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Copia originale (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 24 feb 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 28 ago 2023


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Copia originale

(Can You Ever Forgive Me?) USA 2018 biografico 1h46’


Regia: Marielle Heller

Soggetto: Leonore Carol "Lee" Israel (Can You Ever Forgive Me? Memoirs of a Literary Forger)

Sceneggiatura: Nicole Holofcener, Jeff Whitty

Fotografia: Brandon Trost

Montaggio: Anne McCabe

Musiche: Nate Heller

Scenografia: Stephen H. Carter

Costumi: Arjun Bhasin


Melissa McCarthy: Lee Israel

Richard E. Grant: Jack Hock

Dolly Wells: Anna

Ben Falcone: Alan Schmidt

Jane Curtin: Marjorie

Stephen Spinella: Paul

Anna Deavere Smith: Elaine

Marc Evan Jackson: Lloyd

Christian Navarro: Kurt


TRAMA: Dopo essere caduta in disgrazia, la biografa Lee Israel decide di contraffare delle lettere di scrittori e celebrità decedute per pagare l'affitto. Quando le falsificazioni cominciano a sollevare dei sospetti, decide di rubare le vere lettere dagli archivi delle biblioteche e di venderle attraverso un ex detenuto incontrato in un bar, mentre l'FBI è in procinto di fermare la truffa.


Voto 7,5

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Sorpresa!

Non pensavo che sarei andato a vedere un film così ben fatto (soprattutto ben recitato) che risulta anche tanto tanto simpatico. Un film di una regista quarantenne californiana intriso di sano sarcasmo, accentuato da dialoghi dello stesso tono, molto ben scritti che lasciano soddisfatti. Ed inoltre ero ovviamente incuriosito dal fatto che i due attori principali sono candidati agli Oscar 2019 e non immaginavo minimamente che invece era proprio bello anche il film nel suo insieme.


Quando ero ragazzo, dalle mie parti si usava menzionare le coppie particolari (coppie di ogni genere: marito e moglie, fidanzati, amici, coppie di lavoro, ecc.) che avevano la caratteristica che uno era basso e l’altro alto, con il soprannome de “l’articolo il”. Quando ho visto sullo schermo Melissa McCarthy e Richard E. Grant mi è subito venuto in mente “l’articolo ol”! Lei bellamente abbondante e tracagnotta, lui spilungone perfino nel viso allungato, che se ne vanno in giro per le strade di New York a caccia di bar per un buon whiskey e qualche collezionista da truffare con lettere più o meno autentiche autografate da gente famosa. Già, perché lei, Lee Israel (vita solitaria in un buon appartamento ma reso invivibile dalla sporcizia e con un gatto ammalato) è una scrittrice caduta in disgrazia e cerca di sopravvivere falsificando e ricopiando o addirittura inventando di sana pianta lettere di attrici, scrittrici e VIP molto famose, rivendendole poi a negozi di collezionisti alimentando un mercato dove gli appassionati sono disposti a pagare cifre impensabili per quei fogli ingialliti dal tempo (se autentici) o dalle tecniche fraudolente della donna in questione.

