Eden (2024)
- michemar 
- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 6 min

Eden
USA 2024 avventura/storico/thriller 2h9’
Regia: Ron Howard
Sceneggiatura: Noah Pink
Fotografia: Mathias Herndl
Montaggio: Matt Villa
Musiche: Hans Zimmer
Scenografia: Michelle McGahey
Costumi: Kerry Thompson
Jude Law: dott. Friedrich Ritter
Vanessa Kirby: Dora Strauch Ritter
Ana de Armas: baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn
Daniel Brühl: Heinz Wittmer
Sydney Sweeney: Margret Wittmer
Jonathan Tittel: Harry Wittmer
Richard Roxburgh: G. Allan Hancock
Toby Wallace: Robert Phillipson
Felix Kammerer: Rundolph Lorenz
Ignacio Gasparini: Manuel Borja
Nicholas Denton: Ray Elliott
TRAMA: Un gruppo di persone alimentate da un profondo desiderio di cambiamento lasciano alle spalle la società per un futuro nell’aspro paesaggio delle Galapagos.
VOTO 5,5

Ho l’impressione che lentamente Ron Howard - a furia di firmare opere popolari e di facile fruizione, gradite più che altro dalla fetta di pubblico meno esigente che si entusiasma per le sue storie avventurose - si sia innamorato di se stesso e sia rimasto nella comfort zone della sicurezza del risultato, finendo, come in questo caso, in una mediocrità che gli fa solo male. Anche stavolta (come in Tredici vite, Elegia americana e tanti altri negli anni precedenti, in primis Apollo 13) prende il soggetto da una storia vera, la romanza, la esagera e la presenta come epica. Ma se esagera, come in questo caso, esalterà i suoi sostenitori più accaniti ma può deludere tutti gli altri. La vera storia del caso è quella iniziata nel 1929 quando l’economia mondiale era crollata in seguito alla Prima Guerra Mondiale. Il fascismo si stava diffondendo e la gente, spaventata, cercava disperatamente una via di fuga. In quel frangente, alcuni soggetti, per le più disparate motivazioni, partivano per abbandonare il decadente Occidente (figuriamoci, allora! chissà che farebbero oggi!) e si dirigevano con un viaggio lungo e pericoloso verso l’isola Floreana nelle Galapagos, dove la vita era durissima ma lontana dalla ipocrisia culturale, la bestialità della guerra e dalle truffe di vario genere commesse e quindi per scappare e ripartire da zero.


Una storia vera, quindi, basata sulle memorie dell’unica sopravvissuta, fino all’età di 96 anni, Margret Wittmer, in un libro autobiografico in cui narra le strane e rocambolesche vicende accadute a lei, al marito e ai due figli con cui aveva vissuto parecchi decenni nella sperduta isola del Pacifico ad un migliaio di chilometri dall’Ecuador. Le iniziali sequenze del film riguardano la prima coppia che arriva sull’isola, dopo aver abbandonato la Germania e viaggiato intorno al mondo fino a quella terra. Come spiega la didascalia nei titoli di testa, il mondo viene a conoscenza dell’esistenza isolata dei due grazie alle lettere che scrive l’uomo, raccolte dalle rare navi di passaggio.


La donna (interpretata da Sydney Sweeney), seppur molto giovane rispetto al marito Heinz Wittmer (Daniel Brühl), arriva a Floreana con il di lui figlio Harry per scappare da un’Europa invasata dalla guerra sapendo che in quella terra poco ospitale ci vive già, appunto, il dottor Friedrich Ritter (Jude Law) e la compagna Dora Strauch (Vanessa Kirby), emigrati per rifuggire la falsità dei personaggi più noti della cultura europea e per scrivere (è la fissazione dell’uomo) un saggio che lui definisce definitivo sulla filosofia radicale e umanistica, almeno per cancellare e distruggere le sciocchezze fino ad allora affermate dagli altri. In buona sostanza, si tratta, questi ultimi, di due europei idealisti che fuggono dalla Germania, rinnegando i valori borghesi, convinti che proprio quelli stiano distruggendo la vera natura dell’umanità, e dunque avevano deciso di trasferirsi sull’isola disabitata. Soli, nutrendosi con la dieta vegetariana e coltivando lo stretto necessario. Ma quella solitudine che cercavano durerà poco. Perché, incredibilmente, si vedono raggiungere prima dalla coppia dei coloni connazionali e poi da un personaggio tanto eccentrico quanto falso e pericoloso: la baronessa Eloise (Ana de Armas), servita e sessualmente amata da due compagni d’avventura, Robert (Toby Wallace) e Rudolph (Felix Kammerer), che paiono più che altro sbandati in fuga dalla giustizia europea, e da Manuel (Ignacio Gasparini), un servitore ecuadoriano.


Se la famiglia Wittmer ha serie intenzioni e buona volontà di stabilire una piccola colonia monofamiliare e vivere in santa pace, la baronessa ha tutt’altre idee: costruire (?) un albergo che vuol chiamare Hacienda Paradiso che possa attirare turisti danarosi e guadagnare con profitto. Entrambi gli arrivi fanno innervosire l’irrequieto Friedrich e la compagna Dora, i quali accettano a malapena solo i contatti con i primi, con cui si può ragionare e convivere alla giusta distanza, senza disturbarsi. Ma con quella donna rumorosa, chiassosa e soprattutto invadente, oltre che vanitosamente inutile e spudoratamente sensuale e provocatrice, è impossibile parlare e coesistere, per cui il dottore mostra subito la sua insofferenza più totale.


