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Cento domeniche (2023)


Cento domeniche

Italia 2023 dramma 1h34’

 

Regia: Antonio Albanese

Sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerrera

Fotografia: Roberto Forza

Montaggio: Davide Miele

Musiche: Giovanni Sollima

Scenografia: Marco Belluzzi, Anna Ranci Ortigosa

Costumi: Carola Fenocchio

 

Antonio Albanese: Antonio Riva

Donatella Bartoli: Egle

Liliana Bottone: Emilia

Giulia Lazzarini: Sara

Sandra Ceccarelli: Margherita

Elio De Capitani: Carlo Bonacina

Maurizio Donadoni: Umberto

Bebo Storti: Maurizio

Martin Chishimba: Martin

Carlo Ponta: medico

Marianna Folli: Maddalena

Sandra Toffolatti: Adele

Alessandro Piavani: Federico

Stefano Braschi: direttore filiale banca

Nicola Rignanese: nuovo direttore

 

TRAMA: Antonio Riva, operaio in pensione di un cantiere navale, conduce una vita per lo più tranquilla. Trascorre il tempo libero giocando a bocce con gli amici, si prende cura dell’anziana madre e ama profondamente la figlia Emilia.

 

Voto 6,5



Dopo i primi film da regista sempre improntati alla sua comicità mimica e surreale derivati direttamente dai suoi primi personaggi televisivi diventati cult ed un film, sempre commedia, che riguardava un piccolo commerciante metodico, infastidito dagli immigrati che per strada vendevano merce in concorrenza (Contromano, del 2018), Antonio Albanese, alla quinta regia, affronta in prima persona e per la prima volta un tema drammatico. Ruoli seri ne aveva già alcuni nel suo carnet ma sempre diretto da altri, dimostrando, se ne servisse l’ennesima prova, di quanto siano bravi gli attori comici nell’interpretare personaggi da vero dramma, ma in questa occasione assume entrambi i compiti di recitare e dirigere. L’argomento è molto serio e ha riguardato diversi casi verificatisi realmente in Italia negli ultimi anni. Il soggetto è scritto da lui stesso assieme a Piero Guerrera, già autore delle opere che vedevano Albanese nell’ormai mitico personaggio di Cetto La Qualunque. Quindi un binomio collaudato sul set e qui ancora una volta autori.



L’argomento, si diceva, è molto serio ed è sufficiente andare a rileggere i casi di Banca delle Marche, Banca dell’Etruria, Banca Popolare di Vicenza, oltre a quelli di Cirio e Parmalat (che non erano istituti di credito) ed altri ancora per avere un’idea – per i più distratti o disinformati – dello scandalo che sollevarono e degli ingenti danni apportati a tanti piccoli risparmiatori, che persero il loro investimento, quasi sempre frutto dei risparmi di una vita o della loro liquidazione una volta andati in pensione. Si trattava sempre di qualche (a volte anche parecchie) migliaia di euro che ingenuamente avevano investito - su sollecitazione dei funzionari delle banche, a loro volta spinti a piazzare obbligatoriamente questi prodotti finanziari – i propri soldi acquistando azioni delle banche stesse.  A volte succedeva persino che i clienti venivano raggirati firmando ingenuamente fogli di contratti in cui accettavano di trasformare le obbligazioni, che avevano precedentemente acquistate, in azioni. A beneficio dei meno informati va precisato che le obbligazioni sono prestiti che un risparmiatore fa ad un istituto (banche o imprese), mentre le azioni sono quote del capitale sociale mediante cui si diventa quindi soci a tutti gli effetti, correndo di conseguenza anche il rischio di perdere l’investimento qualora la società fallisca. Quando i conti di una banca subiscono un crack finanziario o una bancarotta per i più svariati motivi (anche per una pessima gestione dei responsabili) i correntisti sono protetti da un fondo nazionale, gli obbligazionisti rientrano tra i creditori della liquidazione, ma gli azionisti realizzano solo il valore delle azioni di quel momento. Cioè, zero o quasi.



