Come pietra paziente (2012)
- michemar

- 15 nov 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Come pietra paziente
(Syngué sabour, pierre de patience) Afghanistan/Francia/Germania/UK 2012 dramma 1h42’
Regia: Atiq Rahimi
Soggetto: Atiq Rahimi (romanzo)
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Atiq Rahimi
Fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Max Richter
Scenografia: Erwin Prib
Costumi: Malek Jahan Khazai
Golshifteh Farahani: la donna
Hamid Djavadan: il marito
Massi Mrowat: il giovane miliziano
Hassina Burgan: la zia
Mohamed Al Maghraoui: il mullah
Malak Djaham Khazal: il vicino
TRAMA: In Afghanistan una giovane donna sulla trentina accudisce il proprio marito, ormai ridotto a un vegetale a causa di un proiettile che gli ha oltrepassato il collo e lasciato al suo destino dai fratelli e dai compagni della Jihad. Lei gli parla in continuazione, gli racconta le sue sofferenze e le sue umiliazioni, i sogni e le aspirazioni a cui ha dovuto rinunciare, nella speranza che lui, così inerme, possa essere la sua pietra della pazienza, colui che secondo la tradizione persiana può annullare infelicità e miserie. Per la prima volta, in dieci anni di matrimonio, lei può toccarlo e baciarlo ma niente nella sua vita sembra cambiare e si ritrova costretta a lottare per sopravvivere.
Voto 6,5

In una città in macerie, situata ai piedi delle montagne vicino a Kabul, una giovane donna accudisce suo marito, soldato ed eroe di guerra, che, dopo essere stato colpito da un proiettile nel collo, vive in stato di coma ed è alimentato da flebo spesso improvvisate a base di acqua e zucchero, dal momento che il farmacista non le fa più credito. Nessuno la aiuta, le due piccole figlie cercano cibo in casa, frequentemente viene avvisata che presto pioveranno missili e devono correre nel rifugio che rifugio non è. Una vita difficile a causa delle problematiche economiche e sociali provocate della guerra, delle scorribande dei miliziani nemici, che entrano nelle case alla ricerca di ogni cosa utile e magari approfittare delle donne. Lei, di cui non conosciamo il nome, accudisce senza pausa il suo uomo che giace immobile: gli parla di continuo, gli racconta di tutto, quello che succede, quello che fa, dei vicini, del passato, eventi che in una situazione normale non avrebbe mai esternato. E si arrabbia notando assoluta mancanza di reazioni, sentendosi abbandonata dal destino: lui è ferito gravemente ma è lei che soffre, come è possibile? è giusto?

Gli dice di tutto, come se fosse stesa su un lettino di un moderno studio di psicanalisi, svuotando i segreti del suo trascorso, come quando fu data in sposa a lui senza neanche averlo mai incontrato: era in guerra e per celebrare il matrimonio, la cerimonia si svolse con lei giovanissima e la fotografia di lui, accanto al suo pugnale. Sposa di un pugnale. Della difficile prima notte al suo ritorno dal fronte, della difficoltà di restare incinta. L’unica persona che le può dare sostegno, almeno per tenere le bimbe lontane dal corpo esanime del marito e fuori dalle grinfie dei soldati, è la zia che gestisce una casa di piacere: è lì che le lascia ed è proprio la parente che le racconta dell’antica leggenda della pietra paziente, dopo aver confidato che passando tutto il tempo in casa parlando al marito inerme prova la strana sensazione di sentirsi sollevata. Infatti, la leggenda narra che:
“Mio padre mi raccontava di una pietra misteriosa e magica. Mi diceva: se la trovi, ponila davanti ai tuoi piedi e confidale i tuoi segreti, le tue sofferenze. La pietra ascolterà tutto quello che non hai mai osato dire ad altri, dillo alla pietra, parlale. Ascolterà i tuoi segreti, assorbirà tutto. E un giorno si spaccherà in piccoli pezzi e quel giorno tu sarai libera. Libera dalle tue sofferenze. Si chiama la pietra paziente.”

Solo una leggenda? Il fiume di parole della donna prende vigore, quasi inconsciamente, racconta al marito altri episodi, fino a giungere al gran segreto che custodisce in fondo alla sua mente, una verità che sorprenderà lei stessa per essersi aperta così chiaramente, ma anche noi che ascoltiamo inebetiti dallo stupore e soprattutto succederà quello che nessuno poteva aspettarsi. L’evento impossibile, che porterà ad una conclusione che rappresenta la liberazione della persona e della donna. La leggenda si avvera ancora una volta! Ma è anche un epilogo violento per dimostrare che tante volte, troppe volte, la donna non ha scelta. Nel frattempo, un po’ raccontato dai monologhi della donna, un po’ accaduto con le visite di uno dei soldati - che l’aveva scambiata, vedendola sola in casa, avendo lei sempre nascosto il corpo del marito, per una prostituta – lei aveva scoperto il proprio di corpo, il piacere del sesso anche solitario, concedendosi sempre più al ragazzo che le faceva visita con i soldi in mano, che a lei facevano tanto comodo. Un giovane balbuziente e timido che le aveva suscitato tenerezza, a maggior ragione quando aveva scoperto che veniva maltrattato e deriso, per il suo carattere, dai superiori. Finalmente un giovane come lei, che non si imponeva con la forza, che non la maltrattava e chiedeva solo un momento di affetto e di sesso, argomento su cui era totalmente impreparato. L’unico attimo di quiete e di parvenza di sentimento che aveva potuto vivere.

La trama è solo uno squarcio minimo della faticosa vita delle donne di quei villaggi, di quei posti, di quelle famiglie, di quella mentalità severa dominata dal Corano, la cui vita è sempre appesa ad un tenue filo sottile come quello di una ragnatela, che non conoscono il piacere del sesso scelto e non imposto, che non possono finanche innamorarsi di un uomo della loro età. Ma il film, tratto dal romanzo omonimo dello stesso regista, vincitore dell'edizione 2008 del premio letterario francese Goncourt - è soprattutto un soggetto feroce e senza sconti sulla descrizione del maschilismo strisciante e imperante in quella società. Da un lato la povertà di una umanità che non merita tutto questo in un luogo devastato dalla guerra perenne, dall’altro la povertà mentale in cui sono costrette a vivere le donne afghane e mediorientali in genere. Servirebbe una pietra paziente per ognuna di loro, che servisse in principio a sfogare le mancanze e i desideri e poi a liberarle come da leggenda.


La regia dello scrittore Atiq Rahimi è senza pretese, senza guizzi, ma sicuramente con il pregio di traslare il senso del suo romanzo essendo ben informato di quell’ambiente, anche se raccontato con una forma che sfiora la favola, tanto che il finale è fin troppo compiacente e con l’occhio che strizza alla compiacenza occidentale: la svolta terminale è troppo sopra le righe di ciò che ci si poteva aspettare. Ma è un difetto, se così si può definire, del tutto perdonabile perché tutto ciò che riguarda le storie mediorientali ha spesso il sapore della fiaba. E se il film convince e conquista è soprattutto merito della bravissima Golshifteh Farahani, la cui bellezza fulgente, con o senza trucco, è un elemento determinante, la cui dolcezza, sempre dimostrata, è necessaria, la cui fermezza e determinazione, che esprime sempre nei suoi atteggiamenti, raccontano tanto del carattere del suo bel personaggio. Intensa e consapevole del compito non facile, lo rende magnificamente e tiene viva la scena per tutta la durata.






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