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Le buone stelle – Broker (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 23 mag 2023
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 15 mag 2024


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Le buone stelle – Broker

(Broker) Corea del Sud 2022 dramma 2h9’


Regia: Hirokazu Kore-eda

Sceneggiatura: Hirokazu Kore'eda

Fotografia: Hong Kyung-pyo

Montaggio: Hirokazu Kore'eda

Musiche: Jung Jae-il

Scenografia: Lee Mok-won

Costumi: Choi Se-yeon


Song Kang-ho: Sang-hyeon

Gang Dong-won: Dong-soo

Lee Ji-eun: So-young

Bae Doo-na: detective Soo-jin

Lee Joo-young: detective Lee

Im Seung-soo: Hae-jin


TRAMA: Una giovane donna abbandona il suo neonato nei pressi di una chiesa, ma scopre che c'è un gruppo attivo che ruba questi bambini per venderli. Cogliendo in flagrante la coppia di uomini che opera si unisce a loro in un avventuroso viaggio per trovare clienti disposti a comprarlo. Le cose non vanno bene poiché due poliziotte sono sulle loro tracce.


Voto 6,5

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È una notte piovosa a Busan quando una giovane donna si avvicina cautamente alla chiesa in cima alla cui rampa è installata quella che comunemente viene chiamata la “ruota degli esposti” o “culla per la vita” e universalmente e più semplicemente “baby box”, cioè quella specie di sportello in cui le donne che vogliono abbandonare un bimbo appena nato lo depositano facendo scattare l’allarme del posto di accoglienza, magari meglio con un biglietto con il nome del neonato ed eventualmente il numero di telefono o altra indicazione in caso ella si penta, ci ripensi e torni a riprenderselo. Quella ragazza, di nome So-young (Lee Ji-eun), però non lo inserisce nel riparo ma lo posa a terra, con un biglietto su cui ha scritto soltanto “Woo-sung, mi dispiace. Tornerò a prenderti”. Per fortuna del bimbo, due detective della polizia stanno sorvegliando il posto perché indagano proprio sul traffico illegale che avviene in quei paraggi, dato che spesso i bambini abbandonati, normalmente custoditi e allevati nell’orfanatrofio della chiesa, vengono prelevati da un paio di uomini addetti al servizio che invece provvedono, cancellando la registrazione video delle telecamere, a venderli a coppie sterili che intendono adottarli.

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Pare, infatti, che in Corea il fenomeno delle baby box sia in aumento e la legge ha provveduto ad emanare norme che tendono a proteggere i piccoli pargoli, ma si sa, i malintenzionati escogitano sempre rimedi per trovare scappatoie e sotterfugi per il loro traffico di esseri umani, anche con gli scopi più criminali. Invece, Sang-hyeon (l’indispensabile, versatile e simpaticissimo attore del cinema orientale Song Kang-ho) e Dong-soo (Gang Dong-won) si impiegano a fare ciò per uno duplice scopo: il primo è, essendo anche loro stessi cresciuti in orfanatrofio dopo essere stati abbandonati dai loro genitori, quello di far felici le coppie che vogliono adottare un bimbo; il secondo è, molto più banale, quello di concludere affari e guadagnare soldi. Non sono cattivi, non farebbero male ad una mosca, ma non avendo una vera occupazione (Sang-hyeon si barcamena con la sua lavanderia-sartoria) colgono al volo le opportunità che offre quel caritatevole servizio d’accoglienza cristiana, non riuscendo mai a concludere un affare che li arricchisca: parlano sempre di milioni di won coreani (che valgono pochissimo) ma sono sempre squattrinati e soprattutto intimoriti dai piccoli boss del quartiere dove abitano. Il protagonista si definisce, per il suo lavoro di intermediario, broker, termine che dà l’idea di una professione dinamica e moderna ma che qui invece indica solo un piccolo imbroglione, spinto dalla necessità di pagare i debiti con i boss locali.

