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Don't Say a Word (2001)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 dic 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 13 ott

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Don't Say a Word

USA, Australia, Svizzera, Canada 2001 thriller 1h53'


Regia: Gary Fleder

Soggetto: Andrew Klavan (romanzo)

Sceneggiatura: Anthony Peckham, Patrick Smith Kelly

Fotografia: Amir Mokri

Montaggio: Armen Minasian, William Steinkamp

Musiche: Mark Isham

Scenografia: Nelson Coates

Costumi: Ellen Mirojnick


Michael Douglas: dr. Nathan R. Conrad

Brittany Murphy: Elisabeth Burrows

Sean Bean: Patrick Koster

Skye McCole Bartusiak: Jessie Conrad

Jennifer Esposito: det. Sandra Cassidy

Famke Janssen: Aggie Conrad

Oliver Platt: dr. Louis Sachs


TRAMA: Quando la figlia di uno psichiatra viene rapita, questi è sbalordito nello scoprire che la richiesta dei rapitori è quella di ottenere da una sua giovane paziente, affetta da un disturbo post traumatico, un segreto che custodisce.


Voto 6,5


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Regola numero uno: non sei tu che fai le richieste, tu ascolti quello che dico io. Regola numero due: non provare a chiamare o a mandare segnali a nessuno, se lo fai uccido tua figlia. Regola numero tre: hai tempo fino alle diciassette. Siamo nel classico caso della richiesta di un riscatto, però molto particolare e diverso dai soliti e il criminale che parla e pone le condizioni ricorda vagamente la telefonata iniziale il Dalton Russell di Inside Man di Spike Lee: categorico, inflessibile, cattivo e determinato. Per giunta senza margini di trattativa.


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Nathan Conrad (Michael Douglas) è uno psichiatra di successo con uno studio nell'Upper West Side di New York con una moglie attraente e una piccola figlia adorabile. La sua vita ha una drammatica svolta quando un gruppo di malviventi gli rapisce proprio la bambina. I banditi non pretendono il rituale riscatto di una somma notevole di danaro, bensì vogliono invece che lui, in qualità proprio della sua professione, riesca a penetrare nella mente di Elisabeth (Brittany Murphy), che è una delle sue pazienti, e che porti alla luce un numero di sei cifre. Quel numero rappresenta la combinazione che consentirà ai sequestratori di entrare in possesso di un gioiello, frutto di una rapina messa a segno dieci anni prima. Conrad è un uomo tranquillo che non si è mai trovato in questo tipo di situazione ed ora viene scaraventato in un mondo che non conosce e ciò richiede una trasformazione del suo normale comportamento, perché o accetta supinamente o deve imparare a reagire.


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Le difficoltà serissime sono dovute al fatto che prima di tutto non è semplice ricavare l’informazione che gli chiedono e poi perché il tempo a disposizione è solo di poche ore, ma soprattutto perché i criminali hanno in mano la sua adorata figlia, che è sicuramente in pericolo di vita. La situazione richiede la trasformazione di uomo da pacifico e professionale a persona di azione come si è visto in altre occasioni alla pari del dottor Richard Walker di Frantic. Subire (e non è facile per i motivi esposti) o cercare una via d’uscita.


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Ancora un film quindi sul tempo e il ri(s)catto, con una notevole tensione che sale e scende a seconda delle vicende alterne, ma sarà durissima e sarà una lotta contro il tempo. Gary Fleder ingarbuglia la storia. per far alzare l’attenzione e la tensione. con trame parallele che coinvolgono non solo il protagonista che lavora sulla paziente, ma anche sua moglie che lotta per difendersi con una gamba ingessata, mentre sua figlia cerca, nonostante la giovanissima età, di superare in astuzia i rapitori e una detective che incappa nel crimine durante un'indagine correlata.


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L’opera di Gary Fleder, specializzato in thriller, non è nulla di speciale ma sicuramente sufficiente e riesce nell’intento di realizzare un buon soggetto ansiogeno e movimentato, affidandosi anche alle doti idonee di Michael Douglas che sembra ritagliato per un ruolo di questo tipo – nonostante qualche momento di overacting - e alla prova molto credibile di un’attrice che purtroppo non ha potuto realizzarsi del tutto nella vita, la povera Brittany Murphy, deceduta otto anni dopo a causa di una vita troppo disordinata.



 
 
 

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