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Lui è Jack Hock, un dandy gay e squattrinato trasgressivo vagabondo, una specie di Oscar Wilde senza dimora, che nasconde il suo stato di homeless con molta nonchalance, che appena dispone di qualche dollaro – ovviamente prostituendosi – si fionda in un bar e proprio in uno di questi avviene la collisione con la protagonista Lee. Lei non soffre del fatidico “blocco dello scrittore” (argomento temutissimo e terrorizzante e tanto chiacchierato durante i party con i suoi colleghi), no, anzi forse sarebbe anche meglio fosse così: il dramma invece per lei è che ai lettori – notoriamente condizionati dalle scelte degli agenti degli stessi scrittori – non interessa più ciò che lei abitualmente scrive: le biografie di gente famosa. Il gusto dei lettori è cambiato e i suoi libri sono ormai svenduti nelle librerie a prezzi scontatissimi. Lei purtroppo è sul lastrico e in poche parole non riesce più a pagare le bollette e l’affitto e soprattutto non riesce più a curare la sua gatta ammalata. Per necessità e per cinismo si sentirà costretta a iniziare, per un intuito improvviso, un’attività illecita di commercio di falsi d’autore: lettere, scambi epistolari, brevi aforismi, pensieri fermati e firmati sulla carta da celebrità non più viventi. Da Katharine Hepburn a Dorothy Parker, da Lillian Hellman a Noël Coward, fino a Louise Brooks, Margaret Mitchell, Edna Feber, insomma gente che ha lasciato il segno nella scrittura, nella drammaturgia, nella poesia, nel cinema: tutti nomi che solleticano i desideri dei collezionisti che cercano cimeli introvabili. E tutto fila incredibilmente e facilmente liscio ovviamente fino a quando.

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È una storia davvero interessante, ma anche simpatica, irriverente nel suo scorbutico linguaggio pungente, sarcastico, a tratti perfino cattivo (perfetta la coppia degli sceneggiatori Nicole Holofcener e Jeff Whitty), ma ciò che colpisce maggiormente è la prova della sorprendente Melissa McCarthy, ancora una volta a dimostrazione di come gli attori comici sanno sfoderare il loro lato drammatico con estrema precisione ed efficacia: bravissima! E che dire di Richard E. Grant? Lui ha una gloriosa carriera sempre in seconda linea e invece stavolta, se non è il personaggio principale è un vero co-protagonista, più che una spalla al fianco della partner. È anche lui un personaggio a tutto tondo che Grant sa interpretare alla grande, sfoderando il suo solito sorriso e facendo brillare i suoi occhi chiari che quando puntano dritto verso un obiettivo poco pulito non annunciano nulla di buono.

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Ma gli elogi vanno soprattutto alla Melissa, sempre grassa ma appesantita dalla sciatteria della sua Lee Israel, la scrittrice in piena crisi di vendite e totalmente fallita, senza un dollaro e alla ricerca della rivalsa in una vita sperperata nel quasi nulla se non in abbondanti bicchieri di bourbon con ghiaccio. Il suo personaggio è una canaglia ma è così simpatico che non si riesce a non fare il tifo per lei una volta che l’FBI la scopre e la indaga per le sue malefatte.


Il tutto sostenuto dalla sceneggiatura spumeggiante e sanamente cattiva, che sprizza sarcasmo a piene mani e che diverte, mentre la quasi debuttante californiana Marielle Heller se la cava egregiamente alla regia, guidando benissimo le sequenze e lasciando intelligentemente i due attori al loro talento. Questo è ciò che secondo me succede in questa vivace storia dove tutto è vero, tutto realmente accaduto, così come si racconta Leonore Carol "Lee" Israel, che ha raccolto le sue memorie – a proposito di queste disavventure, chiamiamole così – in un libro chiamato appunto come il titolo originale del film: Can You Ever Forgive Me? Memoirs of a Literary Forger. E io mi chiedo: se è così bello il titolo americano che necessità c’era di cambiarlo? Non era meglio “Potrete mai perdonarmi?” Perché in fondo, ma proprio alla fine, la spericolata Lee cerca in un certo qual modo il perdono da parte della società che la ha giudicata, ma non è che si sia mai seriamente pentita:

“Non mi pento di nessuna delle mie azioni. Per molti versi è stato il periodo più bello della mia vita.” dice alla giudice nella dichiarazione spontanea alla fine del suo processo.

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Riconoscimenti

2019 - Premio Osca

Candidatura migliore attrice protagonista a Melissa McCarthy

Candidatura miglior attore non protagonista a Richard E. Grant

Candidatura miglior sceneggiatura non originale

2019 - Golden Globe

Candidatura migliore attrice in un film drammatico a Melissa McCarthy

Candidatura miglior attore non protagonista a Richard E. Grant


 
 
 

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