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Devil's Knot - Fino a prova contraria (2013)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 apr 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 11 mag 2023


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Devil's Knot - Fino a prova contraria

(Devil's Knot) USA 2013 thriller 1h54'


Regia: Atom Egoyan

Soggetto: Mara Leveritt (Devil's Knot: The True Story of the West Memphis Three)

Sceneggiatura: Paul Harris Boardman, Scott Derrickson

Fotografia: Paul Sarossy

Montaggio: Susan Shipton

Musiche: Mychael Danna

Scenografia: Phillip Barker

Costumi: Kari Perkins


Reese Witherspoon: Pamela Hobbs

Colin Firth: Ron Lax

Mireille Enos: Vicki Hutcherson

Dane DeHaan: Chris Morgan

Kevin Durand: John Mark Byers

Stephen Moyer: John Fogelman

Bruce Greenwood: giudice David Burnett

Elias Koteas: Jerry Driver

Alessandro Nivola: Terry Hobbs

Amy Ryan: Margaret Lax

James Hamrick: Damien Echols

Seth Meriwether: Jason Baldwin

Kristopher Higgins: Jessie Misskelley Jr.


TRAMA: A West Memphis, un gruppo di bambini scompare sulla strada del ritorno da scuola a casa. Le ricerche della polizia portano all'orrenda verità: i bambini sono stati seviziati e uccisi. Sulla cittadina cala l'orrore e si scatena la caccia al colpevole, individuato dalle forze dell'ordine in tre ragazzi amanti del metal e di rituali vicini alla stregoneria. Un investigatore privato indaga sul caso e, resosi conto dell'inconsistenza delle prove a carico dei ragazzi, decide di aiutare i loro avvocati a salvarli dalla pena di morte.


Voto 6,5

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Atom Egoyan, regista armeno nato al Cairo ed oggi naturalizzato canadese, è sempre stato attratto da storie disgraziate riguardanti i bambini e gli adolescenti, spesso tramite proprie sceneggiature, in ogni caso esplorando il lato più oscuro della natura umana. Per l’occasione, gli fu offerta la regia per un film che riguardava un fatto di cronaca che lui definì “intimamente radicato nella cultura americana”, ma accettò la sfida per soddisfare il bisogno di denunciare i pregiudizi e il bigottismo ancora radicati nel profondo sud. Infatti, questa opera si ispira a un caso di cronaca nera degli anni ’90, quindi realmente successa. Un caso terribile.

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Andiamo ai fatti, che narrano de “I tre di West Memphis”, un trio formato da Damien Echols, Jessie Misskelley Jr. e Jason Baldwin, che nel 1994, ancora giovanissimi, furono accusati dell'omicidio di tre bambini nella cittadina di West Memphis, in Arkansas. Al termine di un processo che attirò l'attenzione dei media e che nella regione fece molto scalpore, Echols, che all'epoca dei fatti era l'unico maggiorenne, fu condannato alla pena di morte, mentre Baldwin e Misskelley Jr., aventi rispettivamente 16 e 17 anni, furono condannati entrambi all'ergastolo. Nel 2011 furono scarcerati grazie ad un escamotage della giurisprudenza americana. Fu un processo difficile, spinto e concluso più dalla sete di giustizia sommaria che la gente chiedeva che da prove inconfutabili: una clamorosa condanna del trio nonostante la mancanza di prove, impronte o DNA. Fu, insomma, una vera e propria caccia alle streghe sfogata su un gruppo che si potrebbero definire border line e la loro scarcerazione, avvenuta molti anni dopo, avvenne solo grazie a un’estesa campagna di denuncia del processo grottesco che avevano subito. Il regista dichiarò: “Ho accettato di girare questo film sebbene la sceneggiatura non fosse mia perché attratto dalla coesistenza di vari generi come il thriller, il procedurale e il documentario. È un’opera rischiosa perché non ha risoluzione, ma mi ha sedotto l’opportunità di affrontare un tema delicato come quello dell’impotenza di fronte alla prevaricazione e al puritanesimo.”

