Che – Guerriglia (2008)
- michemar

- 10 ott 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 19 mag 2024

Che – Guerriglia
(Che: Part Two) Francia/Spagna/USA 2008 biografico 2h15’
Regia: Steven Soderbergh
Soggetto: Ernesto Che Guevara (Diario in Bolivia)
Sceneggiatura: Peter Buchman, Benjamin A. van der Veen
Fotografia: Peter Andrews (Steven Soderbergh)
Montaggio: Pablo Zumárraga, Philip Messina
Musiche: Alberto Iglesias
Scenografia: Antxón Gómez
Costumi: Bina Daigeler
Benicio del Toro: Ernesto "Che" Guevara
Catalina Sandino Moreno: Aleida March
Demián Bichir: Fidel Castro
Rodrigo Santoro: Raúl Castro
Franka Potente: Tamara "Tania" Bunke
Armando Riesco: Benigno
Lou Diamond Phillips: Mario Monje
Kahlil Mendez: Urbano
Édgar Ramírez: Ciro Redondo
Joaquim de Almeida: presidente René Barrientos
Jordi Mollà: cap. Mario Vargas
Yul Vazquez: Alejandro Ramirez
Matt Damon: prete
TRAMA: Gli ultimi tre anni di vita di Ernesto "Che" Guevara dopo il trionfo della rivoluzione cubana: dal 1965 quando il Che decide di lasciare tutto, sua moglie, i suoi figli e tutti gli incarichi politici a Cuba per andare in Bolivia per dar vita a una nuova rivoluzione fino alla sua morte il 9 ottobre 1967 a La Higuera. Giunto a La Paz sotto falsa identità, incontra altri rivoluzionari dell'Esercito di Liberazione Nazionale e insieme a loro si incammina verso la giungla per dar vita a un'insurrezione armata.
Voto 7

Avevamo lasciato il Che, in Che - L'argentino, con due sequenze molto importanti – di cui la prima ancora una volta in un bianco e nero sgranato come un vero reperto d’archivio - che spiegavano, con le frasi, la mentalità e la nobiltà delle intenzioni che lo caratterizzarono, la sua filosofia di fondo sia sul campo militare sia su quello politico-sociale. Alla donna che in cucina sta preparando da mangiare che gli chiede: “Cosa si prova ad essere un simbolo?” lui risponde così: “Un simbolo? Un simbolo di che”? “Un simbolo della rivoluzione!” “L'unica cosa che le posso dire è che eravamo consapevoli di rappresentare la speranza di un'America irredente e che gli occhi di tutti, tanto degli oppressori quanto degli oppressi, erano puntati su di lui.” “Ma nel gennaio del 1959, quanti anni aveva?” “Trent'anni…”
Nell’altra scena, sulla jeep alla testa del corteo delle auto che si dirigono verso la capitale, si vede sorpassare da una rossa macchina di grossa cilindrata carica di soldati, guidata da un suo uomo che lui fa immediatamente fermare. Scende, la raggiunge e, irato, chiede al giovane: “Cosa fai su quest'auto?” “Come, che faccio, sto andando all'Avana!” “Chi ti ha autorizzato?” “L'ho presa, Che, l'ho presa a uno di quei cecchini, Che!” “Ma che Che e Che! Anche se fosse stata dello stesso Bautista, quest'auto non è tua. Adesso ritorni immediatamente a Santa Clara e la restituisci e soltanto dopo venite tutti all'Avana in autobus, in gita o a piedi. Io preferirei le vesciche ai piedi che arrivare all'Avana su un'auto rubata!”. Era il 2 gennaio 1959, a 300 km dalla capitale e la rossa auto fa manovra per tornare indietro. “È incredibile!” dice, scuotendo la testa.
Questo era il Che, al secolo Ernesto Guevara de la Serna.

La prima parte è un film di guerra (cioè il primo troncone distribuito separatamente), la seconda un thriller, affermò la produttrice Laura Bickford, che per dieci anni, insieme a Benicio Del Toro e Steven Soderbergh, aveva combattuto una battaglia di sceneggiature e coproduzioni per riuscire a completare questa biografia cinematografica del simbolo più popolare della mitologia contemporanea della rivoluzione. E come si può notare dall’intera e fluviale opera, bellissima, e quindi in entrambi i film, ciò che agli autori sembrava stare a cuore era una ricostruzione nuda e concreta dei fatti. E ora, quella strategia militare, la disciplina, la dedizione, il controllo e la diffusione delle informazioni, un insieme cioè di fanatismo e intelligenza tattica, si spostavano con la medesima determinazione da Cuba in Bolivia. Ma anche dalla rivoluzione del primo luogo alla morte nel secondo.

Ciò che colpisce l’attenzione di questa seconda parte è che l’eroe pare più solo, più abbandonato, che vive una sua Passione, senza trionfalismo e in mezzo al guado di mille difficoltà. La trama e quindi questa parte di vita soldatesca e rivoluzionaria, che in precedenza si era sviluppata con tanti uomini esultanti, ora si svolge senza i proclami che avevano caratterizzato il primo periodo trionfale e tutto accade senza clamore, con il Che attorniato dagli occhi piccoli e insicuri dei campesiños vestiti da contadini o da tute militari. Voleva essere ancora una volta la rivoluzione del popolo ma le condizioni umane e ambientali erano molto diverse. Steven Soderbergh, continuando sullo stesso filo da documentario e con le stesse scelte narrative, non ci spiega cosa passasse per la testa dell’uomo quando fu preso e tenuto prigioniero. Certo poteva immaginare cosa l’attendesse, ma è altrettanto certo che fu colto di sorpresa quando nella baracca dove era detenuto entrò un militare che gli sparò tre colpi.

Come amano spesso i registi, nel momento della conclusione della storia di un uomo, ma anche della Storia di un evento eccezionale, anche Soderbergh termina la lunga celebrazione con uno struggente flashback del gruppo che era salpato in nave pieno di speranze e di volontà, mentre il vento pieno di salsedine schiaffeggiava il viso del Che silenzioso. Nello stesso silenzio con cui il regista lo ha filmato più volte pensieroso nel corso delle scene. Se i tantissimi attori che lo hanno circondato per circa quattro ore e mezza sono stati tutti bravi, Benicio del Toro domina e riempie lo schermo con la sua espressione piena di quella mestizia che non lo abbandonava mai. Talmente immedesimato che guardandolo si rischia di non accorgersi che è un film. Un bellissimo film.
Riconoscimenti
2008 – Festival di Cannes
Miglior interpretazione maschile a Benicio del Toro
2010 – Premi Goya
Miglior produzione


































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