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Diamanti (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 20 apr
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 17 lug

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Diamanti

Italia 2024 dramma 2h15’

 

Regia: Ferzan Özpetek

Sceneggiatura: Elisa Casseri, Carlotta Corradi, Ferzan Özpetek

Fotografia: Gian Filippo Corticelli

Montaggio: Pietro Morana

Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia

Scenografia: Deniz Göktürk Kobanbay

Costumi: Stefano Ciammitti

 

Luisa Ranieri: Alberta Canova

Jasmine Trinca: Gabriella Canova

Vanessa Scalera: Bianca Vega

Sara Bosi: Giuseppina

Geppi Cucciari: Fausta

Anna Ferzetti: Paolina

Aurora Giovinazzo: Beatrice

Nicole Grimaudo: Carlotta

Milena Mancini: Nicoletta

Paola Minaccioni: Nina

Elena Sofia Ricci: se stessa

Lunetta Savino: Eleonora

Carla Signoris: Alida Borghese

Kasia Smutniak: Sofia Volpi

Mara Venier: Silvana

Giselda Volodi: Franca Zinzi

Milena Vukotic: zia Olga

Stefano Accorsi: Lorenzo

Luca Barbarossa: Lucio

Vinicio Marchioni: Bruno

Valerio Morigi: Marco

Edoardo Purgatori: Ennio

Carmine Recano: Leonardo Cavani

Loredana Cannata: Rita

 

TRAMA: La vita e gli amori di un gruppo di donne che ruotano attorno all’attività sartoriale di due sorelle a Roma. La storia si muove tra il presente e gli anni ‘70.

 

VOTO 5,5


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L’arte di Özpetek si è interamente svolta e cresciuta attraverso le tante vicende di omosessuali ma sempre innervata dalla importante presenza delle donne, come componenti essenziali della vita di chiunque, nessuno escluso. Il mondo artistico del cineasta è popolato di uomini e donne sempre complici che condividono dolori antichi e piccole felicità quotidiane, abbracci, lacrime, risate. La vita, insomma. Con una costante: una tavola imbandita con quasi tutti i personaggi seduti intorno a discutere, litigare, volersi bene. A tavola, si sa, non si invecchia e ogni pasto è l’occasione giusta per parlarsi. Però è anche una caratteristica da cui il regista non riesce a staccarsi e quando questo film ha inizio viene spontaneo esclamare: ancora? La tavola e la terrazza in cui si sta apparecchiando il pranzo delle donne che domineranno la trama sembrano essere il luogo e l’ambientazione di sempre, una ripetizione che diventa il manifesto del suo cinema. È un elemento talmente conosciuto che diventa ripetitivo, a scapito anche della creatività di una nuova opera. Mi son subito chiesto: perché non riesce a svincolarsi da questo luogo mentale?



La risposta è forse nell’occasione che dà il via al film e alla trama che vuole raccontare: una riunione necessaria per aprire la spiegazione del progetto e una prima lettura del copione. Özpetek è l’unico uomo presente, tutte le altre persone sono le donne che pullulano dal primo all’ultimo momento la storia. Quella dell’universo chiamato Cinema, inizialmente fatto in fase progettuale dall’importante comparto dei costumi, in cui la costumista del cast tecnico presenta i bozzetti degli abiti di scena su cui le sarte incaricate devono lavorare. Le bravissime Fausta (Geppi Cucciari), Paolina (Anna Ferzetti), Carlotta (Nicole Grimaudo), Nicoletta (Milena Mancini), Nina (Paola Minaccioni), Eleonora (Lunetta Savino), a cui poi si aggiungeranno per vicende collaterali anche Giuseppina (Sara Bosi) e Beatrice (Aurora Giovinazzo) sono le volenterosissime sarte alle dipendenza della nota e affermata società di sartoria specializzata in abito per il teatro e per il cinema diretta dalle sorelle Alberta e Gabriella Canova (Luisa Ranieri e Jasmine Trinca). Donne ognuna con i propri problemi personali e familiari (figli in pieno hikikomori rinchiusi nella cameretta, bambini che non si sa dove parcheggiare, mariti violenti, relazioni clandestine, figlie politicamente impegnate nei moti studenteschi degli anni ‘70, e via dicendo) ma che danno l’anima per realizzare le richieste dei registi come il nervoso, premio Oscar, Lorenzo (Stefano Accorsi), il quale litiga continuamente con la altrettanto premiata Bianca Vega (Vanessa Scalera), la costumista del film ormai prossimo al primo ciak.



