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Detective Marlowe (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 ago 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 1 set 2023



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Detective Marlowe

(Marlowe) Irlanda/Francia/Spagna/USA 2022 noir 1h49’


Regia: Neil Jordan

Soggetto: John Banville (The Black-Eyed Blonde)

Sceneggiatura: Neil Jordan, William Monahan

Fotografia: Xavi Giménez

Montaggio: Mick Mahon

Musiche: David Holmes

Scenografia: John Beard

Costumi: Betsy Heimann


Liam Neeson: Philip Marlowe

Diane Kruger: Clare Cavendish

Jessica Lange: Dorothy Quincannon

Adewale Akinnuoye-Agbaje: Cedric

Colm Meaney: Bernie Ohls

Daniela Melchior: Lynn Peterson

Alan Cumming: Lou Hendricks

Danny Huston: Floyd Hanson

Seana Kerslake: Amanda Toxteth

François Arnaud: Nico Peterson

Ian Hart: Joe Green

Patrick Muldoon: Richard Cavendish


TRAMA: Alla fine degli anni '30 a Bay City (capoluogo della contea di Bay dello Stato del Michigan), il rinomato investigatore Marlowe, ora caduto in disgrazia, viene assunto per trovare l'ex amante di un'affascinante ereditiera.


Voto 6-

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Nel 1939 a Los Angeles, il detective privato Philip Marlowe, una volta appartenente al corpo di polizia ma oggi, chissà per qual disgrazia, lavora per suo conto, viene assunto dalla ricca ereditiera Clare Cavendish per trovare il suo amante scomparso, Nico Peterson, arredatore di scena dei Pacific Film Studios e maniaco collezionista. Marlowe scopre che si ritiene che questi sia morto dopo essere caduto ubriaco ed essere stato investito da un'auto fuori da un club esclusivo. Tuttavia, Marlowe è scettico sulle circostanze che circondano la presunta morte di Peterson e inizia a indagare ulteriormente, nonostante la mancanza di interesse da parte del suo amico, il detective della sezione omicidi Joe Green. Lui approfondisce il caso, scoprendo una rete di inganni e corruzione tra l'élite della città.

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Girato tra Barcellona e Gerona in Spagna, Dublino e Los Angeles (da qui la produzione multinazionale), siamo davanti all’ennesima narrazione delle imprese del detective più scettico e sfiduciato della letteratura mondiale: Philip Marlowe. Personaggio celebrato da sempre dal cinema che è passato sulle spalle di attori importanti, ognuno dei quali ne ha dato un’impronta diversa: Dick Powell, Humphrey Bogart, George Montgomery, Robert Montgomery, Philip Carey, James Garner, Eliot Gould. Robert Mitchum, Steve Martin e James Caan. Indimenticabile e impareggiabile quello di Bogart, che con il bellissimo Il grande sonno è forse quello che ha saputo dare l’essenza indipendente e pessimista della figura unica e irripetibile del detective, spesso imitato ma mai superato. Ognuno con il suo modo di recitare. Chi ha voluto dare un accento molto personale è stato senz’altro il grande Robert Altman, che con Gould (ne Il lungo addio): indolente, malinconico, sempre intelligente e profondo conoscitore della natura umana. Un alieno tra la gente. Dopo chissà quanti film ci ha ripensato Neil Jordan, irlandese dalle scelte più varie che ha camminato su sentieri dei generi più diversi, affidandosi ad un cast internazionale di ottimo livello e puntando su un attore più abituato a ruoli di azione e maneschi, particolare che per tradizione il personaggio non ama molto. E difatti la curiosità era tanto di vedere all’opera un interprete di quel tipo nel ruolo di un personaggio così nettamente e diversamente disegnato.

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Gli ingredienti del menù noir ci sono ancora una volta tutti: la bionda fatale, bellissima e misteriosa (mica per niente il titolo del romanzo che fa da soggetto indica una bionda dagli occhi neri), l’ambiente familiare ostile, traffici illeciti, amanti a go-go, infedeltà coniugali e amicali, guardie del corpo freddi e implacabili, boss della mala e uccisioni a freddo. Tutti sanno e tutti tacciono, per il gusto di sopravvivere in un mondo corrotto dove prevale sempre lo squalo ai danni del pesce piccolo. La polizia (è un classico) sa, conosce, è al corrente ma spesso ha le mani legate o se infischia per quieto vivere. In questo marasma galleggia Marlowe, conoscitore dell’ambiente e dell’animo umano, sempre affidabile ma scettico e sospettoso fino a non credere a neanche una parola della bella Clare Cavendish (Diane Kruger) che lo assolda per ritrovare il suo ex amante che, come tutti sanno, è morto schiacciato in maniera da renderlo difficilmente riconoscibile da un’auto all’uscita di un club per soli ricchi, centro di gravità permanente della bella vita della zona. Ma come, è morto, cremato e sepolto e lei vuole rintracciarlo? Sì, perché lei lo ha intravisto due giorni prima di decidersi di contattare il detective privato.

