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Dio è donna e si chiama Petrunya (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 24 ott 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

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Dio è donna e si chiama Petrunya

(Gospod postoi, imeto i' e Petrunija) MacedoniaDelNord/Belgio/Francia/Croazia/Slovenia 2019 dramma 1h40’

Regia: Teona Strugar Mitevska

Sceneggiatura: Teona Strugar Mitevska, Elma Tataragic

Fotografia: Virginie Saint-Martin

Montaggio: Marie-Hélène Dozo

Musiche: Olivier Samouillan

Scenografia: Vuk Mitevski, Zeljka Buric

Costumi: Monika Lorber

Zorica Nusheva: Petrunya

Labina Mitevska: giornalista

Stefan Vujisic: poliziotto Darko

Suad Begovski: il prete

Simeon Moni Damevski: ispettore Milan

Violeta Sapkovska: Vaska

Petar Mircevski: Stoyan

Andrijana Kolevska: Blagica

TRAMA: Ogni 19 gennaio, durante l'Epifania in Macedonia, ha luogo una cerimonia unica nel suo genere: un sommo sacerdote lancia una croce di legno nelle acque locali e decine di uomini si tuffano per cercarla. Chi la trova è benedetto per tutto l'anno e diviene una specie di eroe. Petrunya è una donna single ultratrentenne disoccupata laureata in Storia, che vive ancora con i genitori. Tornando a casa da un colloquio fallito, assiste alla cerimonia e vi prende parte, trovando la croce. In breve, la sua esperienza diviene virale su internet ma segna anche l'inizio del suo personalissimo calvario di 24 ore contro gli uomini, il mondo e il sistema in genere.

Voto 7


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Oltre giustamente ad essere un film femminista (ma quando finirà il tempo di usare questo termine, che ogni volta indica la disparità esistente?), è una forte satira e un’opera volutamente grottesca per accentuare il sessismo e il disequilibrio di genere che si avverte ancora in alcune parte del mondo. Ci pensa una regista, Teona Strugar Mitevska, che la possiede la forza dirompente per dissacrare una tradizione polare religiosa molto sentita e diffusa nella sua terra, esattamente a Stip, in Macedonia. Lei, nata proprio nella capitale Skopje, ci narra una curiosa vicenda realmente accaduta: il 19 gennaio, giorno per la Chiesa orientale della festa dell'Epifania, in tutto il mondo ortodosso dell'Europa dell'Est si svolge il tradizionale lancio della croce. Nel 2014, in quella cittadina macedone, una donna è riuscita, sfidando la concorrenza maschile, a impossessarsi della croce, ma il suo atto è stato considerato un oltraggio dai concittadini (ovviamente maschi) che si son sentiti defraudati del simbolo a cui tenevano tanto, ma soprattutto perché hanno ritenuto un sacrilegio (!) il grave gesto ribelle da parte di una donna. Questo perché nessuno (udite, udite!) del sesso femminile è autorizzato a partecipare all'evento, sempre rimasto a cavallo tra il sacro e il profano, tra il rito religioso e quello tradizionale, che si protrae dai tempi antichi.


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La storia del film che ci narra la regista parte appena dopo quel reale evento, facendoci seguire da vicino le tribolazioni vissute dalla protagonista Petrunya, alla quale, appena dopo il “fattaccio”, cercano di portarle via la croce con la forza, ingiuriandola, inseguendola, ma lei non si arrende. Lei è giunta per caso sul luogo: arriva dall’ennesimo rifiuto di un colloquio di lavoro, dove era stata anche insultata sessualmente dal potenziale datore di lavoro (Non sai cucire, non hai passato neanche un giorno in un ufficio. Hai un brutto aspetto. Neanche ti scoperei.) e arrabbiata com’è inizia la sua protesta contro il mondo che la circonda in quella maniera clamorosa. È chiaramente il momento giusto per sfogare la forte irritazione che cova dentro, niente la fermerebbe. La singolare vicenda stimola persino l’interesse di una giornalista inviata sul posto da una TV locale con un operatore e questa, annusando finalmente l’occasione della vita per salire alla ribalta della cronaca assieme alla donna ribelle, sfrutta il momento favorevole e intervista i genitori, cercando di colpire l’opinione pubblica, come una delle tante nostre (ahimè) trasmissioni televisive che il pomeriggio puntano sull’audience popolare con gossip e fatti clamorosi. Il particolare curioso è che questa inviata si schiererà totalmente dalla parte delle donne in genere e di Petrunya in particolare, vedendola come una eroina femminista, simbolo della riscossa della parità dei generi e ancor di più per combattere l’arretratezza delle persone ancora legate a riti che lei definisce medievali. Il clamoroso fatto intanto ha fatto reagire la polizia che è dovuta intervenire per le intemperanze dei giovanotti del paese, arrabbiati e scatenati, che vogliono acciuffare la ragazza e strapparle dalle mani il crocifisso. Se non proprio linciarla.


