top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

Come le tartarughe (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 set 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

ree

Come le tartarughe

Italia 2022 dramma 1h20’


Regia: Monica Dugo

Sceneggiatura: Monica Dugo, Massimiliano Nardulli

Fotografia: Gianni Mammolotti

Montaggio: Paola Traverso

Musiche: Pier Cortese

Scenografia: Emanuela Zappacosta

Costumi: Nicoletta Taranta


Monica Dugo: Lisa

Romana Maggiora Vergano: Sveva

Angelo Libri: Daniele

Francesco Gheghi: ragazzo di Sveva

Edoardo Boschetti: Paolo

Annalisa Insardà; psicologa

Sandra Collodel: madre di Lisa


TRAMA: Daniele, Lisa, Sveva e Paolo, una famiglia borghese apparentemente perfetta. Un giorno il marito svuota l'armadio e va via. L' armadio vuoto, diventa per Lisa, il luogo ideale dove rifugiarsi ed elaborare la separazione. Sveva la figlia quindicenne, fa di tutto per tirarla fuori, non accettando il comportamento bizzarro della madre e l'assenza inspiegabile per lei, del padre. Daniele non tornerà a casa, ma Lisa riuscirà, grazie all'amore dei suoi figli e a una forza ritrovata, a compiere il primo passo per il superamento del dolore.


Voto 6,5

ree

Biennale College Cinema – Venezia 2022

Roma, centro storico. Daniele, Lisa e due figli: Sveva, ragazza adolescente e Paolo, sette anni. Famiglia perfetta e una vita che sembra perfetta. Ma non lo è. La prima scena è già indicativa e inquadra la padrona di casa Lisa davanti alla torta dei suoi 50 anni, attorniata dai figli e dall’amica più intima dell’adolescente: manca una persona, però, ed è il marito, persona spesso assente e non solo in casa ma soprattutto di testa. Distratto, appena egocentrico quanto basta. Subito dopo nell’appartamento è tutto un lavorio di falegnami che stanno ritagliando e montando su misura un enorme armadio a sei ante che deve servire e bastare per la famiglia, ovviamente idea della signora che è molto dedita alla casa, alla cucina e a soddisfare anche le minime esigenze delle altre tre persone che vivono con lei. Sembra remissiva, anche lei un tantino svagata ma sempre attenta alle necessità di tutti. Nessuno può immaginare quella mattina quale ruolo avrà nel prossimo futuro quell’armadio.

ree

Daniele – ecco il vero motivo dei suoi pensieri distanti - un giorno ammette alla figlia, ragazza molto responsabile, sveglia e grintosa, che è in crisi con la moglie e ha intenzione di andare a vivere da solo per un po’. La spiegazione ufficiale ma poco credibile è che si sente depresso, eterna scusa per non essere sinceri. E difatti, di lì a poco svuota la sua parte dell’armadio e va via. Lo shock e l’impreparazione a un evento simile, ma anche la consapevolezza che l’allontanamento sarà definitivo, sono per Lisa un trauma devastante. E con la calma che la contraddistingue, reagisce infilandosi nell’armadio che trova svuotato. L’armadio, che ha ovviamente l’odore del marito, che seppur per pochi giorni è stato il ripostiglio di tutti gli indumenti dell’uomo, diventa per lei il punto di ancoraggio al marito, diventa rifugio sino a rappresentare per lei il nascondiglio in cui sparire alla vista degli altri ed essere spiritualmente vicina a chi è svanito inopinatamente. Anzi è il posto dove sospendere il tempo, dove nascondere il dolore e, chissà, provare a curarlo. Sveva, adolescente matura ed energica, vede solo l’assurdità della cosa. Pian piano però si avvicina alla madre, accettando il suo comportamento bizzarro, capendo il suo dolore. Paolo è troppo piccolo per comprendere esattamente la situazione e sembra non giudicare, ma il suo legame con la madre non viene meno, è solo ovviamente stordito e confuso.

La vita dentro l’armadio è tragica ma allo stesso tempo comica, ed è buffo che sia stata Lisa, all’inizio della storia, ad averlo voluto così spazioso, non certo pensando di abitarlo. A questo punto, però, la famiglia vede i ruoli ribaltati. La mamma Lisa si sente sbandata e si protegge come una ragazzina isolandosi nell’armadio, Sveva, forte di carattere di suo - anche se all’inizio stenta ad accettare la nuova situazione e non si confida neanche con il suo ragazzo - capisce che spetta a lei prendere le redini della casa e non solo: stimola psicologicamente la madre, la sferza per farla reagire, la rimprovera. Ed invece nessun risultato. Arriva a prenotarle l’appuntamento con una psicologa che ovviamente sarà rifiutato dalla donna, motivo per il quale la ragazza, non perdendosi d’animo, la porta praticamente di peso nella casa e nel mobile, che, capiente, riesce ad ospitare anche due persone sedute di fronte. Come quando, parimenti, arriva la pedante e farfallona signora madre a far visita. Ma nulla: Lisa attende, romanticamente, il ritorno del marito sognando che le chieda umilmente scusa e la abbracci, la baci. Perché queste son le cose della vita che contano. Bello, vero? Sì, ma non succede.

