Decision to Leave (2022)
- michemar

- 25 mag 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 27 nov

Decision to Leave
(Heojil kyolshim) Corea del Sud 2022 dramma poliziesco 2h19
Regia: Park Chan-wook
Sceneggiatura: Jeong Seo-kyeong, Park Chan-wook
Fotografia: Kim Ji-yong
Montaggio: Kim Sang-beom
Musiche: Jo Yeong-wook
Scenografia: Ryu Seong-yee
Costumi: Kwak Jung-tae
Tang Wei: Song Seo-rae
Park Hae-il: Jang Hae-jun
Lee Jung-hyun: Ahn Jeong-an
Go Kyung-pyo: Oh Soo-wan
Park Yong-woo: Im Ho-shin
Kim Shin-young: Yeo Yeon-soo
Jung Yi-seo: Yoo Mi-ji
Jun Young-sook: nonna del lunedì
Yoo Seung-mok: Ki Do-soo
Park Jung-min: Hong San-oh “Schiaffo”
Seo Hyun-woo: Sa Cheol-seong
TRAMA: Un detective efficiente e meticoloso indaga su un possibile omicidio in un remoto villaggio di montagna. Lì inizia a sviluppare una relazione amorosa con la vedova della vittima, che considera la principale sospettata.
Voto 7,5

Dal picco di una roccia delle montagne coreane è precipitato l’ufficiale dell’immigrazione in pensione Ki Do-soo, esperto scalatore, che tramite i social condivide le sue imprese e spiega le migliori tecniche di arrampicata. A proposito proprio di quella scalata, spiegava in un suo video che dal lato più facile ci si avvicina alla cima nel tempo necessario per ascoltare negli auricolari i primi quattro movimenti della Quinta Sinfonia di Mahler e poi si riesce a terminare giusto in tempo per il finale. Quel quinto movimento (che domina Morte a Venezia di Visconti) è lo struggente leitmotiv del film di Park Chan-wook che accompagna alcuni momenti importanti. È strano l’incidente accaduto a quell’uomo così esperto, secondo il giudizio dei due detective della polizia accorsi per i rilievi, Jang Hae-jun e Soo-wan. Il primo, sposato con Jeong-an, dipendente della centrale nucleare di Ipo e non a Pusan dove abitano e dove si vedono solo nel fine settimana, è un uomo che soffre di insonnia, tanto che il collega, vedendolo spesso intontito, gli fa notare che non dovrebbe dedicare tanto tempo alle indagini in corso ma riposare, al che lui risponde “Faccio gli appostamenti proprio perché non riesco a dormire”. Il sospetto che la morte del pensionato non sia semplicemente un incidente (è caduto o è stato spinto?) non lascia tranquillo l’agente, spingendolo a interrogare la moglie per togliersi ogni dubbio. È Song Seo-rae, una giovane e bellissima immigrata cinese, che fin da subito non appare sconvolta o addolorata: è fredda, quasi insensibile, con un cerotto sul dorso della mano, ecchimosi su una coscia e un tatuaggio con le iniziali KDS del marito a mo’ di marchio di possesso, come lui usava fare su tutti i suoi oggetti personali. Inevitabile a questo punto per Hae-jun cominciare a trovare conferma dei suoi primi sospetti sulla giovane donna.
L’episodio della disgrazia e il primo colloquio nella stazione di polizia sono solo l’interruttore che accende la luce su ciò che sarà sostanzialmente l’intero film: un rapporto tra due persone costruito su sospetti, alibi, allusioni, dialoghi e soprattutto un serpente emotivo-erotico che si instaura e che assume i contorni di una attrazione potenziale e mai dichiarata. Il detective - che sta vivendo un periodo non felice con la moglie (definita dai giornali la più giovane operatrice di reattori nucleari), assente tutta la settimana e con cui cerca di ricucire tramite il sesso del weekend e la sua abilità in cucina (“Non puoi trasferirti a Ipo? Almeno mangerei sempre così!”) - ne è attratto e cerca di resistere al fascino conturbante che la giovane vedova emana. Il loro gioco è sottile e mentre si parlano con domande e risposte relative all’indagine le allusioni e i doppi significati dei dialoghi non fanno che aumentare il livello del duello mentale che si è stabilito. In casa del poliziotto, invece, i coniugi sono consci del grado di logorio in cui si sta trascinando il loro matrimonio ma il diversivo che si è affacciato nella vita dell’uomo lo fa sentire indifeso a causa dell’interesse che sta provando verso la donna sotto inchiesta. I sospetti che ha su di lei sono labili e Song Seo-rae ha un alibi di ferro, dato che al momento della disgrazia lei, che fa la badante, stava assistendo un’anziana signora, quella che la attende ogni lunedì, appunto il giorno dell’incidente in montagna.

Poliziotto e sospettata non si dichiarano, ma l’idillio è scoppiato, fatto di sguardi, di pedinamenti, di frasi, di immaginari sfioramenti, come un gioco erotico in cui, chiaramente e come nell’intera vicenda, è lei che ha il timone del comando, che allenta la tensione o la esalta, che la riavvia o si assenta per farsi cercare, sfidando l’altro. Le indagini proseguono e si intensificano perché i superiori vogliono certezze ma il doppio atteggiamento di Hae-jun crea intoppi, fino a fargli credere che davvero lei non c’entri nulla. Però, perché allora non è sinceramente dispiaciuta per la perdita? Intanto, per venirne fuori e salvare il suo matrimonio, egli si trasferisce nella città dove lavora la moglie, ma tempo dopo la coppia incontra casualmente proprio Seo-rae, di nuovo sposata, con un uomo d’affari ricco ma in fuga per le truffe gigantesche perpetrate ai danni di molti risparmiatori. Incredibilmente, ancora una volta questa donna resta vedova in circostanza misteriose e improbabili. E ancora una volta ripartono le indagini, dove si replicano i soggetti della volta precedente: lui indaga e lei è la sospettata. Il cerchio si stringe e determinante sarà il ruolo degli smartphone in mano a vari personaggi, specialmente quello della cinese: il suo, scoprirà l’agente, è un modello identico a quello dell’anziana che ha in cura. Quale peso ha questa coincidenza? Che importanza può avere? Forse sarà sufficiente curiosare nella memoria del dispositivo?