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L’arresto momentaneo e abusivo da parte della polizia locale diventa però anche un rifugio per Petrunya, essendo almeno per il momento in un luogo che la salva e la protegge. Stranamente, il pope che aveva celebrato il rito sul ponte del fiume non se la sente di condannare la ragazza e anzi ritiene (stranamente e inaspettatamente) che anche lei faccia parte dei fedeli della sua comunità, come tutti gli altri. Seguendo lo schema classico, il prete però, sotto la pressione psicologica e perché no delle minacce dell’ispettore, comincia a cambiare idea e spinge la ribelle a liberarsi del sacro fardello e mettere fine alla scomoda situazione, nel frattempo che fuori dalla stazione di polizia i giovinastri sono in piena rivolta violenta.


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Se la parte iniziale serve alla regista per mostrare il pessimo habitat in cui Petrunya sta vivendo la sua vita sacrificata – una mamma che la trascura e la rimprovera, un padre che fortunatamente le vuol bene e le perdona tutto, l’ambiente che la maltratta per la sua scarsa avvenenza (grassa e non bella, per fortuna è colta e intelligente), il lavoro che non si trova, neanche per lei istruita e con una importante laurea -, la parte centrale si rivela la più ingegnosa e divertente, perché la costrizione di una giornata intera negli uffici di polizia la mette a confronto con agenti e ufficiali arroganti, maschilisti e ignoranti, terreno troppo facile per il suo intelletto per avere la meglio nei battibecchi, più che interrogatori, in cui riesce a sostenere con convinzione i suoi diritti mettendo in chiara difficoltà i suoi interlocutori: risposte pronte, sarcastiche, con una disinvoltura esplosiva e una smorfia sul viso che non lascia scampo. Per tutti, era pazza o disturbata mentalmente, ma lo sanno bene nella centrale che lei è invece sana e cosciente di ciò che fa e dice.


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L’epilogo punta ad un finale accomodante ma non per questo accondiscendente o di resa. Petrunya ne esce vincitrice su tutti i piani: morali, sociali, femministi, umani e anche personali. Persino con uno spiraglio amoroso con un poliziotto, colmo dei colmi. Una battaglia vinta, almeno per il momento, anche se gli altri non lo ammetteranno mai. Perfino la giornalista, testarda quasi come la protagonista, si prende le sue rivincite. Due donne toste e caparbie, intuitive, intelligenti e combattive. Un film quindi che esalta la “prodezza” della protagonista in cui si può godere dello spirito di ribellione non solo del personaggio ma anche della regista Teona Strugar Mitevska, che lo strumentalizza per una giusta battaglia di genere già con un titolo più che provocatorio. Dice: “Tutte le società patriarcali si fondano sulla dominazione maschile. Lo status sociale delle donne e la posizione che occupano sono decisi dall'uomo. Ecco perché ogni volta che si racconta una storia incentrata sul cosiddetto sesso debole inevitabilmente si parla di film femminista. Ogni film con una donna protagonista o no che tratta di un argomento non conforme alla tradizionale suddivisione dei ruoli è un film femminista. Per me, è difficile pensare di essere donna e di non essere femminista. Il femminismo non è una malattia o qualcosa di cui aver paura. Uguaglianza, giustizia ed equità sono alla base della sua ideologia e non sono solo riservate alle donne.


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Una menzione doverosa alla bravissima Zorica Nusheva, capace di esprimersi anche con un solo movimento del viso, con lo spostamento del sopracciglio, con una smorfia delle labbra, in quel faccione morbido come una gomma adattabile a seconda delle circostanze. Un’attrice esordiente al cinema (dopo esperienze teatrali) che sorprende tantissimo per la sua adattabilità al ruolo, ma capace, ci scommetto, di essere all’altezza di altri ruoli impegnativi. Troppo brava per rimanere inutilizzata.



 
 
 

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