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Elegia americana (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 28 gen 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 24 giu

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Elegia americana

(Hillbilly Elegy) USA 2020 dramma 1h56’


Regia: Ron Howard

Soggetto: J.D. Vance (autobiografia)

Sceneggiatura: Vanessa Taylor

Fotografia: Maryse Alberti

Montaggio: James Wilcox

Musiche: Hans Zimmer, David Fleming

Scenografia: Molly Hughes

Costumi: Virginia Johnson


Amy Adams: Bev Vance

Glenn Close: Mamaw Vance

Gabriel Basso: J.D. Vance

Haley Bennett: Lindsay Vance

Freida Pinto: Usha

Bo Hopkins: Papaw Vance

Owen Asztalos: J.D. Vance bambino


TRAMA: J.D. Vance, un ex marine del sud dell'Ohio e ora studente di giurisprudenza di Yale, è sul punto di ottenere il lavoro dei suoi sogni quando una crisi familiare lo costringe a tornare nella casa che ha cercato di dimenticare. J.D. deve affrontare le complesse dinamiche della sua famiglia natale negli Appalachi, incluso il suo instabile rapporto con la madre Bev, che sta lottando con la dipendenza. Alimentato dai ricordi di sua nonna Mamaw, la donna forte e intelligente che lo ha cresciuto, J.D. arriva ad abbracciare l'impronta indelebile della sua famiglia nel suo viaggio personale.


Voto 6 -


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Capita molto spesso che seguendo un film con una trama appassionante e realistica viene spontaneo pensare che potrebbe essere anche successo per davvero, realmente accaduta. Guardando questo film, senza essermi informato precedentemente, ho avuto l’impressione che fosse basato su una trama fin troppo fantasiosa e piena di vicende e vicissitudini degne di un romanzo di fantasia. Scoprendo al termine, lungo i titoli di coda, che invece è tratta da un libro autobiografico scritto dal protagonista stesso ho stentato a crederci. Incredibile! Tutto ciò che ho visto è veramente accaduto a J.D. Vance? Il libro di memorie dell’uomo (che sullo schermo lo seguiamo prima adolescente e poi giovane studente di legge) che ha dato origine al film è stato un best seller negli USA ed ha il titolo omonimo, Hillbilly Elegy, in cui il primo termine, poco traducibile nella nostra lingua, corrisponde più o meno a qualcosa che riguarda una cultura o un tipo umano, cosa che si intuisce meglio leggendo il libro o guardando con attenzione il film. È una lunga storia di una famiglia, o meglio di tre generazioni di un gruppo familiare che vive nella comunità rurale dell’Ohio in cui il protagonista è nato e cresciuto. Le ragioni del grande interesse intorno al libro sono state fondamentalmente due: il racconto di un mondo ignoto anche a tanti americani, che è diventato molto attuale in quanto grosso bacino del successo elettorale di Donald Trump, e la severità dell’autore nei confronti dell’arrendevolezza e del vittimismo dei suoi simili hillbillies. Il senso del libro lo anticipa lo stesso Vance all’inizio, allorquando scrive: “Mi chiamo J.D. Vance, e penso che dovrei iniziare con una confessione: trovo l’esistenza del libro che avete in mano piuttosto assurda. Ho trentun anni e sono il primo ad ammettere di non aver realizzato nulla di particolare nella mia vita, perlomeno nulla che dovrebbe indurre un perfetto sconosciuto a sborsare dei soldi per leggerlo. La cosa migliore che ho fatto, almeno sulla carta, è stata laurearmi presso la facoltà di legge dell’Università di Yale, un’impresa che il J.D. Vance tredicenne avrebbe giudicato ridicola. Ma circa duecento persone fanno la stessa cosa ogni anno e, credetemi, a nessuno verrebbe in mente di leggersi la storia delle loro vite. Non sono un senatore, un governatore o un ex sottosegretario. Non ho avviato un’azienda miliardaria né una ONLUS che ha cambiato il mondo. Ho un lavoro dignitoso, un matrimonio felice, una bella casa e due cani che non stanno mai fermi.”


