Cry Macho - Ritorno a casa (2021)
- michemar
- 5 gen 2022
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 17 mag 2023

Cry Macho - Ritorno a casa
(Cry Macho) USA 2021 dramma 1h44’
Regia: Clint Eastwood
Soggetto: N. Richard Nash (romanzo)
Sceneggiatura: N. Richard Nash, Nick Schenk
Fotografia: Ben Davis
Montaggio: Joel e David Cox
Musiche: Mark Mancina
Scenografia: Ronald R. Reiss
Costumi: Deborah Hopper
Clint Eastwood: Michael "Mike" Milo
Eduardo Minett: Rafael "Rafo" Polk
Natalia Traven: Marta
Dwight Yoakam: Howard Polk
Fernanda Urrejola: Leta
Horacio Garcia-Rojas: Aurelio
TRAMA: Un'ex stella del rodeo accetta il lavoro di riportare a casa dal Messico un giovane ragazzo. L'improbabile coppia affronta un viaggio inaspettatamente impegnativo, durante il quale il cavaliere insegna al ragazzo cosa significa essere un uomo buono.
Voto 6

Il crepuscolo degli dei. Il crepuscolo di un dio del cinema.
È da tempo che ho notato il declino nelle idee e nella realizzazione da parte di Clint Eastwood. Il primo segnale importante era stato Ore 15:17 - Attacco al treno (2018), opera mediocre, che sarebbe stata considerata tale per tutti se non avesse portato la sua firma ma di un regista sconosciuto. Poi il tanto celebrato Il corriere - The Mule (dello stesso anno), simpatico e di buona tensione, non è che mi avesse fatto fare salti di entusiasmo, anzi quest’ultimo segnava un passo verso la commedia, verso una delle sue tanto fortunate e riuscite storie drammatiche in cui sapeva dare con leggerezza una smorfia di sorriso, accentuata dalla sua presenza magnetica e così tanto invecchiata (anni che porta bene, beato lui) che dava anche il tocco magico della benevolenza che si prova verso le persone anziane: a loro si permette tutto, come per i bambini. Il vero film eccellente (a mio parere) dei suoi ultimi anni resta invece Richard Jewell, su cui mi sono già espresso molto positivamente. Il tono del dramma leggero, della commedia in cui sa inserire la battutina di spirito pungente, persino anche di doppio senso, con il sorriso ironico di chi ha capito tutto della vita al contrario degli altri che continuano a commettere gli stessi errori, si riaffaccia qui prepotentemente. Clint si prende la licenza addirittura di piacere e attrarre donne di diverse età: Leta, la mamma dell’adolescente co-protagonista Rafo e la piacente vedova ormai in là con gli anni Marta. La prima gli si offre addirittura su un caldo letto, provocante e pretenziosa, la seconda lo accoglie nel suo locale come un ospite gradito e atteso da tempo, umilmente, senza azzardare alcun gesto sbagliato, senza nascondere la segreta speranza di riempire il lungo vuoto lasciato dal marito, appena riempito dalla numerosa figliolanza femminile.

Licenze di sceneggiatura ambientate ovviamente e forzatamente in un clima da tardo western, con tanto di immancabili cavalli, anche da addomesticare, e deserto esteso tra il suo amato Texas e l’(in)ospitale Messico, aggettivo modellabile a seconda di chi incontra: chi lo aiuta e chi lo caccia (sia nel senso di bandire che di catturare). Lui è Mike Milo, una gloriosa ex-star del rodeo dello stato, ritiratosi – oltre che per l’età - a causa di un grave infortunio alla schiena che viene malamente licenziato in tronco dal suo datore di lavoro (Howard Polk) una mattina che si presenta tardi al ranch: non bastano i cimeli appesi al muro, ha fatto il suo tempo, non è più affidabile e i giovani si fanno sotto. Un trattamento che non capisce e che accetta come uno di quei tanti tramonti che ha visto nelle praterie. Il problema è che lui è fortemente in debito con il capo (motivo che si scoprirà solo alla fine) e quando questi, mesi dopo, gli chiede di restituire il gran favore fattogli tanti anni prima, sente il dovere di accettare l’incarico: riportare a casa il figlio tredicenne Rafo che è in Messico, togliendolo alla madre da cui si è separato da anni e con cui i rapporti sono pessimi a causa di proprietà in comune al di là del confine. In buona sostanza gli sta chiedendo di rapirlo, perché la provocante Leta mai accetterà di lasciar andare via il giovanottino.