Quando Marlowe inizia le indagini, frequentando suo malgrado gli ambienti luridi dei potenti e delle sofisticate signore (amanti, mogli, prostitute e sfruttate), ne rimane schifato e vorrebbe tirarsi fuori, preferendo tirare a campare piuttosto che guadagnare soldi facili da questa gente disposta a pagare carissimo per utilizzare i suoi servigi. “I'm too old for this shit!” e ha ragione. Ma più di una persona lo tira per la giacca, in special modo la bionda citata e sua madre Dorothy Quincannon (Jesica Lange), donna ancor più tosta dell’altra, che praticamente (guarda un po’ che succede) è anche sua rivale in amore.

Il film stenta a decollare, essendo tra l’altro parecchio verboso e con poca azione, ma quando la trama si infittisce e si complica diventa più interessante, fino a farsi finalmente seguire, tra qualche inevitabile scazzottata, qualche sparatoria, una serie continua di omicidi (per giustizia personale o per offesa) e chiarimenti che finalmente fanno un po’ più di luce nella fitta storia. Che ben presto prende la piega classica dell’intrigo in cui il morto, che ovviamente non è morto, è un vero filibustiere di primo livello, implicato nel traffico di oggetti di nessuna importanza ma che invece contengono merce ricercata come l’eroina, che, guarda un po’, scorre a fiume, specialmente nei ritrovi dei ricchi e negli ambienti hollywoodiani, dove contano molto le relazioni tra i potenti e le attricette in cerca di affermazione facile. Il Marlowe di Jordan e Neeson fuma sempre, sempre, parimenti alle sue copie ma non ha mai quella nuvola di fumo che aleggiava intorno a Bogart. Sigarette e whisky, whisky e sigarette, nei bar, nei club, vicino ai cadaveri, alla guida, durante i mille dialoghi della sceneggiatura, scritta a quattro mani dal regista e dall’esperto William Monahan (The Departed – Il bene e il male, London Boulevard, Nessuna novità). Ma, attenzione, il soggetto non è di Raymond Chandler. E ciò pesa molto e lo si nota.

In ogni caso Liam Neeson, che usa un tono calmo, riflessivo, nascondendo le emozioni e i pensieri agli interlocutori, caratterizzato da una voce bassa, profonda e un po’ afona di cui è dotato, non pare all’inizio l’attore adatto, poi, in seguito, lo si accetta ma resto del parere che non era quello giusto. Diane Kruger mi ha dato l’impressione di essere un po’ rigida nel rappresentare una femme fatale, si è sciolta solo nel prosieguo; Jessica Lange, dall’alto della sua lunga esperienza, sa bene come prendere il suo infido personaggio, ma mai anch’ella sciolta come avrebbe potuto essere, comunque maestra di cattiveria insensibile agli affetti familiari. Spietata. Stimabile come sempre Colm Meaney e ruolo da duro assolto a dovere da Danny Huston, avviato pure lui alla vecchiaia. Chi si fa stimare tanto (e non è una novità) è il fenomenale Alan Cumming, nel ruolo di gangster mellifluo e al contempo mefistofelico: solo chi ha potuto goderlo nei vari ruoli della sua carriera sa quanto sia bravo (indimenticabile nel meraviglioso Any Day Now).

Regia attendibile e recitazione approvabile, ma nulla di più: poca grinta e sorprese telefonate. Invece, dal punto di vista tecnico il film è migliore, con una bella fotografia adeguata ai ’30 e abiti e oggettistica ben scelti, a seconda dei personaggi, fatta eccezione per il povero e scocciato Philip Marlowe sempre e solo nel suo abito marrone invecchiato e il cappello che non toglie quasi mai. Se la scelta del regista era mostrare il crepuscolo del personaggio, si avverte la sensazione che forse si è esagerato, fino a far diventare film e protagonista alquanto mosci, avendo trascinato con sé la pesantezza e la lentezza di Liam Neeson.

Si poteva fare meglio.


 
 
 

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