Un mondo agitato, frenetico, che non permette soste e che ha però una dote: quella di far mettere momentaneamente da parte i tanti problemi familiari delle sarte, la cui armonia è davvero l’unico aspetto positivo che le tiene allegre e positive, nonostante i guai che flagellano la loro vita. All’altro capo di questa cordata di grande livello artigianale c’è la coppia delle due sorelle imprenditrici, di cui Alberta si presenta costantemente severa e categorica nei suoi ordini perentori, nubile dopo una delusione parigina che l’ha resa rigida e scostante, Gabriella molto più sensibile e prossima alla crisi esistenziale per la grave perdita che l’ha colpita, a cui non basta neanche l’affetto riversatole dal marito Lucio (Luca Barbarossa). Due donne agli antipodi come carattere, esperienza di vita, comportamento, approccio verso gli altri.



La trama intreccia, dopo quell’incipit di ritrovo colloquiale e di preproduzione, da una parte la corsa affannosa per preparare in primis l’abito di una scena fondamentale del film che il regista desidera in una certa maniera mentre la Vega ha altre idee; da un’altra le vicende personali delle sarte, in principal modo i maltrattamenti casalinghi subiti da Nicoletta (che riscontra la solidarietà fattiva delle colleghe) e poi i guai finanziari di Paolina; dall’altra ancora le storie private delle due titolari che vivono momenti difficili ognuno a suo modo ma che nel finale ritroveranno l’armonia durante il mitico pranzo annuale che celebra l’anniversario della casa sartoriale. E ci risiamo, un’altra tavolata! L’intermezzo è costituito dalla acerrima rivalità tra due protagoniste della recitazione di quegli anni, due primedonne inconciliabili: l’attrice di cinema Sofia (Kasia Smutniak) e l’attrice di teatro Alida (Carla Signoris), le quali si scontrano quando le padrone di casa non riescono ad evitare di farle incrociare quando vi si recano per provare i loro abiti di scena.



Il film parte a tavola e in pratica si conclude con il pranzo luculliano in cui l’anziana del gruppo, Silvana (Mara Venier) ha preparato come suo solito un numero spropositato di lasagne al forno e parmigiane di melanzane per celebrare il buon andamento della realizzazione del film, la rappacificazione tra le due odiate nemiche attrici e il riabbraccio tra la ora rilassata Alberta e la più tranquilla Gabriella, finalmente di nuovo alleate per tenere alto il nome della sartoria fondata dalla loro madre. Uomini? Beh, a prescindere dal buon Lucio e dal regista Lorenzo su accennati, è una sfilza di esponenti del sesso maschile rappresentati o oggettivamente insopportabili come nel caso del violento Bruno (Vinicio Marchioni) o in maniera farsesca con la sfilata di giovanotti muscolosi che fanno alzare il tasso ormonale delle donne intente a cucire. E qui si riaffaccia il lato debole del regista, non evitando di mettere in mostra quel tipo di maschio che diventa il desiderio degli omosessuali. C’era proprio bisogno di mettere in evidenza le caratteristiche del machismo che attira le tendenze sessuali dei gay? Assieme ai pettegolezzi, alle battute a doppio senso e alle richieste di canto e ballo che le donne rivolgono a questi ragazzi vistosi, pare di assistere ad una puntata della famigerata e volgare trasmissione “Uomini e donne”. Una caduta di stile che rende ancor più mediocre il film di Ferzan Özpetek, che già soffre di suo di fiato corto. Inoltre, in questo mondo al femminile del regista, fatta solo qualche eccezione, gli uomini appaiono tutti esigenti e cattivi, se non proprio violenti, e poi torvi e silenziosi come il mancato uomo di Alberta: una gran brutta selezione per esaltare la donna come figura. Meschina, infine, la trovata di far sedere l’una accanto all’altra nella tavolata finale le due attrici acerrime rivali, come se nulla sia successo nel frattempo.



