer Vecchiarello

Musiche: Aaron e Bryce Dessner

Scenografia: Katie Byron

Costumi: Katina Danabassis


Joaquin Phoenix: Johnny

Gaby Hoffmann: Viv

Woody Norman: Jesse

Scoot McNairy: Paul

Jaboukie Young-White: Fernando

Molly Webster: Roxanne


TRAMA: Quando sua sorella gli chiede di prendersi cura di suo figlio, un giornalista radiofonico intraprende un viaggio attraverso il paese con il suo energico nipote per mostrargli la vita lontano da Los Angeles.


Voto 7

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Diretto e sceneggiato da Mike Mills (autore del simpatico Beginners), si racconta di Johnny, un giornalista radiofonico molto preso da un progetto di lavoro che lo porta in giro per l'America a intervistare i bambini sul futuro incerto del nostro mondo. Quando sua sorella Viv gli chiede di badare a suo figlio di 8 anni Jesse, mentre lei si occupa del padre del bambino che ha problemi mentali, Johnny si trova a legare con il nipote in una maniera che mai avrebbe previsto, portandolo con sé in un viaggio da Los Angeles a New York e New Orleans. È la storia di un uomo di mezza età che impara a prendersi cura di un bambino per la prima volta, ambientata in un panorama di città e problematiche americane del ventunesimo secolo. È il racconto di un adulto che impara a trattare i bisogni, le preoccupazioni e le gioie di un bambino con pieno rispetto, comprendendo quanto siano diversi ma non inferiori a quelli di un adulto. Johnny e Jesse si ritrovano improvvisamente insieme in un momento di crisi, della loro famiglia e del mondo. Il tempo insieme è un viaggio fugace che li trasforma, che cambia il modo in cui vedono gli altri e quello in cui vedono se stessi. Mentre viaggiano attraverso gli Stati Uniti, gli alti e bassi di questa odissea personale e pubblica si trasformano in una meditazione incandescente sull'amore, la genitorialità, la memoria e sull’andare avanti anche se non si ha idea di cosa accadrà.

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Più che un film con una vera trama, che è indubbiamente scarna – in fondo, è una storia che si sviluppa nelle grandi strade delle metropoli americane, da una città all’altra -, è un’opera che si basa principalmente sui dialoghi continui e logorroici (come il piccolo protagonista) tra i tre personaggi centrali. Viv che parla continuamente di sé, delle difficoltà di moglie di un uomo complicato psicologicamente e di madre preoccupata di ciò che deve insegnare al figlio e come dargli le giuste indicazioni per crescere bene mentalmente; Jesse, il piccolo irrequieto che si ritrova forzatamente a convivere con uno zio che conosce quasi niente, a cui non sa se affidarsi e di cui fidarsi, a cui lentamente confida una parte dei suoi problemi e dubbi di bambino in pratica senza padre; Johnny che ha una vita abbastanza impegnata in un lavoro di interviste pazienti verso gli adolescenti ed è sempre in giro per gli States. L’interconnessione tra i tre è abbastanza problematica principalmente perché i due germani non sono mai andati eccessivamente d’accordo, ad iniziare dalla storia della anziana madre, malata degente in una struttura, su cui litigavano per come trattarla. Litigi cessati dopo la morte della donna ma rimasti a dormire negli animi dei due, che non si sono più parlati molto.

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Adesso che Viv non sa come gestire il figlio per andare a convincere il marito in una clinica a curarsi, deve intervenire con malavoglia Johnny, che per un po’ resta nella casa ma poi, pressato dai produttori del lavoro che svolge, convince la sorella a portarsi dietro il ragazzino e tornare a fare le sue interviste. La convivenza li tiene inevitabilmente assieme, notte e giorno: l’uomo si deve portare in giro il nipotino (non trovando altre soluzioni), che trova divertente quel modo di lavorare e trascorrere l’intera giornata per le strade e si trastulla con le attrezzature tecniche, a volte godendo il cambiamento, spesso annoiandosi. Frequentemente avverte la mancanza della mamma e non nasconde quella perdurante del padre. Johnny, continuando la sua attività, si fa un po’ padre adottivo avvertendo la necessità e la responsabilità di tenere alto il morale del piccolo e di sostituirsi alla madre nell’insegnamento dei principi morali indispensabili per una buona e corretta crescita. Questa anomala situazione conduce ad una maturazione di entrambi, anche sua dal momento che si trova a gestire una sorta di figlio che non ha e ciò lo porta anche a considerare la sua vita di scapolo, confessando all’altro che sì, la ha avuta una donna e la ama ancora. Segreto che Jesse capisce sino ad un certo punto, non giustificando tale anomalia.