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J.D. nasce in una famiglia povera della Rust Belt, in una cittadina dell’Ohio che era cresciuta intorno a un’acciaieria e che non ha fatto altro che perdere posti di lavoro e speranze. Ha un rapporto che definirei, eufemisticamente, complesso con i genitori, uno dei quali, la mamma Bev (una scatenata Amy Adams) ha sempre avuto problemi di droga, motivo per il quale egli ha vissuto più con i nonni che non hanno frequentato alcun liceo. Anzi, la sua educatrice prevalente, ma solo dal punto di vista sociale e umano, è proprio la nonna (una irriconoscibile per trucco e invecchiamento, ma notevolissima Glenn Close), che osservando il deterioramento fisico e mentale della figlia, preferì portarlo via dalla casa, e soprattutto dal vagabondare del povero ragazzo da una casa all’altra dei vari occasionali partner della donna. Il modo che sceglie il regista Ron Howard di raccontare la storia della famiglia e in particolare del giovanotto è stato quello di numerosi flashbacks, rimbalzando continuamente (e, attenzione, in maniera alquanto disordinata a mio parere) tra il passato infelice di J.D. e il periodo da studente universitario che se da un alto lo libera momentaneamente dai guai familiari, dall’altro lo distrae di continuo per le richieste della amata sorella Lindsay (brava, Haley Bennett) di correre al paese distante 10 ore di auto perché la mamma è sempre nei pasticci, tra ricoveri rifiutati e promesse al vento di riabilitazione. Per fortuna il giovane ha il conforto e l’incoraggiamento a non desistere da parte della sua fidanzata Usha, di origini indiane (la sempre bellissima Freida Pinto).


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Howard distribuisce molto tempo alle vicende accadute all’adolescente, con frequenti ritorni all’attualità e ci dà modo di capire bene la difficile vita che ha condotto quando era il tempo adatto per ricevere una buona educazione, tempo tutto sprecato per correre dietro alle smanie della mamma o ad imparare i comportamenti errati una volta entrato nelle compagnie sbagliate, che lo indussero a commettere piccoli reati. Sicuramente per lui si rivelarono un modo per sfogare l’infelicità del suo animo e indirizzare la rabbia crescente verso altri obiettivi. Giusto per questo, notando anomalie nel comportamento sociale, la nonna lo porta via a casa sua e lo incita a studiare, perché altrimenti sarebbe diventato come uno dei tanti sbandati dei numerosi villaggi ai piedi dei Monti Appalachi.

Il film poggia quasi totalmente sulle spalle dunque di J.D., interpretato da grande da Gabriel Basso, attore piuttosto in carne (come era da ragazzino) nulla di eccezionale ma bravo a manifestare con espressività le sofferenze, la disperazione, lo sconforto ma soprattutto il grande amore che riversa sulla madre anche nelle peggiori situazioni, donna dalla quale spesso riceve insulti e percosse, dopo delle quali, un minuto dopo, arrivano puntualmente pentimento e abbracci. Vita davvero infelice per un adolescente nel pieno del periodo in cui chiunque a quell’età si aspetta solo affetto e buoni consigli. Solo elogi per questi motivi per un attore che risulta grosso modo sconosciuto ai più, scelto bene da Ron Howard. Come del resto tutto il cast. Le vere mattatrici del film però sono altre due persone: prima di tutto una ingrassata Amy Adams, che ce la mette tutta a interpretare un personaggio non facile, isterico, sguaiato, perfino ingrato e antipatico al pubblico, che non può che parteggiare per il giovane. Purtroppo resta il fatto che con questo ruolo non lascia il segno com’è suo solito, il che è grave. Chi davvero emerge tra tutti gli attori è però una straordinaria Glenn Close che in piena maturità (siamo ormai a 73 anni) sta avendo dei ruoli impegnativi che lei risolve con grande bravura, come in questo caso, in cui, a prescindere dagli addobbi fisici per sembrare malaticcia e più vecchia di quel che è, si strugge in una recitazione memorabile, adattando il suo corpo nella mimesi più totale in una vecchietta tenace e inarrendevole, che l’uomo J.D.non potrà dimenticare mai. La sua vera tutrice.


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La prima sensazione che si prova al termine del film è che qualcosa è mancato, qualcosa è andato storto: sarà forse un montaggio non perfetto e sicuramente migliorabile, sarà una certa confusione che si prova durante, sarà sicuramente quella retorica che difficilmente Ron Howard abbandona nei suoi film pieni di antieroi comuni, di gente popolana, di persone che vivono, come la famiglia Vance, nella pancia dell’America rurale e schiva, falsamente cristiana che difende i labili confini del proprio prato. È l’America dei bianchi di razza ma rossa di pelle, che vota chi grida la superiorità, che cerca di sopravvivere ad ogni crisi economica transumando da uno stato all’altro. Il film è questo canto qui, una elegia molto diversa da quella cantata da Philip Roth nella Pastorale. Il regista ha illustrato bene i personaggi ma la storia un po’ meno e se il film ha fatto scalpore lo deve solo e soltanto alla bravura delle due attrici, altrimenti sarebbe passato inosservato. Di certo, nella sua lunga attività ha fatto di meglio.


Riconoscimenti

2021 - Premio Oscar

Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Glenn Close

Candidatura per il miglior trucco e acconciatura

2021 - Golden Globe

Candidatura per la miglior attrice non protagonista a Glenn Close



 
 
 

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