Mike parte così su un vetusto mezzo di trasporto che ricorda quel pickup lasciato nel film in cui trasportava droga a quintali per conto del cartello messicano: ci risiamo, ancora un confine da passare possibilmente inosservati, col pericolo di essere beccato al ritorno con un ragazzino estraneo. E riecco il West polveroso, il film on the road con le strade dritte e lunghe della pianura oppure piene di curve in pieno deserto dove le foglie di cactus sono utili per bloccare la dissenteria provocata dalla maledetta acqua messicana. Pneumatici consumati, asfalto ruvido, sabbia e poi le cittadine di confine, fino a Città del Messico, pullulante di scommettitori clandestini dei combattimenti tra galli furiosi: è il mondo in cui il giovane Rafo si è rifugiato sentendosi non amato in casa della madre, dedita, con uno stuolo di pistoleros, a chissà quali attività. È la strada l’ambiente in cui il figlio è cresciuto come un ribelle, campando con le scommesse e i furti. Portarlo indietro, per Mike, è come ridurre un cavallo dallo stato brado ad animale docile e ubbidiente, forse di più, dal momento che lui con i cavalli ci campa da sempre e li conosce a menadito. Rafo è tutto da scoprire.


Se il viaggio di andata è stato veloce, quello di ritorno sarà un’odissea, tra gente che li insegue, auto cambiate, diciamo, illegalmente, controlli della polizia e tanto di lunga sosta omerica in casa della vedova che gestisce una trattoria in un villaggio in cui trovano ristoro, atmosfera familiare e affetto. Per meglio specificare, nasce qualche sentimento che Mike cerca di evitare, data la fretta che ha di terminare la missione, attratto però dalla popolarità che sta conquistando nei dintorni come guaritore degli animali ammalati degli abitanti (“Sei un veterinario?”). Fa sorridere l’ingenuità che Clint dipinge su quei residenti, come fossero dei babbei, degli analfabeti senza esperienza: si può non saper leggere e scrivere ma nel frattempo avranno pur imparato a crescere le bestie di casa e di fazenda, a catturare e addomesticare i cavalli selvaggi, no? No, deve arrivare Mike e insegnare tutto, consigliare di non dar da mangiare troppo ma dar da bere al suino ingrassatissimo, fare coccole al cane che non è malato essendo solo invecchiato (come lui), accarezzare la pecora assalita dal lupo aspettando che le ferite guariscano… Ma questo è per caso il calendario di Frate Indovino messicano? Mah!


Un mix di West crepuscolare da circo, con inseguimenti blandi e guardie del corpo incapaci di far del male neanche per sbaglio, il vecchio protagonista in grado di dare cazzotti ai giovanotti robusti come tori, un novantenne che doma un mustang cavalcandolo come se avesse 35 anni, la danza con la matura vedova con tanto di bacio (semioscurato dal buio). Se voleva essere una commedia per intrattenimento era meglio saperlo prima. Certo, a questa età Clint si può permettere di tutto, ne ha il diritto e la fama, ma allora non aspettiamoci più grandi cose, a meno che non torni dietro la macchina da presa e prenda in considerazione spunti come il bellissimo film precedente, ché lui, gli eroi, sa quasi sempre come raccontarli. Non è più lo smaccato repubblicano che avevamo conosciuto decenni fa, tanto che oggi si dedica volentieri a trame buoniste come questa, in cui deve insegnare ad un giovincello come si diventa uomini e come ci si può guadagnare la stima del prossimo. Vederlo piegarsi per guardare la macchia d’olio sotto la malandata auto che hanno rubato fa impressione, ma evidentemente la controfigura gli rassomiglia tanto. Però ci fa ancora tanto piacere osservare l’obiettivo della macchina così vicino a lui, per inquadrare quando fa ancora e per l’ennesima volta l’uomo senza nome che guarda l’orizzonte con il viso rugoso che non ha paura di nulla. Spara ancora, Clint, spara!


