Copycat - Omicidi in serie (1995)
- michemar

- 30 ott 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 5 ott

Copycat - Omicidi in serie
(Copycat) USA 1995 thriller 2h3'
Regia: Jon Amiel
Sceneggiatura: Ann Biderman, David Madsen
Fotografia: László Kovács
Montaggio: Jim Clark, Alan Heim
Musiche: Cristopher Young
Scenografia: Jim Clay
Costumi: Claudia Brown
Sigourney Weaver: Helen Hudson
Holly Hunter: M.J. Monahan
Dermot Mulroney: Ruben Goetz
William McNamara: Peter Foley
Harry Connick Jr.: Daryll Lee Cullum
J.E. Freeman: ten. Thomas Quinn
Will Patton: Nicoletti
TRAMA: Uno psicologo agorafobico e un detective femminile devono lavorare insieme per abbattere un serial killer che copia altri assassini del passato.
Voto 6,5

Per certi versi il film sfrutta uno schema molto collaudato e che viene spesso apprezzato dagli appassionati dei thriller ad alta tensione, ma per altri versi ha pure una sua originalità. Il personaggio principale è una spaventata psicologa super esperta di criminalità tanto da aver scritto più di un best-seller in merito. È Helen Hudson (Sigourney Weaver), tiene conferenze in materia ma soffre di agorafobia e per giunta vive blindata, in una casa super tecnologica, da quando un maniaco ha cercato di ucciderla un anno prima.
La sua è una vita sempre all’erta ed è talmente isolata che comunica con il mondo esterno soltanto via internet, ma, malgrado ciò, viene coinvolta dalla detective di polizia M.J. Monahan (Holly Hunter) nelle indagini su una catena di delitti tutti commessi a San Francisco. Ma c'è un altro, ben più sconcertante fattore comune ai crimini: sono tutti ispirati ai famosi omicidi della storia. La Hudson, esperta com’è, intuisce presto il meccanismo su cui deve dare il parere e ormai è perfettamente consapevole dei processi mentali dell'assassino. Ma anche lui ha capito chi lo sta braccando. E sa dove trovarla. L’aspetto più inquietante è che sicuramente il killer sta mettendo in scena tutti i suoi omicidi solo per lei, come una sfida, citando tutti i tipi di famosi assassini. Gente come Ted Bundy, David Berkowitz e Jeffrey Dahmer. Anzi, il coronamento di tutto ciò dovrebbe essere l'uccisione rituale proprio dell'esperta.

Qui, come nel raccapricciante Seven, l’assassino si immagina artista, genio del male, e considera ogni omicidio un pezzo diverso di un capolavoro in corso, il suo. In entrambi i film, inoltre, l'assassino gioca sui difetti dei detective per trascinarli sempre più a fondo nel suo macabro gioco. Ma poiché questo film descrive la vittimizzazione delle donne attraverso gli occhi delle sue protagoniste femminili, il film ha forse qualcosa in comune persino con Il silenzio degli innocenti. Per esaltare questa cupa atmosfera, Jon Amiel la carica anche eccessivamente, fino al punto da far affermare alla protagonista in una conferenza che forse una dozzina di assassini seriali si aggirano per le strade americane in un dato momento e che la maggior parte sono maschi bianchi tra i 20 e i 35 anni.
Data la situazione con la donna rinchiusa in se stessa e le difficoltà di rapportarsi con l’esterno, la polizia la trascura e non le dà molto più credito, ad eccezione appunto della detective M.J. Monahan, che invece si rivolge a lei per l’ultimo caso. Il problema ora è, infatti, capire in anticipo la prossima mossa del ricercato. Buone le sequenze di quando le donne si incontrano e si studiano l’un l’altra per sintonizzarsi e ottenere maggiore collaborazione tra di loro. Son due caratterini e non è facile. Il finale è un crescendo di tensione e di colpi di scena.
Il thriller si scopre palpitante ma ebbe la sfortuna di uscire in contemporanea con l'impareggiabile film di Fincher su citato e sicuramente, al tempo, avrebbe meritato maggior attenzione. Chi agita le acque è la solita figura del serial killer che scuote tanti film, fiction e serie TV che oggi spopolano dappertutto. E più che in altre occasioni, anche in questa la polizia ha qualche défaillance e spetta alla psicologa non solo aiutare nelle indagini ma di conseguenza trovarsi pure immersa pericolosamente nella vicenda.
Se l’opera di Amiel ha aspetti positivi lo si deve soprattutto allo spigoloso viso di Sigourney Weaver, capace di aumentare l'atmosfera ansiogena, ma sarebbe ingiusto trascurare l’ottimo apporto del lavoro di Holly Hunter, creando in tal modo una strepitosa coppia di attrici che dà maggior risalto al film.
























Commenti