Il corriere - The Mule (2018)
- michemar

- 10 feb 2019
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 12 set

Il corriere - The Mule
(The Mule) USA 2018 thriller 1h56’
Regia: Clint Eastwood
Soggetto: Sam Dolnick (art. N.Y. Times “The Sinaloa Cartel's 90-Year Old Drug Mule")
Sceneggiatura: Nick Schenk
Fotografia: Yves Bélanger
Montaggio: Joel Cox
Musiche: Arturo Sandoval
Scenografia: Kevin Ishioka
Costumi: Deborah Hopper
Clint Eastwood: Earl Stone
Bradley Cooper: agente Colin Bates
Michael Peña: agente Trevino
Dianne Wiest: Mary Stone
Andy García: Laton
Alison Eastwood: Iris Stone
Taissa Farmiga: Ginny Stone
Ignacio Serricchio: Julio
Loren Dean: agente Brown
Laurence Fishburne: agente speciale Dea
Victor Rasuk: Rico
Manny Montana: Axl
Clifton Collins Jr.: Gustavo
TRAMA: Earl Stone, un anziano rimasto solo e al verde, è costretto ad affrontare la chiusura anticipata della sua impresa, quando gli viene offerto un lavoro per cui è richiesta la sola abilità di saper guidare un’auto. Compito semplice, ma, ciò che Earl non sa è che ha appena accettato di diventare un corriere della droga di un cartello messicano. Questi non è però l'unico a tenere d'occhio Earl: il misterioso nuovo "mulo" della droga è finito anche nel radar dell'efficiente agente della DEA, Colin Bates.
Voto 7

La solennità a cui Clint Eastwood ci aveva abituati negli ultimi decenni si è dissolta in una specie di commedia che non riesce del tutto a colorarsi di giallo, nonostante l’indagine poliziesca che va parallela alla vicenda umana e familiare del protagonista Earl Stone. Anzi, man mano che la storia si sviluppa, si intuisce che è la morale quella che fa da padrona nella trama: un uomo che trascura la famiglia per il lavoro fino a disertarla completamente e farsi odiare dalla figlia commette un errore grave, per sé e per i suoi cari. Bisogna aver cura della famiglia, altrimenti si rimane con un pugno di mosche e ci si pente quando è ormai troppo tardi.
In buona sostanza il film, per me, è questo. Un film moralistico, che forse fa parte del patrimonio eastwoodiano, ma che faceva parte soprattutto del suo bagaglio patriottico. Invece stavolta riguarda la vita privata e per raccontare questo film, Clint punta su una storia anomala: lui, vecchio fioricultore fallito per colpa di internet, coglie l’occasione di far soldi a palate facendo il corriere della droga, prima quasi inconsapevolmente, poi – dati gli elevatissimi compensi – conscio e responsabile di ciò che trasporta.

Ma vediamo un po’, cosa è stata la molla che gli ha fatto condurre una vita di questo genere? Per quale amore ha abbandonato quello dei familiari? Di chi o cosa si è innamorato fino a fargli perdere la testa fino alla tardissima età che ha raggiunto, anche se lui fa finta di non averla e fa ancora il giovanottone con le signore mature a cui non fa mai mancare un bel fiore o un complimento adulatorio? Ebbene… è la passione per un fiore: l’emerocallide! L’emerocallide è un fiore simile al giglio, dai colori vivissimi, giallo, arancio, rosso, e dalla fioritura vorticosa. Il nome viene dal greco e significa “bellezza di un giorno” (in inglese daylily, e difatti in una delle prime sequenze del film vediamo il protagonista Earl che si reca ad una fiera di coltivatori di questa meravigliosa pianta): infatti sbocciano per un solo giorno, poi appassiscono, subito sostituiti da altri fiori. Sono unici, ed Earl Stone li ama tanto fino al punto da aver trascurato la famiglia e gli affetti per portare i loro bulbi nelle fiere di mezza America (“Ho girato 45 stati su 50, sono uno che ha viaggiato molto!” si vanta con un giovanotto intraprendente che lo avvicina e lo instrada verso un nuovo lavoro, dopo il fallimento dell’azienda). Earl si è perso battesimi, lauree e compleanni della moglie Mary – che ama pur sempre -, della figlia Iris – che quindi ha cominciato a odiarlo – ma non della nipote a cui cerca di non far mancare nulla. Ma, purtroppo, Earl ha lasciato seccare il suo matrimonio come una pianta non curata.

