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Causeway (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 24 apr 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 11 mag 2023


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Causeway

USA 2022 dramma 1h34’


Regia: Lila Neugebauer

Sceneggiatura: Ottessa Moshfegh, Luke Goebel, Elizabeth Sanders

Fotografia: Diego García

Montaggio: Robert Frazen, Lucian Johnston

Musiche: Alex Somers

Scenografia: Jack Fisk

Costumi: Heidi Bivens


Jennifer Lawrence: Lynsey

Brian Tyree Henry: James Aucoin

Linda Emond: Gloria

Jayne Houdyshell: Sharon

Stephen McKinley Henderson: dr. Lucas

Russell Harvard: Justin


TRAMA: Lynsey, un ingegnere militare statunitense torna dalla guerra dell’Afghanistan ferita, avendo riportato un grave trauma cranico. Quando rientra a casa lotta per adattarsi di nuovo alla vita quotidiana.


Voto 6,5

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Causeway è un oggetto reale ed è anche, nel film di Lila Neugebauer, una metafora. Il Lake Pontchartrain Causeway è il secondo ponte più lungo al mondo, nei pressi di un sobborgo di New Orleans, ma il termine significa anche, in lingua anglosassone, una strada in salita. Quella che devono affrontare i due personaggi della storia, in gravi difficoltà per le drammatiche vicissitudini capitate.

Lynsey (Jennifer Lawrence) è una soldatessa americana reduce dell’Afghanistan, dove prestava servizio come ingegnere idraulica, saltata in aria con il mezzo dove viaggiava con altri militari a causa di un ordigno, da cui è sopravvissuta per un pelo, mentre il suo collega accanto bruciava e i soldati che saltavano giù venivano immediatamente colpiti dai proiettili nemici. La troviamo subito in ospedale nella delicata fase di guarigione e riabilitazione dal grave trauma cranico riportato, ma soprattutto dalle tremende conseguenze psicologiche che l’affliggono. La assiste la paziente infermiera Sharon, una anziana che la cura amorevolmente, prodiga di consigli riguardanti i farmaci che deve prendere e i comportamenti da tenere per il futuro immediato, invitandola alla tranquillità con cui deve affrontare i mesi seguenti.

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Il ponte, invece, è il luogo di un mortale incidente avvenuto mentre James (Brian Tyree Henry), un ragazzone sovrappeso di colore, era alla guida dell’auto con la sorella seduta sul sedile posteriore e il nipotino tenuto accanto, che perse la vita, mentre lui ci ha rimesso una gamba. Una responsabilità che angoscia la vita del giovane come una pesante colpa da cui non riesce a liberarsi. Entrambi nati e cresciuti nella città della Louisiana, non si conoscono e non avrebbero mai incrociato le loro strade se non si fosse verificato un episodio.

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Lynsey, dopo un primo periodo di convalescenza nella clinica, non potendo rientrare in servizio, come le piacerebbe nonostante la terribile esperienza, torna a casa della madre per continuare la guarigione fisica e mentale, anche se non è il luogo e la persona in cui e con cui spera di rimettersi in sesto. La mamma Gloria è una donna distratta, poco vicina alla figlia, tanto da non farsi trovare alla stazione dei bus dove la ragazza è sbarcata in città. Forse le vuole anche bene ma, ormai matura e senza marito, frequenta saltuariamente un uomo e non presta la giusta attenzione alla figlia, bisognosa di cure e affetto, consapevole di non aver mai ricevuto granché neanche durante l’adolescenza, anche per l’assenza del fratello ex tossicodipendente, a cui è molto legata, che è in carcere colpevole di spaccio di droga. La “strada in salita” è faticosa e Lynsey sa che deve trovare la forza in se stessa, da sola, cercando di guarire completamente e con la speranza di essere giudicata dal dottor Lucas (Stephen McKinley Henderson) abile e in grado di poter chiedere il reintegro nell’esercito. Per lei, è l’unica via che sa percorrere, non ha alternative in quella vita vuota e senza stimoli.

I destini dei due giovani convergono il giorno in cui lei prova, tra mille ostacoli fisici e psicologici, a riprendere in mano il suo vecchio pickup per fare un giro nel quartiere. Un guasto all’auto la conduce da un meccanico vicino, dove conosce James, triste e gentilissimo, con cui inizia una sincera amicizia, non conoscendo quale solitudine esistenziale condiziona l’altro. Nonostante le prime resistenze, la ragazza accetta di frequentarlo e con estrema prudenza tutti e due iniziano ad aprirsi e confidare le proprie esperienze negative. Ma molto lentamente, con la paura non solo di scavare nel proprio passato ma anche quella di rivelare l’intimità che custodiscono gelosamente. Ognuno con i propri problemi personali, consapevoli che questi non devono affliggere l’altra persona, che non è detto che possano interessarlo. E poi, parlarne, come succede sempre in questi casi, può far bene a se stessi, ma è anche arduo aprirsi e confessare le più intime sensazioni. Il pericolo è che questa amicizia possa trasformarsi in qualcosa di più importante, e a questo è assolutamente contraria Lynsey, che, per chiarirsi apertamente, confessa di essere attratta solo dalle donne.