Antonio, nel film di Albanese, è giunto alla pensione dopo aver lavorato tutta la vita in un cantiere nautico ed ora, separato, la sua vita si divide tra la compagnia degli amici con cui giocare a bocce e dire chiacchiere nel bar, l’anziana madre Sara che ha bisogno di assistenza e l’amatissima figlia Emilia, avuta dalla ex moglie, con cui peraltro è rimasto in ottimi rapporti. Frequenta una donna sposata spesso sola, ma è solo un tipo di rapporto labile e basato sul sesso. La notizia dell’imminente matrimonio della figlia lo rallegra tantissimo, soprattutto perché può finalmente utilizzare i risparmi per regalarle la cerimonia che merita. Anzi, dichiara sempre e a tutti che è da quando Emilia era bambina che lui sognava di regalarle una festa memorabile ed ora, a quanto pare, è arrivato il momento sognato: basterà andare alla filiale della banca dove ha investito tutto in obbligazioni, chiedere un prestito di trentamila euro in modo di comprare anche gli apparecchi acustici per la sordità della mamma ed organizzare il pranzo del matrimonio della figlia. Quando però si reca in banca per iniziare la pratica cominciano i guai: impiegati e direttori, sfuggenti, sembrano avere qualcosa da nascondere. Una persona per bene e gentile come Antonio, che si fida delle persone che conosce, che sorride a tutti, che nonostante il pensionamento si reca spesso nel cantiere dove l’imprenditore Carlo lo chiama ancora per sfruttare la sua notevole bravura ed esperienza ed anche per istruire i giovani assunti, non riesce a capire come mai quegli impiegati sembrano così freddi. Persino il gentile Federico, che lo fa entrare in banca dalla porta di servizio, la cui faccia triste preannuncia cattive notizie.



Cosa è successo è presto detto: Antonio, così come tanti altri cittadini, è stato gabbato, firmando i consueti fogli scritti con caratteri illeggibili, ha acconsentito, senza capirlo, a convertire le obbligazioni in azioni, che ora, con la banca in totale dissesto, valgono quasi zero. I risparmi di una vita, l’ammontare della liquidazione, le speranze di un futuro tranquillo, la felicità della festa del matrimonio liquefatti come neve al sole. Prima l’incredulità, poi la delusione, quindi il malumore profondo collettivo, con una intera cittadinanza adirata e impotente, che si organizza in una inevitabile class action, ed infine la rabbia di Antonio, combattuto tra la voglia di giustizia e la depressione che lo ha tramortito moralmente. Quando finalmente capisce che bisogna reagire per non deludere la cara Emilia (per la quale solo qualche settimana prima aveva esultato “La se spusa!”) e le sue legittime aspettative, Antonio si ritrova, quasi incoscientemente, ad agire come tra Quel pomeriggio di un giorno da cani e Un giorno di ordinaria follia, per un epilogo tanto lontano dal suo carattere mite.



Tenendo presente che i crolli finanziari, che riguardano non solo le imprese in genere ma anche le banche in particolare, sono causati da imperizie gestionali, da decisioni inopportune, da investimenti sbagliati, ma anche da atti criminosi da parte degli amministratori, è evidente come questa storia, come quelle realmente verificatesi, insegni come l’avidità di dirigenti disonesti abbia travolto le esistenze di centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori su e giù per la penisola. Quello che Antonio subisce è un tradimento: in quella provincia operosa dove è cresciuto (a proposito, la location è proprio nei posti dove Albanese ha lavorato in fabbrica e ha vissuto prima del suo debutto nell’arte), della banca del paese ci si è sempre fidati. Per tutti la banca è sempre stata “il confessionale”, come dice lui nel film, conosce vita, morte e miracoli di tutta quella comunità, ne ha accompagnato la crescita, finanziato il desiderio legittimo di avere una casa propria. Per questo, alla scoperta del raggiro, la prima reazione del protagonista è di incredulità, a cui poi subentra lo smarrimento e l’angoscia di chi è stato tradito proprio da chi si fidava, la vergogna di non aver intuito quanto stava accadendo.