Se il maltempo, la fauna locale (il pericolo dei cani selvatici aggressivi e affamati è costante) e la totale mancanza di comfort e civilizzazione (anche l’acqua è un bene preziosissimo nelle stagioni meno piovose) sono solo alcuni dei cattivi elementi naturali dell’isola, la sfida più grande sarà perciò quella di convivere con questa umanità sopraggiunta, di cui (il riferimento alla signora appena sbarcata è evidente) alcuni sono disperati e, soprattutto, pronti a tutto pur di affermare la prepotenza violenta che li caratterizza. Ciò che succede è prevedibile, eppure se ne resta sconcertati, specialmente a causa, inutile affermarlo, per le pretese e le invadenze di Eloise e soci, fino a rendere la vita non facile, anche a causa dei furti che questi fanno alle importanti ed essenziali scorte che i Wittmer si erano portati dietro, famiglia che nel frattempo ha avuto la forza e la resilienza adatte a costruirsi una casa, un piccolo orto, e a inventarsi un minimo di allevamento di animali. Insomma, lo stretto necessario e indispensabile per creare le condizioni essenziali della vita coloniale in un paesaggio tanto bello quanto aspro e solitario.


Giorno dopo giorno, passo dopo passo, non nasce una piccola comunità in grado di sopravvivere, bensì nascono le condizioni di guerra (anche lì!) tra i due fronti: da un lato i Ritter e i Wittmer, dall’altro, e isolato, il gruppo della ciarlatana Eloise ormai spazientita dalla impossibilità di realizzare il sogno dell’hotel. Nel frattempo, la situazione muta: Margret si scopre incinta e partorisce un bambino proprio mentre i due scagnozzi della baronessa le rubano le riserve di cibo, poi un militare di passaggio rivela che la donna sbruffona aveva fatto carriera nell’alta società solo grazie alle sue doti fisiche e poco morali, ed infine i dissidi sempre covati sotto la cenere tra Friedrich e Dora esplodono in una conflittualità deleteria, fino al tragico epilogo. Solo i più seri della comitiva, cioè i Wittmer, avranno ragione del tempo e della stabilità stanziale meglio organizzata e dai migliori principi morali.


C’è solo una morale che scaturisce da questa fiaba d’avventura che è vera storia: i mali della società si manifestano anche nei piccoli nuclei di agglomerati di persone, anche nei luoghi più disparati e selvaggi del mondo. È forse l’uomo che rovina tutto, è la bramosia dell’avere che manda tutto in malora e spesso sono i più ingenui e i più genuini che devono avere la forza di resistere e vincere la difficile battaglia. E sopravvivere. A supporto della tesi può servire anche un survival thriller come questo, ma il lato negativo del film è però dovuto agli eccessi di cui si è servito Ron Howard per raccontare la storia e dimostrare la tesi stessa. Molte delle sequenze paiono esagerate, troppo romanzate per essere veritiere, con personaggi troppo esaltati e troppo coloriti per essere credibili, a meno che non si pensi che più si sparge fantasia più può risultare vero. Poi citazioni di Nietzsche a pioggia come coriandoli, aforismi sparati nel mezzo dei litigi, una spruzzatina di eros (oh, ma è Howard, proprio lui?) ed in mezzo anche la di guerra dei sessi. Quindi, tra il selvaggio mondo lontano alla Herzog e un tantino di darwinismo che fa tanto nature, viene prodotto questo film che sa di ammucchiata di idee, troppo romanzato per essere plausibile. La storia realmente accaduta è eccezionale, è vero, ma se fosse stata raccontata in maniera più classica - che poi sarebbe la cifra del regista - sarebbe risultata migliore. Perché il materiale di base non manca.


E meno male che il cast è di ottimo livello, data la presenza dello sdentato e istrionico Jude Law, accompagnato dallo stile di grande attrice, qui meno sfruttata, di Vanessa Kirby; Daniel Brühl rende al meglio la sua predisposizione a film adatti a lui; scontato che Ana de Armas si assuma il ruolo di donna procace, eccentrica e spumeggiante; la sorpresa la scopriamo in Sydney Sweeney e non perché interpreti un ruolo particolare e nuovo per lei, ma per il banale motivo che il regista la seppellisce sotto la maschera di donna non appariscente e senza trucco, coperta come una suora e abbruttita dalla vita selvaggia, nascondendo, incredibilmente, le sue doti fisiche che invece tutti i direttori di scena cercano per esaltare i propri film.


Il buonissimo cast per un film mediocre è uno spreco, ma gli infortuni capitano a quasi tutti i migliori. L’unico merito di Howard è quello di aver voluto esplorare i territori più oscuri e meno convenzionali che muovono l’uomo, il peggior animale della Terra, mettendo a nudo i suoi peggiori difetti quando è in affanno e deve sopravvivere.
Un film imperfetto per una storia incredibile.






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