Lui è un tipo che non molla mai e si comporta con la saggezza di un anziano ma vuole divertirsi ancora come un uomo mai invecchiato: gli piace corteggiare le donne e quando guida canta volentieri brani che inneggiano alla vita e alla resistenza alla morte, giusto come declama Toby Keith con “Don’t Let the Old Man In (dove l’“old man” del titolo altro non è che la morte).
La mia sorpresa e la contemporanea delusione comincia quando vedo che la sceneggiatura di Nick Schenk (già autore di ‘The Judge’ e ‘Gran Torino) che immaginavo incanalata verso un buon thriller è anche caratterizzata da dialoghi che mi hanno lasciato di stucco: battutacce che piacciono agli anziani per dimostrare quanto essi siano ancora “vivi” e spiritosi ma che in un film di Clint non mi sarei mai aspettato, non per il loro significato (al limite per un repubblicano come lui vanno anche bene) ma perché ci conducono verso una storia lontana dai suoi amati cliché. Insomma, oltre quelle che fanno sorridere il pubblico (compiacente, non io) “Prego, lesbiche!” “Vi aiuto io allora, negri!”, rilevo con sorpresa qualche buco narrativo. E soprattutto: perché un giovanotto dalla chiara discendenza ispanico-messicana presente alla festa di fidanzamento della nipote Ginny lo incontra per la prima volta nella sua vita e lo invita con discrezione a rivolgersi ad un particolare datore di lavoro molto particolare? Non è dato di sapere e non ci sono state premesse: Earl, che si ritrova disoccupato dopo il fallimento della sua piccola impresa, viene quindi inspiegabilmente individuato da un estraneo qualsiasi per essere la persona più adatta per il lavoro di “corriere” per un cartello messicano che ha bisogno di un automobilista fornito di pick-up che non dia nell’occhio alla polizia e alla DEA per far la spola tra il Texas e il Messico con carichi particolarmente cospicui di polvere bianca.

Si sorride qui e là per via delle battutacce del vecchio Earl, idolo degli amici e colleghi, e inutilmente si aspetta che l’azione inizi. E invece per vedere un’azione della DEA (Drug Enforcement Administration, l'agenzia federale antidroga statunitense facente capo al Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti) bisogna aspettare 1 ora e tre quarti, per poi finire (incredibile!) con un finale commovente subito sdrammatizzato dall’ennesima battuta della figlia riavvicinata. “Almeno sappiamo dove stai!” No, questa frase finale non la perdono, non nel finale di un film di Clint. Non è la sorniona ironia dell’ispettore Callaghan o del pistolero senza nome, a meno che non sia chiaramente nelle intenzioni iniziali farci sopra una commedia.
Ah, a proposito: chi è la figlia Iris? È proprio la figlia Alison Eastwood, mentre il detective incaricato delle indagini per fermare questo proficuo andirivieni USA-Messico del misterioso “Mule” è il tanto richiesto Bradley Cooper, che così si ritrova a lavorare con Eastwood dopo il successo del cecchino americano.

Un film con la morale, quindi, che non manca mai nella lunga e gloriosa carriera di Clint: a volte guardando con compiacenza verso la destra repubblicana, qualche altra volta (poche in verità) ispirato da sani princìpi di scelte democratiche (vedi ‘Million Dollar Baby). Ma in ogni caso sì, son rimasto deluso: credevo di essere andato a vedere un film di Clint e mi son ritrovato forse davanti ad un’opera che fotografa solo la dolce vecchiaia di un regista che conosce bene il suo mestiere. Sì, perché il film è piuttosto ordinario ma è anche fatto bene, perché Clint sa il fatto suo, questo lo sappiamo tutti. Il suo ghigno è ancora valido ma qui un po’ sprecato. L’ho rivisto solo quando nel finale guida con il viso stravolto, spettinato e macchiato di sangue, come ai bei tempi gloriosi quando questo diventava il segnale di “adesso mi scateno e li faccio fuori tutti”. Invece il suo protagonista è un quasi 90enne che fa il gagà con le prostitute chicane con la paura di rimanere secco per colpa del cuore. E dico di più: azzardo a dire che se non fosse lui l’autore, oggi non si starebbe parlando tanto del film, o al massimo si direbbe in giro che c’è un film interessante di tizio o caio fatto discretamente. Due ore con un film decentemente da intrattenimento, ma nulla di memorabile. Forse il meglio Clint lo ha già realizzato e ora va con il pilota automatico.
L’importante per noi è non ripetere l’errore gravissimo di Earl Stone, quello di trascurare le cose importanti nella nostra vita morale, perché altrimenti diremo come lui che “Potevo comprare tutto, tranne il tempo”.






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