È la tragedia di una persona seria, di una persona perbene che vede crollarsi addosso il mondo, il futuro, la felicità della figlia per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Per questo, gente come lui, come l’amico idraulico ricoverato in ospedale per il malore susseguito alle notizie del crack dice che aveva lavorato duramente per costruire con le proprie mani la casa in cui vive, impegnandosi perfino nei giorni di festa, diciamo per “cento domeniche”. Pareva una commedia all’italiana su un padre felicemente pensionato, ed invece era (e sono state) una tragedia all’italiana a spese dei piccoli risparmiatori che hanno perduto tutto ciò che possedevano.



Qualche sprazzo di comicità non poteva mancare, almeno fin quando la narrazione è leggera e apparentemente felice, ma quando i fatti si fanno gravi la tragedia si affaccia prepotente e prende il sopravvento, non all’improvviso ma gradualmente. Soprattutto in maniera evidente: l’unico cieco perché troppo fiducioso è Antonio. È una storia, quindi, che colpisce, che fa riflettere e che ricorda brutte faccende lette sui giornali o, peggio, vissute in prima persona da chi è caduto nel tranello. L’autore-attore riesce bene nell’intento di illustrare la vita agiata degli abitanti delle cittadine lombarde, maggiormente agevolate per l’affacciarsi sul lago, posizione che favorisce la produzione ed il commercio dei mezzi nautici e quindi una discreta ricchezza e occupazione. Di contro, essendo questo un posto non grande, in cui tutti si conoscono e tutto sanno degli altri, anche la vita intima delle persone è oggetto di attenzione e pettegolezzi. Vita di paese, insomma, con gli inevitabili pregi e difetti, ma ciononostante i dipendenti della banca, ancorché conosciuti, stimati e integrati nel tessuto sociale, sono costretti a fare il gioco dei dirigenti, rovinando così la vita dei conoscenti, se non proprio parenti, tanto che, con il compito ingrato di “spingere” la vendita dei prodotti finanziari tossici, i direttori vengono frequentemente avvicendati. Antonio, difatti, prima litiga con un direttore, poi affronta a muso duro il successore. Proprio come sarà successo nei casi clamorosi di cui nell’introduzione.



Sotto questi aspetti il film è senz’altro positivo e il lavoro di Antonio Albanese è elogiabile, e non perché – come spesso si suol dire – sono buoni gli intenti e il progetto, ma perché è un’opera onesta e giusta che evita la superflua morale retorica. A limare qualche decimale di voto e di giudizio è piuttosto la più che buona sceneggiatura che però ha qualche momento di faciloneria e qualche personaggio troppo macchiettistico. La recitazione dell’attore protagonista è senza dubbio eccellente, come anche quella della carissima Giulia Lazzarini, che a 90 anni sta in scena ancora benissimo. Un po’ meno qualche interprete, che in certune occasioni pare titubante. Affidabili, ovviamente, i soliti amici di sempre: Maurizio Donadoni e Bebo Storti, oltre alla brava Sandra Ceccarelli. Se ci si fa anche caso (aspetto sfuggente) si può notare che la maggior parte degli attori ha non un accento certamente lombardo, benché i loro personaggi siano nati e cresciuto sul lago di Como, sponda Lecco: la flessione poco neutra o addirittura romanocentrica è un problema permanente nel cinema italiano e qui ci sono ricascati. Rilievi, sia chiaro, molto secondari rispetto al lavoro e alla necessità dell’opera del bravo Albanese, il quale – il dubbio che mi assale – forse nei ruoli drammatici è bene che venga diretto da registi più esperti: ciò non toglie che magari, alla prossima occasione, lui si ripeta migliorandosi addirittura. Staremo a vedere.

Anche il film è da vedere. Perché il titolo, fuor di retorica, è un inno e un elogio per chi ha lavorato tanto e a lungo per raggiungere i sogni della propria famiglia e del futuro dei figli e questa gente va protetta dagli squali della finanza.



Riconoscimenti

2024 – David di Donatello

Candidatura miglior attore protagonista a Antonio Albanese



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