Gli omaggi al grande cinema di una volta e ai nomi eccellenti di quei tempi sono tanti, a cominciare dalle prove di costume con il sottofondo del valzer de Il Gattopardo di Visconti, fino ai nomi di alcuni personaggi che non possono non ricordare le dive che non abbiamo mai dimenticato: Bianca Vega è forse la Canonero? Alida è forse la Valli? Sofia è per caso la Loren? E le Canova potrebbero essere ispirate alle mitiche sorelle Fendi che nel tempo hanno lavorato per Luchino Visconti, Federico Fellini, Martin Scorsese e Wes Anderson? Alternando il tono da commedia a quello drammatico – sempre nel campo della mediocrità – il film passa da una scena all’altra come se queste provengano da film diversi, non tanto per il genere, quanto per il climax differente, il tono, la recitazione, mentre le musiche, quando prendono il sopravvento e il volume aumenta, sembrano provenire da qualche telenovela di Rete4. Insopportabile. Il vero finale è ancora un omaggio alle grandi donne del cinema italiano chiamate Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti “sperando di poter un giorno lavorare insieme”, evidenziando che forse sono le tre attrici con cui il regista avrebbe desiderato lavorare di più. La visione termina con una bella inquadratura di Elena Sofia Ricci (che non ha potuto prendere parte al film nel film per motivi personali) che dice: “Me lo hai insegnato tu, no? che conta solo ciò che resta dentro di noi. Il cuore mescola continuamente quello che è successo con quello che abbiamo solo immaginato, i vivi con i morti, il visibile con l’invisibile, l’amore con il dolore. Quello che siamo va oltre la memoria e la vita. È ciò che rimane, quando tutto il resto sparisce. Questa è l’eternità. Questo è il cinema.” Pare la conclusione della carriera di un regista.



Un po’ Almodovar (da cui prende spesso il rosso), un po’ Todd Haynes (da cui trae il senso del mélo), entrambi figli di Douglas Sirk, questo è il tipico cinema di Ferzan Özpetek che non ho mai amato, via italico-turca di qualità media, a mio parere troppo incensato dal pubblico oltre i legittimi meriti. Che poi sia io a sbagliare è evidente, dato che questo film è stato campione d’incasso e il più visto dagli spettatori italiani nella stagione.



Film corale? Fin troppo. Geppi Cucciari doveva fare per forza la spiritosa, le altre ripetono se stesse come già viste altre volte, Luisa Ranieri è per me fuori ruolo, troppo rigida anche nella recitazione con il musetto appuntito che ne accentua la durezza e le rovina le rotondità mediterranee del bel viso, Jasmine Trinca ripete troppe volte il dondolio della testa per esprimere il suo continuo disagio intimo. In risalto positivo noto Nicole Grimaudo e Milena Mancini. Ma su tutte un’ottima e sorprendente Mara Venier. Se alcune non vanno al massimo è sempre colpa del manico, quindi della regia, che non sfrutta per bene i diamanti (come le definisce lui stesso) a disposizione.



Riconoscimenti

David di Donatello 2025

David dello spettatore

Candidatura alla migliore attrice non protagonista a Geppi Cucciari

Candidatura alla migliore canzone originale

Ciak d’oro 2024

Migliore regista

Migliore attrice protagonista a Luisa Ranieri

Candidatura migliore film commedia



 
 
 

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