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I guai iniziano perché i malfattori sono ignari di essere pedinati dalle due poliziotte che indagano sul caso sin dal momento della deposizione del fardello neonatale da parte di So-young, poi la faccenda si complica enormemente a causa di un misterioso assassinio, motivo per il quale le detective bloccano la ragazza e la interrogano nell’auto civetta che utilizzano, sempre seguendo la comitiva che si è nel frattempo ingrandita. Ai due furbi ma generosi traffichini si è unita la madre, mai del tutto pentita ma desiderosa di assicurarsi che il suo bimbo vada in mano ad una coppia veramente affidabile, che gli voglia bene e che glielo faccia vedere di tanto in tanto. Poi c’è anche uno dei ragazzini dell’orfanatrofio, Hae-jin, uno dei più vivaci dell’istituto, affezionato ai due ed anche alla nuova arrivata, e per concludere c’è ovviamente il pargolo che Sang-hyeon e Dong-soo non abbandonano mai, rappresentando per loro essenzialmente il tesoro da rivendere ma anche un esserino a cui inconsciamente si stanno affezionando. La verità è che, come dimostra il film, c’è una inaspettata ma fortissima solidarietà tra tutti gli orfani, una sorta di alleanza affettiva che li lega in maniera emozionante e così questa storia, che si traveste da road movie alla ricerca della coppia ideale per il piccolo - alcune delle quali sono una trappola preparata dalle poliziotte per arrestare la combriccola in flagranza - e diventa forzatamente l’occasione per stare assieme, nel furgone della ditta e in hotel, e conoscersi meglio, confidare il proprio vissuto, raccontare sull’orlo della commozione come si son dovuti arrangiare crescendo senza genitori. Senza quasi rendersene conto la comitiva si trasforma in una improvvisata famiglia allargata.

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Ci risiamo: la famiglia. Le famiglie di Hirokazu Kore-eda, quelle di quasi tutti i suoi film, quelle allargate, ma mai anomale come questa, dove non esiste alcun legame se non quello tra la giovane e il suo Woo-sung. Ma intanto, come famiglia, lo sta diventando per davvero, almeno per i sentimenti che non vogliono ammettere ma che stanno fiorendo come un prato a primavera. Insieme si recano agli appuntamenti per concludere la vendita ma nessuno vuole privarsi del piccolo e si preoccupano persino quando gli arriva la febbre. Le poliziotte non mollano, cercano prove evidenti e vogliono venire a capo anche dell’omicidio: che rapporto aveva l’assassinato con la giovane? Che attinenza aveva? È un unico caso di indagine? Il film sta mica diventando anche un thriller? In realtà è un dramma sociale ed affettivo, sempre sotto forma di commedia leggera e vellutata, come sempre sa fare il buon regista giapponese, stavolta in trasferta. È chiaramente un film a tema, ma con dei risvolti commoventi ed anche politico-morali, dimostrati dal almeno due momenti importanti. Uno è il colloquio segreto tra le due agenti e la giovane mamma (a cui non perdonano il gesto): “Non fai un figlio se poi l’abbandoni.” la rimproverano, “Quindi non farlo nascere, piuttosto che abbandonarlo dopo il parto, è un peccato minore?”. Eh, bel dilemma! Ecco il vero problema socio-politico-umanitario ma soprattutto etico e morale, che urla la richiesta di leggi e dispositivi sociali che aiutino le madri single a risolvere situazioni difficili, che le accompagni nella scelta migliore, specialmente per la creaturina che non è un oggetto che si può fabbricare ed eventualmente gettare, pur nel pieno rispetto, però, dei legittimi diritti delle donne e della loro libertà.

