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Cena con delitto - Knives Out (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 mar 2020
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 6 giu 2023


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Cena con delitto - Knives Out

(Knives Out) USA 2019 thriller 2h11’


Regia: Rian Johnson

Sceneggiatura: Rian Johnson

Fotografia: Steve Yedlin

Montaggio: Bob Ducsay

Musiche: Nathan Johnson

Scenografia: David Crank

Costumi: Jenny Eagan


Daniel Craig: Benoît Blanc

Chris Evans: Hugh Ransom Drysdale

Ana de Armas: Marta Cabrera

Jamie Lee Curtis: Linda Drysdale

Michael Shannon: Walter "Walt" Thrombey

Don Johnson: Richard Drysdale

Toni Collette: Joni Thrombey

Lakeith Stanfield: tenente Elliot

Katherine Langford: Meg Thrombey

Jaeden Martell: Jacob Thrombey

Frank Oz: Alan Stevens

Riki Lindhome: Donna Thrombey

Edi Patterson: Fran

Noah Segan: agente Wagner

K Callan: Wanetta "Nana" Thrombey

Christopher Plummer: Harlan Thrombey

M. Emmet Walsh: sig. Proofroc

Marlene Forte: madre di Marta


TRAMA: Quando il noto scrittore di gialli Harlan Thrombey viene trovato morto nella sua tenuta poco dopo il suo 85° compleanno, il detective Benoît Blanc, curioso e disinvolto, viene misteriosamente reclutato per investigare sull'accaduto. Dalla disfunzionale famiglia della vittima al suo devoto entourage, Blanc si muove attraverso una fitta rete di bugie, segreti e non detti, per scoprire quale sia la verità dietro la prematura morte dell'autore.


Voto 8

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Insomma, Harlan Thrombey è stato assassinato e da chi? O anzi, si è suicidato, come parrebbe a prima vista? Non è facile rispondere subito ai quesiti, manca qualcosa, “c’è un buco nella ciambella, o meglio: nella ciambella c’è un buco in cui c’è un’altra ciambella con un altro buco più piccolo”. Così pensa l’ineffabile e sornione Benoît Blanc, il misterioso (solo per l’iniziale sequenza) detective privato che è stato assoldato (ma da chi?) per svolgere le indagini unitamente alla polizia locale sul tragico caso. Ma come riempire il buco della ciambella e poi di quella più piccola, come arrivare alla soluzione?

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Cena con delitto - Knives Out (attenzione, quei coltelli del titolo originale è un peccato trascurarli nella versione italiana, sono l’anima della trama, della scena del delitto e di quella prefinale, quindi lasciamoli lì, come marchio) è un thriller ma poche volte come questa è giusto e romantico definirlo un “giallo”, sia per l’atmosfera che il regista sa avviluppare e permeare la grande casa del vecchio 85enne morto, sia per la lenta cadenza che caratterizza la narrazione. Un giallo che si rifà ai grandi classici di Agatha Christie e ne ripete i riti, senza vergognarsi di citarne a piene mani i personaggi particolarissimi, le diffidenze tra di loro, gli investigatori perspicaci e le morti violente. È un vero e sincero omaggio al giallo d’antan, con lo schema affascinante del whodunit ("who has done it?", chi l'ha fatto?), in cui noi lettori o spettatori veniamo messi in grado di seguire le indagini con tutti gli elementi in mano all’investigatore, in modo da dedurre anche noi da soli il caso e arrivare alla esatta conclusione. In teoria – non è sempre facile, ma con la spontanea esclamazione finale di “Ah! ma è vero! Lo dovevo capire!” – lo scrittore o il registra ci mostra tutti i particolari necessari per individuare l’assassino, ammesso che ci sia.

