Cella 211 (2009)
- michemar

- 18 ott 2022
- Tempo di lettura: 2 min

Cella 211
(Celda 211) Spagna/Francia 2009 dramma 1h53’
Regia: Daniel Monzón
Soggetto: Francisco Pérez Gandul (romanzo)
Sceneggiatura: Jorge Guerricaechevarría, Daniel Monzón
Fotografia: Carles Gusi
Montaggio: Mapa Pastor
Musiche: Roque Baños
Scenografia: Antón Laguna
Costumi: Montse Sancho
Luis Tosar: Malamadre
Alberto Ammann: Juan Oliver
Antonio Resines: José Utrilla
Manuel Morón: Ernesto Almansa
Carlos Bardem: Apache
Marta Etura: Elena
Luis Zahera: Releches
Fernando Soto: Armando Nieto
Vicente Romero: Tachuela
Manuel Solo: direttore delcarcere
TRAMA: Juan Olivier è un secondino al primo giorno di sevizio che ha la sfortuna di iniziare il nuovo lavoro lo stesso giorno in cui scoppia una rivolta tra i carcerati. Coinvolto dal capriccio del destino in queste tragiche circostanze, deve sfruttare al massimo la sua risorsa più preziosa: l’intelligenza. È così che si rende conto di essere tutt’altro che l'uomo timido, fragile e di buone maniere che aveva sempre pensato di essere e scopre di avere le doti per sopravvivere sull’orlo di un abisso.
Voto 7

Dal carcere normalmente si vuole scappare, ma se ti ritrovi dentro per sbaglio è ancora peggio.
Juan Oliver è un secondino al primo giorno di lavoro che, dopo un banale incidente viene momentaneamente appoggiato nella cella 211 in attesa di essere medicato. Succede l’imprevisto: la rivolta dei detenuti che scoppia appena subito dopo fa sì che venga dimenticato dai colleghi e lui, ritrovatosi assieme ai ribelli, deve fingersi detenuto per salvare la pelle.

Anzi, per essere più credibile, deve atteggiarsi addirittura a delinquente credibile fino al punto di diventare un fidato consigliere del capobranco, il cattivissimo criminale di turno, che ha un nome rivelatore: Malamadre, un superbo Luis Tosar, senz’altro uno dei migliori della terra di Spagna.

Il regista Daniel Monzón gira un prison movie alquanto particolare, che diventa pian piano un film di sopravvivenza e di guerra chiuso tra le mura della prigione, a tratti anche claustrofobico, in cui l’ospite involontario vede con un occhio diverso la situazione creatasi e scopre così, anche come uomo qualunque, tra l’altro prima ritenuto debole, la dura realtà imparando a crescere immediatamente e osservando il male che è fuori, nella polizia che in maniera violenta reprime anche le richieste più semplici. Che si prospetti una evoluzione tragica lo si intuisce ben presto, a causa anche delle titubanze di chi deve gestire la crisi.
Il film è costruito così bene che ha fatto una razzia di premi ai Goya 2010.










































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