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Dirty, Difficult, Dangerous (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 2 set 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

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Dirty, Difficult, Dangerous

Francia/Italia/Libano 2022 dramma 1h23’


Regia: Wissam Charaf

Sceneggiatura: Wissam Charaf, Hala Dabaji, Mariette Désert

Fotografia: Martin Rit

Montaggio: Clémence Diard

Scenografia: Terry Chalouhi

Costumi: Thomas Marini


Clara Couturet: Mehdia

Ziad Jallad: Ahmed

Rifaat Tarabay: Ibrahim

Darina Al Joundi: Leila


TRAMA: Ahmed è un rifugiato siriano che spera di aver trovato l'amore della sua vita in Mehdia, ragazza etiope che fa le pulizie. La situazione a Beirut però è difficile e alla relazione tra i due ragazzi si oppongono numerosi ostacoli.


Voto 6,5

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Giornate degli Autori, Venezia 2022.


Storia d’amore contrastato nella Beirut di oggi tra Ahmed, un rifugiato siriano, e Mehdia, una badante immigrata etiope. Mentre Mehdia cerca di affrancarsi dall’agenzia d’impiego che la tiene sotto ricatto, Ahmed cerca di sopravvivere commerciando in componenti metalliche di seconda mano ed è affetto da una malattia misteriosa. I due amanti sembrano non aver futuro, ma non hanno neanche niente da perdere e così un giorno decidono di tentare la sorte e di lasciare insieme Beirut.


Siamo nella capitale del Libano, finalmente in pace, nella casa di un colonnello in pensione, molto avanti negli anni e alquanto malandato, soprattutto dal punto di vista mentale, accudito da una badante etiope, Mehdia, che lui chiama Didi. La moglie è spesso fuori e quando rientra controlla che tutto vada per il meglio, fidandosi ciecamente della ragazza, che è molto affezionata ma spesso si distrae per amore. Infatti, quando sente per strada il grido di un uomo a bordo di un camioncino che urla “Ferro! Rame! Batterie!” sa che si tratta di Ahmed, il suo ragazzo, un clandestino siriano fuggito dalle macerie della sua terra. Sono tanto innamorati che appena possono si ritrovano su un giaciglio in chissà quale boschetto. Lei è una bellissima ragazza, dai fini lineamenti, che nonostante la decente paga mensile che le dà la signora, sogna di fare finalmente una visita alla sua famiglia di origine che non vede da tempo. Anche lui ha la mamma lontana, migrata anch’essa non lontano da dove viveva con il marito, che, scappato per la guerra, un giorno fu prelevato e da allora mancano notizie.

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Sono due anime perdute in terra straniera, in un Libano che riesce, nonostante tutto, ad essere poco amichevole verso gli stranieri: dal tramonto all’alba per i siriani esiste il coprifuoco, ragione per cui Ahmed corre la sera in un rifugio di campagna dove per qualche banconota può dormire quattro ore. Lei, invece, ha una comoda cameretta dove riposa dopo una giornata trascorsa a cucinare, ad accompagnare il vecchio, a badare affinché non combini guai, spesso lasciandolo davanti alla TV dove passa ore incantato dalle trasmissioni. Persino dalla visione del Nosferatu di Friedrich W. Murnau, di cui resta così impressionato che non di rado si alza la notte per imitare la nera e tenebrosa figura e introdursi nella cameretta della ragazza cercando di addentarla. Se la storia di quel film muto parte da un’agenzia immobiliare, questo ha attinenza all’agenzia, dato che la giovane etiope è stata assunta dalla famiglia del colonnello tramite un brusco intermediario che fa arrivare da varie nazioni africani e mediorientali donne che facciano da cameriere o badanti nelle case della città. Severo, tanto da avere nel suo ufficio una camera quasi di detenzione, in cui rinchiude le ragazze ribelli che non sottostanno al regime imposto o che scontentano le famiglie a cui sono state affidate per lavorare.

