Comandante (2023)
- michemar

- 16 feb 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Comandante
Italia/Belgio 2023 storico 2h
Regia: Edoardo De Angelis
Sceneggiatura: Edoardo De Angelis, Sandro Veronesi
Fotografia: Ferran Paredes
Montaggio: Lorenzo Peluso
Musiche: Robert Del Naja, Euan Dickinson
Scenografia: Carmine Guarino
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Pierfrancesco Favino: Salvatore Todaro
Massimiliano Rossi: Vittorio Marcon
Johan Heldenbergh: Georges Vogels
Arturo Muselli: Danilo Stiepovich
Giuseppe Brunetti: Gigino Magnifico
Gianluca Di Gennaro: Vincenzo Stumpo
Johannes Wirix: Jacques Reclercq
Silvia D’Amico: Rina Todaro
Cecilia Bertozzi: Anna
Paolo Bonacelli: Betti
Pietro Angelini: Ivano Leandri
Mario Russo: Salvatore Minniti
Giustiniano Alpi: Morandi
Luca Chikovani: Leonardo Barletta
Giorgio Cantarini: Vezio Schiassi
Andrea Ferrara: Antonio Mulargia
Lucas Tavernier: Caudron
TRAMA: La storia di Salvatore Todaro, comandante di sommergibili che durante la Seconda guerra mondiale si assunse la responsabilità di salvare nemici in mare contravvenendo alle regole d’ingaggio impartitegli.
Voto 6

Guerra e uomini. Uomini e guerra. Guerra e umanità sono due entità incompatibili, l’una opposta all’altra. E per fare bene l’una non si riesce a praticare l’altra e viceversa. Lo dimostra - ed è superfluo – una didascalia all’inizio del film, che racconta cosa afferma un membro dell’equipaggio del trimarano russo “Russian Ocean Way” salvato nel marzo del 2023 nelle acque del Pacifico da una nave ucraina: “In mare, siamo tutti alla stessa distanza da Dio, a distanza di un braccio: quello che ti salva”. Sì, perché si possono venire a trovare nemici nelle acque agitate di un mare aperto, d’inverno, di notte: si è tutti uguali nello stesso pericolo, quello di morire, e se un altro uomo allunga un braccio o getta una cima per tirare su le persone destinate a morire, ecco che hanno tutti lo stesso destino, la medesima distanza da Dio. E lo stiamo osservando anche in questi anni di migrazione via mare, dove si danno battaglia le anime di chi parla e vuole imporre respingimenti, rifiuto di soccorso, ignorare i segnali di SOS. Un esempio pratico e spietato è Cutro. Qui si comparano leggi diverse: quella delle nazioni, dell’organizzazione da cui si dipende, della guerra, dei capi che danno ordini, la legge dell’umanità e quella del mare. Quest’ultima ben conosciuta dai pescatori e da chi vive e lavora sui vari tipi di natanti. Le ultime due coincidono, perché la legge del mare – istintiva per i veri uomini di mare – non è che preveda ma addirittura concepisce solo e soltanto aiutare un uomo in pericolo. Quindi un gesto grande generosità e umanità. Perché questa lunga premessa?