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Oltre alla ottima sceneggiatura dello stesso autore Rian Johnson, vivace e brillante, efficacemente scritta per divertire e tenere sempre alta l’attenzione, ben architettata e che fa venir voglia di rivedere il film per gustarla ancora una volta, danno smalto e bellezza al film la perfetta ambientazione in una grande villa situata nella campagna del Massachusetts (ideale per la misteriosa vicenda) ma soprattutto la sorprendente costruzione dei personaggi che caratterizzano fortemente la situazione narrativa. Personaggi colorati da spiccate caratteristiche caratteriali e letterari. Personaggi che meritano tanta attenzione che non si può fare almeno di farne almeno una piccola descrizione. Loro sono i 10 convitati (10 piccoli indiani?) alla festa del compleanno del patriarca, Harlan Thrombey, ricco scrittore di gialli (poteva essere diversamente?) con un notevole patrimonio che lascia gestire, ma solo sulla carta, ad altri: la sua eredità fa gola a tutti loro e ognuno spera di sistemare una volta per tutte le proprie finanze, che per alcuni non sono completamente a posto. Quando il mattino dopo l’85° compleanno e il party in cui tutti hanno festeggiato, il vecchio viene trovato con la gola sgozzata mediante uno dei tantissimi coltelli che arredano la grande casa, ognuno di loro ha almeno un motivo personale per aver commesso il delitto. D’altronde tra tutti e gli 11 non corre molta armonia e pace familiare, tutti si rinfacciano difetti e dispetti, rancori vecchi e recenti. 10 sospettabili, compreso la gentilissima e affezionata infermiera-badante Marta Cabrera – una sudamericana irregolare (nella spumeggiante sceneggiatura le abbinano Paraguay, Uruguay, Equador e via dicendo) – a cui l’anziano scrittore si è tanto affezionato da trattarla molto meglio dei suoi discendenti, ricambiato dalla bella ragazza, che è sempre attenta al suo comportamento per non mettere nei guai la mamma anch’essa immigrata illegale che l’aspetta a casa. Una relazione affettiva innocente e sincera, non apprezzata – ça va sans dire - dai gelosi e indispettiti parenti serpenti.

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Un bellissimo, divertente e intrigante film che non si ferma qui, perché come detto più sopra i personaggi sono molto interessanti, ognuno è diverso dagli altri e suscitano molta curiosità. Ed è d’obbligo iniziare dai due più curiosi e eccitanti tra loro: il detective e l’infermiera.

Benoît Blanc, nome migliore Rian Johnson non poteva scegliere: nome francesizzante tendente al chiaro, compunto, parecchio sicuro di sé e delle sue sorprendenti capacità deduttive, abbigliamento da classico investigatore inglese, abbastanza eccentrico negli atteggiamenti, barba di qualche giorno, occhi cerulei che punta addosso all’interlocutore come le tradizionali luci da stazione di polizia per gli interrogatori, ma soprattutto dialettica colta con pronuncia aulica che si rifà direttamente a monsieur Poirot, con tanto di dizione solenne che pare una caricatura, che invece è solo studiata per incutere rispetto e distanza. Lui fa notare alla meravigliata Marta “Osservo i fatti, senza seguire i pregiudizi di testa o di cuore. Io stabilisco l’arco che si piega sereno verso l’epilogo. E la verità cade ai miei piedi. […] Allora, cosa ne pensa Watson.” Conclude parafrasando il più celebre tra i detective della storia. Quella cadenza oratoria è una delle caratteristiche più apprezzabili di tutto il film: un suicidio il doppiaggio. Qualsiasi doppiaggio. Perché Daniel Craig stavolta ha la possibilità, pienamente riuscita, di dimostrare che non è solo 007, anche se ha dato un’impronta eccezionale alla spia più famosa di sempre. Una recitazione pennellata, divertita e divertente, che gli apre nuove prospettive per la sua bella carriera. È un attore che nell’occasione sorprende molto positivamente. Bravo davvero.

Marta Cabrera, il concentrato della bontà, della generosità, della dedizione fino alla completa abnegazione al lavoro e al benessere del defunto. A totale disposizione, precisa e servizievole come un cronometro, devotamente in disparte e scattante nel momento del bisogno. La gratitudine e l’affetto del vecchio patriarca è smisurato ma non lei ne abusa mai. Qui il regista e i truccatori hanno centrato l’obiettivo, giocando a nascondere l’imbarazzante bellezza naturale dell’attrice mediante un abbigliamento adeguato al suo ruolo e alle sue possibilità di immigrata illegale e una pettinatura ordinata che non può mai inficiare il suo bellissimo viso paffutello condito da due occhioni rotondi e chiari. Con un’infermiera così ogni maschio vorrebbe ammalarsi, ma è anche il prototipo dell’eroina che tutti vorrebbero in casa. È l’idea della lealtà e della mescolanza delle razze della società democratica anti-Trump? Forse. Perché sto evidenziando l’avvenenza di Ana de Armas ancorché mascherata? Basta ricordare la sua meravigliosa apparizione come ologramma in Blade Runner 2049 (recensione) per capirci e in questo film l’attrice cubana dimostra che non è solo un sogno digitale ma una donna capace di saper adeguarsi al particolare ruolo affidatole. Duttile ed efficace.

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Hugh Ransom Drysdale, Ransom per tutti, il belloccio bellimbusto indolente chiacchierone sicuro delle sue architetture comportamentali, che cercherà di giostrare ogni situazione a suo favore, un litigio importante col nonno festeggiato, strafottente con i parenti che è sicuro di “fottere”. Sembra un personaggio secondario ma prenderà la scena dalla metà in poi, condizionando le indagini dell’ineffabile Mr. Blanc. La presenza fisica di Chris Evans aiuta a rendere bene il personaggio.