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Problema che capita anche a Mehdia, che, sorpresa per una sua assenza ingiustificata, a causa dall’amore per il suo Ahmed, è sul punto di essere licenziata, ma dopo essere stata reintegrata scopre che in casa della signora è tornato il figlio con una cameriera cingalese. Scossa dalla novità e dalla paura di perdere il lavoro, decide di scappare e cercare, con l’aiuto dei suoi risparmi, un futuro migliore con il suo ragazzo, il quale non ricava granché dal suo lavoro nel raccattare metalli di vario tipo. Si può, è legittimo che abbiano aspirazioni migliori, ma il mondo non è sempre ospitale per lo straniero, verso chi viene visto come “diverso” solo perché è di un’altra etnia. A Beirut, in buona sostanza, esiste una forma di razzismo latente che affiora alle prime difficoltà di guerra di sopravvivenza tra poveri. Può sembrare assurdo, ma quante volte scoppia la diffidenza tra persone di nazionalità diversa! Specialmente quando le necessità aumentano tra la povera gente. La vita dei due innamorati, una etiope e un siriano, entrambi lontani dalla loro terra, ha un senso in quanto si sostengono e si amano sinceramente, sono un conforto l’uno per l’altra: nulla di eccessivamente romantico, ma non immaginano di vivere separati o lontani. È per questo che decidono che forse la loro felicità è altrove, è lontana dalla città libanese, dove avevano cercato rifugio, uno stipendio, un lavoro per sopravvivere e creare una famiglia in una casa con il minimo di decenza. Ma questo si rivela difficoltoso e quindi necessita cercare una via d’uscita, che dia come minimo la possibilità di vivere assieme: la moglie del colonnello aveva persino cambiato la serratura per non permettere alla ragazza di uscire per non far restare solo e incustodito il marito, ma ciò voleva dire per Mehdia prigionia e addio al caro giovane che la aspettava. Intanto, il braccio di Ahmed, colpito dalle bombe tempo prima e contenente ancora il metallo delle schegge, peggiora: gli hanno detto che pian piano l’organismo espellerà quel materiale e lui ci conta. Ma invece tutto il braccio destro sta diventando misteriosamente sempre più nero e metallico.

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Il film del franco-libanese Wissam Charaf (tra l’altro, proprio di Beirut) era iniziato come un dramma avventuroso e sentimentale, scurito dalle tematiche razziali del luogo, ma dopo le vicende di non facile soluzione e gente che vuole approfittare dei loro bisogni, assume lentamente le vesti di una storia di forza umana e disarmata, di due giovani persi tra le terre martoriate dalla guerra e che nella bella scena finale vira verso quella della fiaba. Il braccio, divenuto tutto nero ma forte come i muscoli di Ercole, è ormai un arto inanimato e inutile. È sufficiente metterselo sulla spalla come un bagaglio e magari è un buon metallo da cui ricavare una bella somma per riiniziare una vita diversa, lontana da chi non permette loro la felicità. Sottobraccio, si sorreggono e si allontanano all’orizzonte, come un poetico Charlot che si avvia verso il tramonto con la sua bella. Perché la vita, per i più sfortunati, è sporca, difficile, pericolosa.

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La regia è appassionata, è lucida, è vicina a due begli attori sinceri ed espressivi: Clara Couturet è una ragazza di origini etiopi adottata in Francia sin da bambina, attraente come una fotomodella dai lineamenti dolci, Ziad Jallad è un affascinante ragazzone egiziano alto e magro ed insieme formano una ottima coppia sullo schermo per un bel film che certo è di nicchia e non avrà molta distribuzione. Peccato. Della sua opera il regista rivela: “Ho voluto raccontare l’incontro di due angeli caduti, Ahmed e Mehdia, due emarginati costretti ad affrontare quotidianamente pericoli e discriminazioni razziali. Un melodramma in cui crudeltà, commedia e tenerezza si intrecciano, offrendo una visione intima della società libanese odierna, descrivendo la tragedia di tre popolazioni attraverso un solo paese: il razzismo verso i lavoratori domestici, la miseria dei rifugiati siriani e la decadenza morale dei cittadini libanesi che li sfruttano. Anche se ispirato a una realtà crudele, ho preferito che il mio film proponesse una realtà rivisitata e un punto di vista differente su miseria e pathos.


 
 
 

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