Due solitudini che sicuramente non erano tali anni prima ma oggi sono consolidate, due anime chiuse e solitarie che hanno timore di avvicinarsi, anche a livello amicale, che scoprono di potersi e sapersi appoggiarsi l’uno all’altra, che possono confortarsi nel dolore, che possono misurare e misurarsi con la complessità dei loro rispettivi traumi. Un’amicizia improbabile, non scontata, che ha delle difficoltà oggettive, ma che si rivela lentamente vera, semplice, così sentita che in una piscina (lei nel frattempo ha trovato lavoro presso una ditta che le pulisce) si abbracciano nella loro disperazione e sfiorano persino un piccolo momento di affettuosità, prontamente respinto dalla donna intuendo il fraintendimento del giovane. Va bene passare le serate buie e monotone della periferia di New Orleans su una panchina a bere birra e fumare uno spinello per farsi compagnia e scambiarsi conforto, ma provare ad instaurare una vera relazione è molto lontano dalle intenzioni e dalle prerogative di Lynsey. No, non è proprio il caso. Un conto è un hamburger e un sorriso, un altro è un legame. Molto meglio limitarsi a scambiare i ricordi dell’adolescenza, dei primi amici, un gesto di gentilezza. Lui si rende conto di essere felice di proteggerla quando la infastidiscono, lei, pur non cercando scudi, apprezza il sostegno. Troveranno il giusto equilibrio dopo l’equivoco, che si rivela necessario prodomo ad una eventuale coesistenza.

Lila Neugebauer, regista di formazione teatrale (e lo si nota), esordisce dirigendo Jennifer Lawrence e Brian Tyree Henry dando la necessaria lentezza e gentilezza al film, che riflette una sceneggiatura che è femminile per i due terzi: non è certo il caso di tornare e ripetere il ritornello per cui “si nota la mano della donna ecc.”, ma è innegabile quanto senso di delicatezza incida sulla conduzione della regia e della scrittura dei dialoghi, sugli approcci timidi e prudenti dei due personaggi, sul modo di porsi vicendevole, sullo sguardo certamente femminile che l’opera posa su storie dolorose di due persone sofferenti. Catarsi, rinascita intima, fardello mentale, necessità di un appoggio psicologico, sponda affettiva, sono tutti elementi che incidono nella vita delle due persone in cerca di stabilità e che non si possono raccontare se non con la calma della riflessione e della maturazione delle decisioni. Per questo lo spettatore deve adeguarsi al lento ritmo, deve accettare la pazienza che i due richiedono per svelarsi. E, anzi, vanno ringraziati sia l’operazione compiuta dalla regista che la raffinatezza delle interpretazioni degli attori.

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Essendo un vecchio estimatore del lato drammatico di Jennifer Lawrence, non so spiegarmi perché la sua carriera sia basata su partecipazioni fondamentalmente in commedie e in film d’azione distopico-fantascientifica, che l’hanno resa certamente più celebre e arricchita con ingaggi da diva, mentre solo rari registi l’hanno interpellata per ruoli come questo: come fare a dimenticare la sua esibizione di grande qualità in Un gelido inverno, dopo aver già dato un primo assaggio in The Burning Plain - Il confine della solitudine? Lei è bravissima, e, come sa fare bene, incide con la sua indole di donna forte, di talento innato e animalesco, una tigre che azzanna il ruolo, trattenendo a fatica l’esuberanza che le verrebbe spontanea. Ah, quanto è dotata per il drammatico!

Altrettanto bravo dicasi per Brian Tyree Henry, non molto noto in Italia e apparso recentemente del chiassoso Bullet Train, quindi attore versatile, che si fa scoprire da noi ancora meglio con una parte impegnativa, fatta di pause e sguardi parlanti (molto simile a Daniel Kaluuya, in questo aspetto): efficacissimo e apprezzato dalle giurie dei premi.

Storia di ordinaria sofferenza, quotidiana negli USA sicuramente, dal ritmo blando, come richiede: se lo si accetta il film piace. Come i due attori.


Riconoscimenti

Premio Oscar 2023:

Candidatura miglior attore non protagonista a Brian Tyree Henry

Festa del Cinema di Roma 2022:

Premio miglior opera prima a Lila Neugebauer


 
 
 

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