Siamo all’inizio della Seconda guerra mondiale, quando Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino) comanda il sommergibile ‘Cappellini’ della Regia Marina. Nell’ottobre del 1940, mentre naviga nell’Atlantico, dopo aver doppiato lo Stretto di Gibilterra, nel buio della notte il Comandante e il suo equipaggio si ritroveranno davanti a un mercantile che viaggia a luci spente, il ‘Kabalo’, che in seguito si scoprirà essere di nazionalità belga e, come prima aveva intuito l’ufficiale e poi ammesso dal collega belga, trasporta materiale bellico con destinazione Inghilterra, nemica dell’Italia. Il mercantile apre improvvisamente il fuoco contro il sommergibile italiano e scoppia una violenta battaglia alla fine della quale il mercantile affonda. Allorquando gli italiani stanno per allontanarsi, festanti e vittoriosi, con la perdita di un solo uomo e qualche ferito, qualcuno nota che in acqua ci sono alcuni naufraghi. Poi si accorgono che ci sono almeno altre due imbarcazioni di salvataggio che galleggiano al buio e al freddo, in Oceano aperto, in una situazione disperata che di certo non li porterà in salvo da nessuna parte. Todaro è silenzioso e combattuto: da una parte le consegne ricevute alla partenza da La Spezia e i ferrei regolamenti militari, dall’altra la mentalità di un vero marinaio che implica il dovere di aiutare ogni uomo in pericolo di vita in acqua. Mentre gli uomini del sommergibile attendono trepidanti la decisione, convinti che ovviamente – come guerra richiede – il loro capitano li lascerà perire, ecco che invece il Comandante ordina di farli salire a bordo. Decide, cioè, di salvare tutti i naufraghi belgi, altrimenti condannati ad affogare. Li sbarcherà, ha deciso, nel porto sicuro più vicino, l’isola neutrale di Santa Maria delle Azzorre.
Semplice? Per nulla al mondo! Sono tanti, troppi, difficili da sistemare in quel microcosmo che è un sommergibile, stretto e con letti a castello non accoglienti. L’unico aspetto positivo è che c’è cibo per tutti e un cuoco napoletano che conosce tutte le ricette di ogni regione d’Italia. Per il resto sono solo guai: tanto per iniziare alcuni dovranno, a turno, viaggiare sulla “falsa torre” al freddo e alle intemperie, e poi, peggior problema, per tenerli lì occorrerà navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la vita di ogni navigante. Quindi, il Comandante ha deciso, con il parere contrario del suo secondo Vittorio Marcon (Massimiliano Rossi), di rischiare la vita dei suoi uomini per salvare quella degli alleati dei loro nemici. Il perché, in una scena altamente retorica e molto criticabile, alla pari del napoletano con la pizza e il mandolino, ce lo spiega alla fine del viaggio il Comandante, con l’ammirazione del collega Georges Vogels (Johan Heldenbergh): “Perché noi siamo italiani!”… Perbacco. Ci mancava solo Dio, Patria e Famiglia e lo slogan era completo.
“La nostra trincea non si vede, il nemico è lontano protetto da strati di acqua e d’acciaio” dice Salvatore Todaro. Eppure non è un film di guerra, non è un film di gloria dell’eroismo degli italiani, non è un film celebrativo della guerra – tra l’altro anche persa – ma una vera storia realmente accaduta e che ha fatto passare il nome di Salvatore Todaro alla cronaca della Storia italiana. Un uomo che era già partito in non perfette condizioni fisiche e con il dolore, come tutti i soldati che partono con la paura di non tornare, di aver lasciato l’amata moglie Rina (Silvia D’Amico) incinta. Durante i giorni di navigazione immagina le scene domestiche, l’attrazione fisica, le belle giornate d’amore, il desiderio di cullare la piccola in arrivo. Questa è la guerra e lui, difatti perirà due anni dopo colpito da uno Spitfire inglese, mentre il comandante belga e i suoi uomini, salvi alle Azzorre, poi torneranno salvi in patria.
Il titolo del film rende onore ad un uomo, un uomo vero, che si faceva amare dai marinai sottoposti. Non pacifista, anzi tutt’altro, che però aveva avvertito la necessità umana di salvare i naufraghi, come dovrebbe sempre essere. È conscio che il suo destino è appeso alle sorti delle battaglie: coraggioso e stoico nel sopportare i dolori che gli procura la malattia che lo affligge, sa cavarsela con lo yoga, in modo da diminuire la morfina necessaria per diminuirli. Edoardo De Angelis (Indivisibili, Il vizio della speranza, Perez., Mozzarella Stories) non ne fa un eroe bellico e imperioso, ma un uomo umano, sensibile, che sa tenere la ciurma su di morale, che sa che può sbagliare ogni decisione importante e per questo soppesa ogni soluzione possibile, che appare saggiamente ligio o abbordabile nel carattere a seconda del momento, non solo per dovere disciplinare ma anche (forse soprattutto) come responsabile delle vite che dipendono dal suo comportamento. Per cui sa quando dare entusiasmo organizzando con lo speciale cuoco partenopeo un pasto particolare. Un episodio dimostrativo lo si osserva quando, data la forzata convivenza tra italiani e belgi, si stabilisce un buon clima amichevole – appena interrotto da una reazione violenta quanto inutile e pericolosa da un paio di loro – e si giunge addirittura alla celebrazione di una ricetta sconosciuta ai nostri ma molto amata da loro: le patate fritte! Il cuoco cade dalle nuvole, conoscendo svariate ricette con il tubero (da napoletano… pasta e patate, ovviamente) ma fritte, no, proprio no. Ed allora via alla cucina con le mani del giovane Reclercq (che ha sempre fatto da interprete, particolare che avrà moltissima importanza nel finale) e del loro capo, il buon Georges Vogels (il celebre attore e drammaturgo Johan Heldenbergh, che ha tanto lavorato in Italia, ma soprattutto protagonista nel meraviglioso Alabama Monroe - Una storia d’amore). Una festa che preannuncia il felice arrivo nell’isola prevista, prima che il sommergibile torni in azione.