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L’altro aspetto che solleva il film è comprendere il disagio psicologico di chi, arrivando all’età matura, riflette sul suo stato di persona cresciuta ed educata da gente che non lo ha generato, da soggetti che ne hanno voluto prendere cura ma che non erano il padre e la madre. C’è un momento di forte emozione quando il gruppo, prima di addormentarsi nella stanza d’albergo dove stanno sostando, riflettono sulla loro condizione e se ne è valsa la pena di vivere, specialmente per loro e quelli simili che vivono e che sono in qualche modo, cadute lontano, scivolate via dalle norme della società. È in quel momento che Sang-hyeon invita So-young, affinché si senta importante come tutte le altre persone di questo mondo e che tutti abbiamo diritto alla vita anche se abbandonati, a dire: “Grazie per essere venuto al mondo.” Al buio della stanza, in modo che ognuno possa ripetere senza essere visto, “Grazie per essere venuto al mondo!” in modo convinto e sincero. Ci siamo ed è bello che ci siamo anche noi, sembrano dire. È solo una questione di umanità. Che questi personaggi siano buoni ma borderline, cioè a cavallo tra l’illegalità e la bontà d’animo, è una caratteristica non nuova del cinema di Hirokazu Kore-eda, regista e sceneggiatore che di solito si occupa di nuclei familiari fuori dagli schemi, che si collocano quasi sempre in situazioni di collisione, appunto, tra le regole statali e quelle intime e personali, quelle dei sentimenti che provano e che trovano umanamente giuste (andiamo con il pensiero a Un affare di famiglia, in cui un uomo si porta a casa una piccola bimba lasciata a giocare da sola fuori di casa). Dove conta meno la relazione ufficiale tra persone della stessa famiglia rispetto a quella che nasce dall’affetto scaturito vivendo assieme. È una questione di etica morale.

Che l’autore sappia dirigere gli attori è dimostrato in tutti i suoi film ed anche questa occasione ne è una lampante attestazione: sembra una piccola orchestra che suona in armonia, con personaggi che nel corso della visione veniamo a conoscere nell’intimo, descritti con accuratezza e in perfetta sintonia l’uno con l’altro, costruendo un film corale dove ognuno si ritaglia un ruolo ben preciso, mentre, nello stesso tempo, sembrano una normale famiglia in gita nel lunapark di Seul. Una normale anomalia in festa e in litigio continuo, condotto da Sang-hyeon che organizza tutto e non si perde mai d’animo di fronte ai vari inceppamenti. Il sorriso perenne e la gioia che infonde continuamente il personaggio corrispondono al carattere gioviale e divertente di Song Kang-ho, attore che, come si racconta, anche sul set è un intrattenitore che tiene allegria a tutto il cast mentre cerca contemporaneamente la perfezione dell’atto recitativo, meticoloso e perfezionista com’è: qui è alla sua prima esperienza con il regista giapponese, che si è dichiarato molto soddisfatto anche dell’aiuto ricevuto nella ricerca di soluzioni e delle necessità narrative. Un attore che ancora una volta si rivela adeguato ai compiti assegnati, anche nel cinema di Kore-eda e alle sue tipiche figure tenere e malinconicamente felici di ciò che la vita gli passa. Tra gli altri, si distinguono un buon Gang Dong-won ma soprattutto la bravissima Lee Ji-eun nel ruolo della madre in crisi: ottima attrice e nota cantante in patria. Ed infine un cenno per la notevole Bae Doo-na (che avevamo conosciuta in Mr. Vendetta, Cloud Atlas) nel ruolo della detective riflessiva che vuole approfondire le motivazioni della scelta che innesta la vicenda.

Commedia, dramma, thriller: è un’opera che però non rappresenta il massimo di Hirokazu Kore-eda, è un passo leggermente indietro rispetto ai suoi migliori ma resta un bel film, sempre alla ricerca di risposte facili ad argomenti difficili.

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Riconoscimenti

2022 – Festival di Cannes

Premio miglior interpretazione maschile a Song Kang-ho

Premio della giuria ecumenica


 
 
 

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