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La trama non è l’ossatura portante del film: è solo un pretesto per descrivere il rapporto sui generis che nasce tra i due in continuo movimento. Giocano, parlano, osservano, l’uno aiuta a fare anche i compiti che la donna spedisce dalla scuola, ma l’asse portante del film è tutta nei dialoghi tra i due e tra fratello e sorella, che per telefono riesumano i vecchi attriti e i bei ricordi, chiarendosi e confortandosi a vicenda. Il film si sviluppa, quindi, essenzialmente sui lunghi, frenetici, curiosi e fruttuosi dialoghi tra zio e nipote. Umanamente l’opera diventa emozionante quando Johnny svolge la sua professione intervistando gli adolescenti che incontra: la semplicità e la naturalezza con cui questi confidano i timori, le speranze, le attese per il futuro incerto che li aspetta sono così commoventi e sinceri che fanno sia sorridere che spaventare, tanto sono realmente veritieri. Fino a far sentire noi adulti in colpa per non esserci preoccupati di lasciar loro un mondo migliore, per non aver fatto sì che trovassero condizioni più agevoli, per averli fatti crescere con tante perplessità. È la parte forse più bella del film vederli e udirli mentre si esprimono con tanta schiettezza e lealtà, con espressioni del viso e degli occhi, con gestualità così naturale che si ha la netta impressione che non siano stati preventivamente preparati con una ben precisa sceneggiatura. Sembrano interviste da inchiesta giornalistica sul campo, non un copione scritto, e fanno tanta tenerezza che commuovono. E siccome siamo negli Stati Uniti è meraviglioso notare a quante etnie differenti appartengono questi magnifici adolescenti. Ma ciò fa solo da contorno e da interruzione nel rapporto tra zio e nipote, che attraversa alti e bassi, com’è ovvio che accada in questa situazione. Jesse è un ragazzino di carattere, parla tanto, fa molte domande, ogni tanto fa prendere un colpo allo zio sparendo alla vista costringendolo a urlare il suo nome e cercarlo tra la gente numerosa delle strade affollate e nelle corsie dei supermercati ma soprattutto lasciandolo interdetto quando, comprato già il biglietto aereo per farlo tornare a casa, si barrica nel bagno di un bar perché ha paura di tornare indietro a casa. Ah, quant’è difficile capire i bambini, le loro intime sensazioni, esigenze, necessità, i loro segreti pensieri, ciò che è più adatto a farli star bene!

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È un racconto carico di emozioni ma anche di divertimento di un uomo adulto che deve gestire un bimbo mai avuto, di un bimbo che deve adattarsi ad un parente quasi sconosciuto. Attraverso momenti piacevoli, momenti tristi, notti silenziose e giornate sorprendenti, Johnny e Jesse trovano una fiducia momentanea, che li trasforma. Provano a tenersi stretti nei momenti di ansia, a dirsi ciò che di solito non dicono, a togliersi dai guai. E man mano che si avvicinano, la storia si espande fino a toccare temi molto più grandi: la nostra interconnessione, ciò che aspettiamo dal futuro, ciò di cui abbiamo memoria, le persone che ricordiamo del nostro passato; il prendersi cura l’uno dell’altro diventa così un modo per guarire quando ci si muove verso l’ignoto. C’mon”! C’mon! Dai, dai, proviamoci che ce la facciamo!

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La regia li segue, ce li trasmette, ce li porta addosso, come fa Johnny con Jesse, li inquadra senza trascurare di fotografare nella bellezza del bianco e nero le città americane con voli aerei, donandoci panorami affascinanti di grattacieli e cieli sereni, e con riprese ad altezza uomo/bambino per strada e nelle piazze, oltre che nelle case degli sbalorditivi intervistati, comprimari essenziali nella prospettiva del bel film di Mike Mills. Se Gaby Hoffmann è un’attrice che rende molto bene l’idea di una donna costretta a risolvere da sola molto problemi familiari e quindi di conseguenza nevrotica e sempre in affanno, il piccolo Woody Norman è, ancora una volta, il sorprendente ragazzino capace di reggere un intero film recitando come se lo avesse sempre fatto, ammirevole. Ma la menzione speciale e primaria è per quell’attore che non finisce mai di stupire chiamato Joaquin Phoenix, che vediamo continuamente cangiare postura, faccia, registro ad ogni film. Stavolta ha il viso sereno di un uomo che si carica di un compito non facile, che ha raggiunto la maturità per farlo, che si adegua all’altezza minima di un bimbo, che scopre come sia bello giocare e comportarsi come un ragazzino, che apprende quanto sia bello e difficile essere genitore. Un volto così limpido e luminoso, sorridente e rilassato che non si può fare a meno di pensare quanto si sia sentito pronto per un ruolo del genere dopo che ha avuto, dalla carissima Rooney Mara, il suo primo figlio (River, come il suo mitico fratello): era pronto, è evidente. Per questo ha quella felice espressione che esalta il suo sguardo chiaro, di colore e di visione.

Buonissimo film, che obbligatoriamente va visto con attenzione perché, fatto di dialoghi, è impegnativo ma anche piacevole se si colgono tutte le sfumature delle parole.



 
 
 

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