After Lucia - Después de Lucía (2012)
- michemar
- 12 feb 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 17 nov 2023

After Lucia - Después de Lucía (2012)
Messico/Francia 2012 dramma 1h43'
Regia: Michel Franco
Sceneggiatura: Michel Franco
Fotografia: Chuy Chávez
Montaggio: Antonio Bribiesca Ayala, Michel Franco
Scenografia: Evelyn Robles
Costumi: Evelyn Robles
Tessa Ia: Alejandra
Gonzalo Vega Sisto: José
Tamara Yazbek Bernal: Tamara
Hernán Mendoza: Roberto
Paloma Cervantes: Irene
Juan Carlos Barranco: Manuel
Francisco Rueda: Javier
TRAMA: Sono trascorsi sei mesi da quando Lucia è morta in un incidente d'auto e il marito Roberto e la figlia Alejandra non sono ancora riusciti a superare il dolore. Per dare nuovo senso alle loro esistenze, decidono di trasferirsi in Messico e ricominciare da capo. Nella nuova scuola che frequenta, però, Alejandra non riesce a integrarsi con gli altri compagni e, ritenuta troppo bella e luminosa, diviene oggetto di feroce invidia e gelosie. Vivendo tutto in silenzio, senza confessare al padre il proprio disagio, Alejandra finisce col divenire una vittima, un capro espiatorio su cui chiunque finisce per sfogare le proprie frustrazioni.
Voto 7,5

L’elaborazione di un lutto, mi riferisco a quelli difficili da superare, come quello di una moglie e di una mamma, giovane per giunta, a volte è come la bava di una lumaca: una striscia lunga, umida, evidente, che ci mette molto tempo ad asciugare. Altre volte la lumaca, cioè il sopravvissuto, si impiega affinché tutto rimanga dentro, dentro il corpo, l’anima e il cuore. La lunga scia di bava non si vede, ma c’è, eccome che c’è. È solo che rigira come una spirale violenta e struggente all’interno del corpo che a sua volta ne soffre, fino a far assumere atteggiamenti e reazioni fino a quel momento estranei e inaspettati.
Roberto e Alejandra sono il marito e la figlia di Lucia, la donna che è morta in un banale incidente d’auto. Sono così sconvolti che decidono di dare una svolta alla loro vita stravolta trasferendosi dalla loro cittadina, Puerto Vallarta, a migliaia di chilometri di distanza, a Città del Messico. Lui è uno chef rinomato ed esigente e quindi apre un nuovo ristorante, mentre la adolescente Alejandra deve frequentare una nuova scuola. Ma può solo questo cambiamento seppellire il passato? Può rimarginare una ferita ancora sanguinante? Se un uomo ormai maturo scarica la sua tensione sul lavoro, come appunto fa Roberto con la sua nuova cucina, una ragazza ancora immatura e in pieno sviluppo, fisico e psicologico, diventa invece imprevedibile. Noi spettatori siamo proprio come il padre Roberto, che in realtà crede di conoscere bene sua figlia e invece è proprio come la maggior parte dei genitori, illusi di sapere tutto dei loro figli che non conoscono affatto. La scuola scopre che Alejandra fuma normalmente erba e lui se ne meraviglia; la ragazza gli chiede se può passare il fine settimana con gli amici e lui dice che va tutto bene; e così via. In fondo, perché non fidarsi?

Gli elementi che influenzano lo svolgersi della tragedia sono due: il branco e la vergogna.
Quello che Alejandra subisce (antipatia? invidia?) dalle sue (false) amiche e dai bulli della sua classe è una serie intollerabile di soprusi e violenze, fisiche e psicologiche, una vera sequenza di abusi che, sappiamo bene, si riescono a compiere solo perché si è in gruppo, in branco, e ci si nasconde dietro il compagno e l’amica. Uno e tanti sono due concetti che si sovrappongono e quando si è colpevoli tutti è come se non sia colpevole nessuno.
La vergogna è quella simmetricamente speculare: quella dell’abusato che non ha il coraggio di denunciare ciò che gli sta capitando, un po’ perché sa di avere qualche errore da farsi perdonare, un po’ perché prova appunto vergogna. Quando la situazione degenera i “grandi”, cioè i genitori e i professori, normalmente cadono dalle nuvole e non sanno fare altro che inorridire, senza minimamente pensare ai loro eventuali errori di valutazione e di sorveglianza.

Il giovane regista Michel Franco, messicano della Città capitale, scrive e dirige con mano esperta (ebbene sì) a soli 33 anni, una tragedia annunciata, portando lo spettatore prima sul ciglio del precipizio del comportamento incosciente degli adolescenti, poi direttamente nel burrone dello spietato, dell’impensabile, della condanna alla pena capitale decisa dalla rabbia della vendetta. C’è tanto Haneke nella seconda parte del film e c’è tutto Haneke nella sequenza finale. C’è ancora il maestro austriaco nella totale assenza di commento musicale e nell’assordante rumore delle pentole, delle portiere d’auto sbattute, dei motori, dei litigi, delle risate sardoniche dei compagni di classe, di tutti i rumori insomma di un film, c’è anche nei momenti di silenzio assoluto e nello sguardo ormai insensibile di Alejandra. Un film sconvolgente e coinvolgente che dovrebbe avere il successo che merita e che potrebbe essere anche proiettato nelle scuole. A lezione, di vita e di educazione. Ottime le due interpretazioni del bravo e misurato Hernán Mendoza e della promettente e carina Tessa Ia (ricordate la bimba di 'The Burning Plain - Il confine della solitudine'?), ma ciò che colpisce è la regia, potente e di sicuro avvenire. Quel finale scioccante lascia il segno.
Riconoscimenti
2012 – Festival di Cannes
Premio Un Certain Regard a Michel Franco
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