Cadaveri eccellenti (1976)
- michemar

- 22 dic 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 2 giu 2023

Cadaveri eccellenti
Italia/Francia 1976 dramma 2h
Regia: Francesco Rosi
Soggetto: Leonardo Sciascia (Il contesto)
Sceneggiatura: Tonino Guerra, Lino Iannuzzi, Francesco Rosi
Fotografia: Pasqualino De Santis
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Musiche: Piero Piccioni
Scenografia: Andrea Crisanti
Costumi: Enrico Sabbatini
Lino Ventura: isp. Amerigo Rogas
Renato Salvatori: comm. di polizia
Max von Sydow: presidente Riches
Alain Cuny: giudice Rasto
Fernando Rey: Ministro della Sicurezza
Charles Vanel: procuratore Varga
Francesco Callari: giudice Sanza
Paolo Bonacelli: dottor Maxia
Tino Carraro: capo della polizia
Maria Carta: signora Cres
Luigi Pistilli: Cusano
Tina Aumont: la prostituta
Paolo Graziosi: Galano
Anna Proclemer: la signoraNocio
Alfonso Gatto: Vilfredo Nocio
TRAMA: Un ispettore di polizia, indagando sull'omicidio di tre giudici, trova una pista che lo porta a Roma, tra i palazzi del potere. Qui scopre un disegno eversivo organizzato da alcuni esponenti politici con la collaborazione di funzionari dello Stato. Riesce a comunicare con il segretario del Pci, ma qualcuno lo ferma prima che faccia giustizia.
Voto 8

“Io non faccio comizi o articoli di fondo, faccio film dove oltre alle parole c’è una certa luce, ci sono certe facce, certe piazze. È il mio modo di vedere la realtà: emozioni, sensazioni, ricordi che diventano immagine, movimento di macchina, espressione.” Così dichiarava Francesco Rosi in un’intervista a proposito di questa opera politicamente brutale, che, assieme agli altri suoi grandi film (principalmente Le mani sulla città) diventa quasi un unico discorso sulle commistioni e le connessioni tra la politica e il malaffare, anche mafioso.

La trama, necessaria per comprendere senza equivoci l’agghiacciante contenuto del racconto, prende lo spunto iniziale da fatti realmente accaduti. Lo scrittore - così pare, anche se lo stesso lo smentì - si ispirò alla storia del procuratore capo di Palermo Pietro Scaglione che fu assassinato nel 1971 insieme all’agente di scorta in circostanze molto simili a quelle narrate nel romanzo e nel film, cioè all’uscita dal Cimitero dei Cappuccini, dove si recava ogni giorno per un ossequio alla tomba della moglie. Ma vediamo la trama nei particolari.
In una regione dell'Italia del sud vengono uccisi alcuni magistrati. Incaricato delle indagini è l'ispettore di polizia Amerigo Rogas, il quale inizialmente indirizza le sue indagini negli ambienti mafiosi e successivamente verso tre persone, tutte giudicate e condannate a una pena detentiva dai magistrati assassinati e poi risultate innocenti, considerando come possibile movente la vendetta. I delitti iniziano ad avvenire anche nella capitale ed il capo della polizia impone a Rogas di indirizzare le indagini verso i gruppi di estrema sinistra, non più da solo ma agli ordini di un commissario della Squadra Politica. Tuttavia, l'ispettore progressivamente si convince che i delitti possano essere parte di un piano eversivo ordito da organi dello stato, incluso lo stesso capo della polizia. Una volta avutane la certezza, e scoprendo di essere sorvegliato, tenta di informare il segretario del PCI, al quale dà appuntamento in un museo; un killer, appostato sul luogo, uccide entrambi. A questo punto, come se non bastasse, la rivelazione della versione di copertura, comoda al potere: in un messaggio al telegiornale, il capo della polizia attribuisce l'uccisione del segretario del partito allo stesso Rogas, che avrebbe dato da tempo segni di squilibrio mentale. I dirigenti del PCI, pur conoscendo la verità, non ne approfittano, poiché giudicano prematura la conquista del potere. Piuttosto, preferiscono accettare la versione ufficiale per evitare scontri di piazza che avrebbero dato il pretesto per un colpo di Stato militare.