Insomma, il compito che, pare, Edoardo De Angelis si è voluto dare è quello di raccontare le gesta quasi epiche di un soldato, di uno dei tanti che sentivano sulla pelle l’importanza di essere italiani, imbevuto (sicuramente) di fascismo e superomismo, che vedeva, ai tempi, il fulgido esempio di D’Annunzio. Non certamente la vita di un eroe adatto ai monumenti: diciamo una fotografia dell’Italia in camicia nera sul fronte di guerra. Un inno adatto anche ai tempi politici che viviamo? Difficile dirlo, ma con la retorica sparsa qui e là non è da escludere, compresi momenti di facile didascalismo per rendere facilmente fruibile la narrazione dell’epoca. Che tanti lutti e privazioni di libertà civiche portò.

Mi sembra inutile ribadire la prestazione di Pierfrancesco Favino, sempre all’altezza delle attese: ormai è un jolly adatto a ogni tipo di ruolo, anche se non soddisfatto per non aver recitato in tutti i ruoli che vorrebbe fare, cioè tutti. Siccome necessitavano attori di vario carattere, convinzioni e provenienza dai più disparati luoghi d’Italia, c’è un campionario ricco di cast – data anche la necessità di un numero notevole di personaggi – che parla ogni tipo di dialetti, che reagisce diversamente nelle situazioni più o meno pericolose che si creano: un’orchestra di molti elementi che il regista deve saper gestire e coordinare, in uno spazio angusto, stretto, caldo, con i nervi a fior di pelle in moltissimi momenti, tra italici e stranieri, che inizialmente diffidano gli uni dagli altri. Tutto con macchina in spalla. E quindi, in primis, il bravo e multivalente Massimiliano Rossi, Giuseppe Brunetti nei panni del simpatico cuoco, Silvia D’Amico devota moglie, ed infine un personaggione, l’eccellente Johan Heldenbergh. Intorno a questi, poco spazio (del sommergibile), mare infinito a perdita d’occhio a congelare i ricordi e i legami con i cari lasciati sulla terraferma. Tutti consapevoli che il ritorno a casa, dalla fidanzata, moglie e figli non è garantito. Anzi, le statistiche delle didascalie prima dei titoli di coda sono impietose, mentre veleggiano le meravigliose note dell’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni e l’ultimo dialogo tra i due comandanti, con cui viene ribadita la filosofia di vita di quello italiano:
“Voi sapete che al posto vostro vi avrei lasciato in mare?” “È la guerra!” “Perché voi ci avete salvati?” “Perché siamo italiani!” […] “Siamo pronti a salpare, Rina carissima, io sono di nuovo pronto a colpire e affondare tutti i nemici che incontrerò sul mio cammino e a ridiventare invincibile e invulnerabile. […] Così si è sempre fatto in mare, così sempre si farà. E coloro che non lo faranno, saranno maledetti.” Ecco quindi riassunto il nocciolo del film.

L’intero equipaggio del Kabalo sopravviverà alla guerra. In tempo di pace Vogels, Reclercq e compagni si recheranno a Livorno per incontrare la moglie Rina e la figlia Graziella Marina, che il comandante non ebbe mai la gioia di conoscere. Della flotta dei 112 sommergibili della Regia Marina Militare Italiana ne sopravvissero alla guerra soltanto 19. Tutti gli altri riposano sul fondo del mare coperti da croci di corallo.

Presentato in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2023, l’accoglienza sperata non c’è stata ed è risultata piuttosto tiepida, proprio perché, come ho cercato di spiegare, il film non pare entusiasmante: buono ma nulla di più. Favino fa il Favino, maggiormente se deve recitare con l’accento marcato e la cadenza di qualche regione, in questo caso veneto, perché il suo Todaro era nato a Messina ma si trasferì a Chioggia con il padre maresciallo di artiglieria.


















Commenti