ree

Solo la tenacia di Sveva smuoverà le cose, però nel punto più basso della grottesca vicenda, e cioè quando lei stessa crolla a sua volta e piangendo va a far compagnia alla madre nell’armadio. Sconfitta dalla caparbietà e dalla sfiducia della donna, che invece proprio per questo ha un sussulto, di certo sperato ma inatteso. È infatti l’opera della giovane che, prendendo in mano la situazione e svolgendo il compito che è proprio dei genitori, diventa genitrice responsabile, adulta immediata che sprona la donna in difficoltà, che mostra una maturità che aveva esternato solo nei rapporti con il suo ragazzo o nella vivace discussione con il padre quando aveva annunciato l’assenza mandandolo a quel paese. Uomo che si era nascosto dietro fanciulleschi pretesti per nascondere invece un tradimento prevedibile.

E difatti Daniele non tornerà a casa, ma Lisa uscirà dal mobile: non sarà la fine del dolore, ma almeno il primo passo verso la consapevolezza di doverlo affrontare. Un bel mazzo di fiori in un vaso sulla terrazza con meravigliosa veduta panoramica di Roma, una danza liberatoria e poi Monica Dugo, attrice protagonista, regista e sceneggiatrice, si fa inquadrare solo i piedi quando finalmente varcano la soglia del portone del palazzo. Una parabola che si era formata geometricamente dopo una blanda e noiosa retta orizzontale che era la vita monotona che la coppia trascinava da troppi anni. Ecco allora il guizzo di Daniele, la reazione passiva e rinunciataria, ma forse lenitiva verso il dolore mentale, di Lisa, e finalmente l’impennata della curva che si libra verso il cielo e la liberazione psicologica. Certo, è una meccanica che si ripete spesso nelle coppie mature, fenomeno che si riaffaccia quando non si innaffia la pianta dell’amore, quando ci si trascura sia vicendevolmente che verso se stessi, non facendosi trovare dal partner belli e accoglienti, quando la noia spinge a guardarsi intorno, quando si cede alle tentazioni. Tutto ciò rientra nella quotidianità ma quando ci si lascia andare troppo succede che a uno dei due scatta il clic che danneggia il legame. Lisa non pensava che potesse succedere, anzi non ci pensava proprio, come confessa alla figlia nell’armadio.

ree

Interessante capire l’ideazione del progetto, al proposito del quale la regista afferma: “Il mio film è partito da un’immagine: un armadio vuoto. Ho pensato se una donna, travolta da un dolore non sostenibile e inaspettato, avrebbe potuto ficcarcisi dentro. Cosa sarebbe filtrato dalle sue fessure e cosa avrei mostrato del suo interno. Spiando la protagonista, mentre nasconde il suo stato d’animo senza colore, attraverso camicette colorate. L’armadio diventa un personaggio, assiste e accoglie, e una volta finita la sua missione può anche morire. In ogni caso, la prima regola che mi sono data è fare le cose molto seriamente ma senza prendersi mai troppo sul serio. Non indugiare sul dolore, farlo sentire ma levare lo sguardo un attimo prima piuttosto che un attimo dopo.

ree

Il soggetto iniziale, con la regia e la scrittura, fino alla personale interpretazione di Monica Dugo, rivela un’idea sicuramente originale e intelligente, a cui aggiunge una performance lieve e sobria, senza eccessi o sforamenti, trattenuta. L’unica critica che sovviene è a proposito di alcuni dialoghi che paiono troppo preparati a tavolino e di conseguenza troppo poco spontanei, per giunta qualche volta recitati troppo velocemente trascurando i tempi, particolare tecnico di recitazione di estrema importanza. In compenso sono da elogiare non solo l’intera operazione dell’autrice, ma soprattutto la prova recitativa di Romana Maggiora Vergano, che è bravissima: da lei ci sarà da aspettarsi ottime cose nel futuro, oltre alla crescita artistica di Francesco Gheghi, già fattosi notare in Il filo invisibile, Padrenostro ma specialmente in Mio fratello rincorre i dinosauri.

Buon film, originale e intelligente.


 
 
 

Commenti


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page