Il taglio scelto da Rosi è impeccabile e coniuga in modo spietato il classicismo radicato (vedi le statue dei cadaveri nel cimitero) con l’attualità brutale che quella terra e l’Italia intera stanno vivendo. Il mondo di “allora” era così diverso? Storicamente, il nostro Paese, dal dopoguerra a nostri giorni, ha la caratteristica, quasi impareggiabile nelle altre nazioni, di cambiare i governi con la stessa frequenza dei nostri abiti e tutte le volte che il Partito Comunista Italiano, che sappiamo essere stato il più forte nell’Europa occidentale, è spesso stato ad un passo dal far parte del governo, ma è successo sempre qualcosa che lo ha impedito, raggiungendo il culmine con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, che era considerato un forte sostenitore di questa coalizione e che era in quei giorni vicinissimo a realizzarla, per il bene e la pacificazione nazionale. L’instabilità derivata dai tremendi Anni di Piombo portò l’opinione pubblica alla convinzione che era tutto opera (come nel film di Rosi) delle frange estremiste di sinistra, quando invece molte inchieste, chiare e non, hanno indicato gli autori tra gli estremisti di destra con la forte assistenza dei servizi militari e di intelligence. L'obiettivo era, in pratica, quello di creare un sentimento anti-sinistra per impedire l'incombente coalizione tra DC e PC.

Rosi tratteggia niente di più e niente di meno che lo stato d'animo sociale e politico di quel periodo: la paura è il tratto predominante, insieme all'insicurezza e alla sfiducia. Non ci si può fidare di nessuno, la leadership politica ed economica del Paese fa di tutto per rimanere al potere e trarne profitto e accetta il fermo assoluto del paese sotto ogni aspetto. L'ispettore Rogas, che persegue la strada giusta in modo pragmatico e mirato, diventa semplicemente un piccolo ingranaggio nel complesso meccanismo, una pedina inconsapevole, che, quando si rende conto di aver sfiorato e allarmato le persone sbagliate con le sue indagini, ha appena il tempo di intuire che è già troppo tardi per lui. Se non si è al corrente dei tempi e di quello che si viveva non è possibile capire il romanzo ed il film, motivo per il quale era necessario spiegare bene a priori la trama per esteso. Il film, cioè, funziona solo se c'è conoscenza del tempo.

Il regista, che ne fa un vero capolavoro ponderoso che ha un tono implacabile e che diventa febbrile quando arriva il suo tremendo finale, dispone di un cast eccellente, giusto per usare un aggettivo coerente: basta osservare il viso di Lino Ventura per sentire i brividi. Il suo commissario è interpretato in maniera magistrale, serio e taciturno, che si guarda in giro e pian piano riesce a vedere oltre la coltre nebbiosa una realtà raggelante, fino a pagare con la propria vita. Egli offre una performance solida che consente al pubblico di vedere gli eventi che si stanno svolgendo attraverso i suoi occhi. Il resto del nobile cast vede anche Charles Vanel (che tornerà sul set del regista nel bellissimo Tre fratelli), Renato Salvatori, Fernando Rey e addirittura il gelido Max von Sydow, oltre agli esperti Tino Carraro, Luigi Pistilli, Paolo Bonacelli, Corrado Gaipa spesso presenti nel cinema italiano di quei decenni.

Un thriller politico stimolante come non se ne fanno più, le cui ultime parole pronunciate, “La verità non è sempre rivoluzionaria”, diventano la coda perfetta. Basti notare le polemiche che sollevarono nell’ambiente politico italiano. Ma a ciò il grande Francesco Rosi era abituato.
Riconoscimenti
1976 – David di Donatello
Miglior film
Miglior regista






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