Linda Drysdale, tosta primogenita di Harlan e spavalda boss di una grossa azienda, ben allenata da ragazzina con i quesiti che il padre le poneva. La grinta che ci mette Jamie Lee Curtisè più che lusinghiera, fino a mettere in soggezione i familiari. Perfettamente a suo agio.

Walter "Walt" Thrombey, arcigno figlio che solo sulla carta è il CEO dell’impero finanziario del padre, frustrato pieno di rancore. Ha l’espressione torva di Michael Shannon e ciò basta e avanza per rendere l’idea di quale tipastro si sta parlando.

Richard Drysdale, marito di Linda, quindi che non conta nulla in famiglia ma sfrutta la ricchezza della moglie e difendendone ipocritamente gli interessi la tradisce bellamente, essendo quel bell’uomo chiamato Don Johnson. Prova nelle corde dell’attore.

Joni Thrombey, notevole influencer instagrammata, finta progressista per convenienza, con le mani bucate, sempre con finte lacrime a chiedere aiuti finanziari al padre con il pretesto delle alte rette del college della figlia Meg. Nell’occasione la brava ed eclettica Toni Colette può sfoggiare il suo repertorio di donna antipatica e falsa.

Meg Thrombey, la nipote che ama l’arte, studia in un carissimo college e manifesta per i diritti umani, si veste da moderna hippie ma nasconde come un’attricetta il suo lato egoistico e di convenienza. Katherine Langford si difende bene nei suoi panni.

Jacob Thrombey è il figlio di Walt, iPhone-dipendente, generatore automatico di messaggi d’odio e intolleranza sui social, giovanissimo esponente dell’”Alt-right” e in realtà di ciò che avviene in quella casa non gliene importa proprio nulla, tanto è “impegnato” nelle sue sciocchezze inutili e razziste. Lo interpreta Jaeden Martell.

Donna Thrombey, madre di Jacob e moglie di Walt, insignificante assecondatrice delle pretese del marito. Ha la faccia inebetita di Riki Lindhome.

Wanetta "Nana" Thrombey (K Callan) è la vecchiaccia di famiglia ferma sulla poltroncina vicino ad una finestra che si affaccia sul prato della villa, ma è così rintronata che il suo lapsus mentale-visivo aprirà alla definitiva conclusione di Benoît Blanc che sblocca l’indagine. Si vede poco, parla poco ma illumina involontariamente i neuroni del detective.

I poliziotti? Come in ogni buon thriller con l’investigatore intelligente, viene dimostrata la loro inutilità e scarsa perspicacia, essendo pedissequi alle norme e alle tecniche classiche di indagine poliziesca. Ma quanto ad intuito, zero.

L’ultima menzione affezionata la dedico volentieri al grande Christopher Plummer, il vecchio patriarca, che a questa età è insuperabile in questi ruoli, sembrano cuciti addosso e lui sfodera il suo repertorio con semplice perfezione.

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Rian Johnson orchestra alla grande questo coro di personaggi, tutti ben sincronizzati, con la trama che ogni tanto deve fare qualche passo indietro per poter condurci alla soluzione, come appunto un buon whodunit deve essere. Per tre quarti il film è l’ennesimo kammerspiel, stavolta corale, con tutti i parenti rinchiusi nella bella villa nel parco, poi invece nel lungo epilogo la svolta ci porta all’aperto e per le strade, finalmente con un po’ di movimento. Ma questo eccellente film non è basato sull’azione, se non quella cerebrale, quella della deduzione, tutto basato intelligentemente sui dialoghi e sui particolari. Ottima la fotografia di Steve Yedlin, direttore che accompagna spesso il regista.

Complimenti a Rian Johnson, alla sua idea, a come l’ha attuata, complimenti a tutto il cast, che lui ha scelto con oculatezza e con risultati molto soddisfacenti, ma su tutti vanno privilegiate le due belle sorprese nei ruoli parecchio diversi per le loro precedenti esperienze: Daniel Craig e la stupenda Ana de Armas, che amerei vedere in nuovi exploits.

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Un film davvero riuscito e molto piacevole da guardare e riguardare. Almeno per godere meglio della lettura del testamento di Harlan Thrombey da parte del notaio, impassibile come conviene ad un professionista, al contrario di tutti i potenziali eredi che invece esibiscono il repertorio completo delle varie espressioni di rabbia, delusione, impotenza e voglia di vendetta. Verso chi?

Bravi, bravi tutti!


Riconoscimenti

2020 - Premi Oscar

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale

2020 - Golden Globe

Candidatura per il miglior film commedia o musicale

Candidatura per il miglior attore in un film commedia o musicale a Daniel Craig

Candidatura per la miglior attrice in un film commedia o musicale a Ana de Armas



 
 
 

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