No, invece stavolta non ha un’arma in mano, è solo un anziano cavallaro con tanta esperienza di vita sulle spalle che si intende di motori e animali ma soprattutto sa che deve compiere un dovere verso una persona che gli ha fatto del bene nel momento più difficile della sua vita, quando è rimasto solo e solo il rodeo era rimasto come sua famiglia. Alle persone con cui riesce a stabilire un buon rapporto amichevole risulta simpatico e generoso, affidabile e protettivo – più che mai alla vedova Marta -, gli si affezionano tutti, in particolar modo quell’irrequieto e indomabile ragazzo chiamato Rafo, che prima si ribella dispettosamente e poi capisce che non può vivere sempre allo sbando per le strade e che il padre gli darà quello che ha sempre desiderato: cavalli e attenzione. È proprio il rapporto tra l’anziano e il giovane il tema centrale del film, l’evoluzione dall’iniziale diffidenza (sentendosi come rapito) alla totale fiducia finale, passando anche attraverso qualche atto di guerriglia psicologica, ma con un gesto al termine della lunga e avventurosa cavalcata che sa di saluto d’affetto, regalandogli il suo campione di gallo da combattimento, un pennuto potente e affidabile che ha la dote di saper intervenire in difesa del padroncino nei momenti in cui i due si troveranno in difficoltà e nel pericolo di soccombere con gli inseguitori. Lui si chiama Macho, il “macho” del trio, sembrerebbe. Invece il maschiaccio reale è quel vecchiaccio dalla pelle dura, che non si spaventa mai e guarda dritto negli occhi di chi lo molesta, di chi vuole spaventarlo. Vecchio, magro, ancora atletico, dallo sguardo sincero, sa sempre cosa fare e quando agire. Un nonno e un nipote, si direbbe, e come tutti i nipoti alla fine si sente legato a quell’uomo che lo ha tirato via dalla vita sbandata e si è promesso di riportarlo a quella delle praterie e degli animali, che è il suo vero mondo. E Mike? In azienda non ha più spazio, forse il resto della vita può immaginarlo in compagnia. Servirà soltanto tornare nel villaggio, dopo aver concluso il burrascoso incarico.

La presenza di Clint Eastwood è sempre una garanzia: con quel fisico che non è paragonabile a nessun’altro, con quelle movenze di oggi che vengono da lontano, da quel pistolero silenzioso che è una vera icona della storia del Cinema, con quella voce che si va affievolendo, sempre leggermente rauca, che parla piano e con calma, come coloro che sanno imporsi senza urlare, che sorride verso l’interlocutore e l’obiettivo, mentre gli occhi azzurri brillano… con queste caratteristiche lui domina la scena come attore e come regista sa bene come e dove piazzare la camera da presa, come inquadrare le panoramiche e i particolari da mettere in evidenza. Regia impeccabile come sempre, che ha ben scelto le attrici e gli attori, praticamente poco conosciuti, molto adatti all’ambientazione, che lui ha saputo modellare per un film che è semplice e avventuroso come un intrattenimento. Evidentemente, oggi Clint è soddisfatto di lavorare così, evidentemente è ciò che cerca e porta a termine. Anche i pistoleri invecchiano.

Certo, se non avesse questa firma, del film non si sarebbe parlato così tanto e se questo è vero vuol dire che sicuramente non è memorabile. È solo e semplicemente un film che intrattiene, facile, buonista, non esaltante. È un Clint che sta vivendo il crepuscolo degli dei. Il crepuscolo di un dio del cinema.
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