Due mariti, due morti in situazioni particolari, una solo donna per giunta dall’atteggiamento equivoco, un poliziotto che ne resta invischiato psicologicamente: è il quadro in cui la coreografia apertamente hitchcockiana di Park Chan-wook si allestisce nella forma di un’eccitante gara di ambiguità tra immagini e parole, già tirate in ballo in una delle prime scene nella saletta degli interrogatori: “Che aspetto aveva quando lo avete trovato?”, dice lei riferendosi al primo marito. E l’altro: “Vuole che glielo spieghi con le parole o preferisce che le mostri le foto?”. Seo-rae sceglie le seconde, anche se poco piacevoli. Il gioco-duello tra i due inizia così e si trascina sino alla scelta finale che lui non avrà mai modo di capire. Immagini vere e immaginate, tra la realtà e le visioni nelle notti insonni. Un ballo a due elegante e vorticoso e nello stesso tempo contenuto dal comportamento controllato come è costume degli orientali, che non vuole mai sbilanciarsi, ma denso di messaggi velati, sottintesi, che fa diventare il dramma poliziesco un noir mentale oltre che reale. Anche se si ripete lo schema classico del detective che soffre di insonnia e della femme fatale dalle due vite, come la Madeleine/Judy di Vertigo, il regista sudcoreano, eclettico e personalissimo, sembra offrire ancora una volta qualcosa di innovativo, miscelando con dosi misuratissime il thriller al mélo e giocando con le certezze dello spettatore, sempre colto di sorpresa. Anche a noi vengono i sospetti del detective e ci chiediamo di continuo cosa mai voglia nascondere quella donna affascinante dalle espressioni minime della bocca che vogliono dire tanto e nascondono tutto, sublimando le sensazioni.

Quando un uomo addetto alle indagini cade nell’ossessione amorosa si ritrova a volte di fronte e a volte di fianco alla donna sotto inchiesta, a seconda se la vuole mettere in difficoltà o assecondarla nei suoi segreti. Questo si traduce, per mano di questo regista, in magnifiche ed esplicative inquadrature di Jang Hae-jun e Song Seo-rae, l’uno che guarda l’altra, l’una che spia l’altro, l’uno che vuole capire, l’altra che si atteggia a sfinge, senza mai un vero gesto rivelatorio dell’attrazione fisica, mai una concessione: solo, verso il finale, un bacio appassionato. Unica manifestazione dei sensi trattenuti, ma inutile allo scopo del detective per conquistare il cuore della donna al fine di carpirle la verità. Perché lei è molto più forte. In un primo momento, infatti, il film può dare l’impressione che il protagonista sia l’uomo, che tiene in mano la situazione, la controlla e dirige i movimenti, ed invece è la donna che assurge a protagonista assoluta, che decide le svolte e le trappole psicologiche, che stringe o allenta le briglie, che porta il ritmo della danza. Dimostrandosi tale anche nella scena conclusiva, quando ormai le spiegazioni sono lampanti.
“Perché l’hai sposato?”, “Per poter decidere di lasciarlo”. Ma il to leave del titolo vuol dire anche partire, allontanarsi, abbandonare e nel drammatico finale ne dimostra il significato. In pieno.

I film di Park Chan-wook sono sempre sorprendenti, spesso figli di sir Alfred, sensuali e misteriosi, dai risvolti psicologici spiazzanti, pieni di personaggi complicati che intende spiegare più con le immagini che con i dialoghi e difatti basta osservarle per trarne subito l’atmosfera essenziale e torbida. A sei anni dall’ultimo, Mademoiselle, altro racconto intricato dal punto di vista mentale e dai risvolti possessivi, ne riporta l’impulso erotico che qui mimetizza con grande efficacia, avendo a disposizione attori adeguati. Park Hae-il è il perfetto poliziotto totalmente dedito al lavoro che però crolla sotto l’effetto conturbante della donna e sa giocare di sguardi con la partner. Tang Wei è sublime! Dopo l’esordio come spia in Lussuria - Seduzione e tradimento, un ruolo incandescente conquistato fra 10 mila candidate, e tanti film (nonostante fosse stata bandita dal governo cinese per le scene erotiche di quella prima apparizione), l’abbiamo rivista in Blackhat di Mann, ed ora eccola qui, luminosa come una stella radiosa, pieno di fascino e ambiguità, che ammalia l’avversario-alleato (come in una sorta di sindrome di Stoccolma) e gli spettatori e che riporta fedelmente l’idea del regista. Le basta poco per esprimere, nel silenzio, tutto il necessario che la scena richiede e al termine se ne resta ammaliati. Attrice perfetta per questo film, assecondando la magnifica regia, assistita dall’eccellente fotografia stilizzata come, del resto, l’intera opera.
“Nel momento in cui hai detto che mi amavi, il tuo amore è finito. Nel momento in cui il tuo amore finisce, inizia il mio amore.”
Riconoscimenti
52 premi e 138 candidature in tutto il mondo, tra cui:
2023 – Premio Oscar
Candidatura al miglior film in lingua straniera
2023 – Golden Globe
Candidatura al miglior film non in lingua inglese
2022 – Festival di Cannes
Migliore regia (ex aequo)













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