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I fattacci, quelli reali, furono davvero orribili, efferati. Alle ore 20.00 del 5 maggio 1993 John Byers, padre adottivo di Christopher Byers, denunciò ufficialmente alla polizia di West Memphis la scomparsa del figlio (anche se i genitori delle vittime stavano già cercando i ragazzi da diverse ore), di Steve Branch e di Michael Moore, tutti e tre di otto anni, visti per l'ultima volta due ore prima, all'uscita dalla scuola elementare che frequentavano, e di nuovo poi verso le sei del pomeriggio dalla madre di Michael Moore. Purtroppo, i corpi senza vita dei tre bambini vennero ritrovati il pomeriggio seguente, nel torrente di un campo denominato Robin Hood Park, nudi, legati coi lacci delle loro scarpe (ecco il Devil’s Kont, il nodo del diavolo) e selvaggiamente picchiati. Due dei tre erano morti annegati, mentre Byers recava gravi segni di accoltellamento, oltre ad avere subito una castrazione.

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L’impostazione del film di Egoyan non è però, come ci si potrebbe aspettare, basata sul punto di vista dei tre accusati, come frequentemente accade per dimostrarne l’innocenza, ma da quello di Ron Lax (Colin Firth), un investigatore privato che offre i suoi servizi alla difesa, con chiari intenti professionali al solo scopo di portare a galla la verità, senza alcun compenso, “pro bono pacis”, come si usa dire in linguaggio tecnico. Egli vede molti buchi nel caso dell'accusa, dai discutibili metodi di interrogatorio utilizzati dalla polizia locale a un legame non provato tra gli omicidi e i presunti rituali satanici condotti nella zona. È però rammaricato fino a farlo sentire frustrato dall’atteggiamento del giudice (Bruce Greenwood), che ammette nel processo non poche prove dubbie, mentre indispettisce ancora di più allorquando esclude elementi che potrebbero legittimamente sollevare ragionevoli dubbi sulla colpevolezza dei ragazzi. La madre di uno dei ragazzi assassinati, Pam Hobbs (Reese Witherspoon) cerca disperatamente giustizia per suo figlio, ma, come Lax, è perplessa e si rende conto che non tutti i pezzi del puzzle combaciano. Nel frattempo, deve sopportare un marito violento, Terry (Alessandro Nivola), che fa parte della schiera delle persone che non sembrano preoccuparsi di chi deve pagare per i delitti, purché però qualcuno venga condannato. Molti altri personaggi aleggiano in modo importante intorno alla macabra vicenda, tra cui Vicki (Mireille Enos) il cui bambino offre una testimonianza oculare traballante ai poliziotti, e un altro adolescente, Chris (Dane DeHaan), che offre sicuramente l’idea che potrebbe sapere di più sugli omicidi di quanto lasci intendere.

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Ci sono molti elementi dello schema del dramma ma soprattutto del thriller e del genere procedurale, tutti avvincenti e che fanno continuamente pendere di qui e di là i piatti della bilancia della giustizia e Atom Egoyan prova a mantenere la sua idea di cinema che misura sempre quanto possa tradirci la memoria e la facilità con cui la verità possa essere negata o sospesa, spesso costruita per convenzione sociale, filtrata e addirittura manipolata dalla narrazione da parte dei media da cui siamo assediati. Il regista fa lavorare gli attori con gli sguardi, con le espressioni dubbiose, con la violenza dell’America della provincia, avendo a disposizione un buonissimo cast.

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Basandosi su immagini di repertorio e cercando di rimanere nel suo campo prediletto, stracolmo di opere che indagano tra morbosità e mistero, egli torna ai suoi argomenti preferiti: l'innocenza violata, vite stroncate sul nascere che causano lacerazioni che non si possono ricucire. Temi suoi ricorrenti. Lo aiuta una coppia di attori di alto profilo, gli eccellenti Reese Witherspoon e Colin Firth, che bastano più che a sufficienza per nobilitare il film. Solo un appunto: come spesso succede a questo regista alla fine sembra sempre che manchi un qualcosa, un particolare che faccia fare il salto decisivo al film. È proprio una sua caratteristica. Non tutti sono David Fincher, che di un caso altrettanto macabro e misterioso (Zodiac) ne fece un piccolo capolavoro.


Riconoscimenti

Courmayeur Noir in festival 2013:

Premio del pubblico


 
 
 

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