Effetto domino (2019)
- michemar

- 27 gen 2022
- Tempo di lettura: 5 min

Effetto domino
Italia/HongKong 2019 dramma 1h46’
Regia: Alessandro Rossetto
Soggetto: Romolo Bugaro (romanzo)
Sceneggiatura: Alessandro Rossetto, Caterina Serra
Fotografia: Daniel Mazza
Montaggio: Jacopo Quadri, Matteo Serman
Musiche: Alessandro Cellai, Maria Roveran, Valerio Vigliar
Scenografia: Leonardo Scarpa
Costumi: Marianna Peruzzo
Diego Ribon: Franco Rampazzo
Mirko Artuso: Gianni Colombo
Maria Roveran: Luisa Rampazzo
Nicoletta Maragno: Silvana Rampazzo
Roberta Da Soller: Renata Rampazzo
Olivier Rabourdin: Jean Darnac
Lucia Mascino: Alessandra Guarnieri
Marco Paolini: Vöckler
Andrew C. NG: Mr. HU
Shi Yang Shi: Wang Jian
Stefano Scandaletti: Marcello Fabris
Valerio Mazzucato: Bruno Carraro
Silvio Comis: Angelo Beltrame
Cristina Chinaglia: Paola Beltrame
TRAMA: In un centro termale che sopporta il turismo di massa, un costruttore e il suo collaboratore coltivano un progetto ambizioso: trasformare venti alberghi abbandonati in residenze di lusso per pensionati facoltosi. La mancanza di sostegno finanziario da parte delle banche e degli investitori innescherà però un effetto domino con conseguenze disastrose.
Voto 7

La storia si svolge in una cittadina termale del nordest. Un ambizioso piano di recupero prevede la trasformazione di hotel abbandonati in residenze di lusso per persone anziane. Ma il progetto si ritorcerà contro gli stessi ideatori di questo piano.
Non è la trama di un thriller, è la fotografia acuta e spietata di un panorama realistico e credibile, anzi, che si sarà verificata sicuramente. L’istino documentarista dell’ottimo regista (una vera rivelazione, per chi non lo conosce) srotola gli avvenimenti sempre più pressanti e in rovinosa caduta con la precisione di un documento svelato, scoperto come un drappo che vien giù da un quadro rivelazione.

Fa impressione notare come l’autore Alessandro Rossetto sia entrato nel ventre della regione e del popolo che vi abita, dalla mentalità laboriosa ma affaristica, con tanta precisione e sguardo penetrante. Viene da chiedersi come faccia a conoscere così bene l’ambiente. La risposta si ottiene facile approfondendo le notizie su di lui: egli è nativo di Padova e conosce la zona su cui alza il sipario, con i faccendieri e le brame di imprenditorialità di una delle regioni più intraprendenti d’Italia. Racconta come, in una cittadina termale del nord est italiano, che come si nota immediatamente anche per merito di una sceneggiatura impressionante per la chiarezza, ha visto tempi migliori, dove imperano scheletri granitici di edifici abbandonati, disabitati, un enorme cimitero di elefanti di cemento, un impresario edile e il suo sodale geometra – quindi due rappresentanti del ceto lavoratore di medio livello - avviano un progetto ambizioso: convertire grandi alberghi abbandonati in residenze di lusso per pensionati facoltosi di ogni parte del mondo. Sognano, cercando fondi tra i più abbienti, le banche e perfino finanziatori cinesi con pochi scrupoli, decine di cantieri che modifichino quei palazzoni, che creino una sorta di enorme villaggio per anziani che si possano illudere di campare fino a 200 anni, solo perché in quelle abitazioni comode e lussuose si troveranno così bene che non penseranno mai alla morte. L’importante, e impellente, è trovare i capitali, i finanziamenti necessari per avviare i lavori, poi, siccome andrà per forza tutto bene, arriverà anche l’autofinanziamento e pagare così i muratori moldavi e meridionali, i fornitori, i falegnami per le porte e le finestre.

Quando si cammina sul filo del rasoio e quando si affrontano avventure affaristiche con alti guadagni e altissimo rischio, il fallimento catastrofico e distruttivo (patrimoniale ed esistenziale) è sempre in agguato, ma chi corre a 300 all’ora non ha tempo di controllare i pericoli che si stagliano sulla strada. È sufficiente che un anello, pure piccolo, si rompa e il meccanismo della catena si inceppi e se i capitali investi sono minimi se ne può anche uscire illesi, ma quando il giro d’affari è da capogiro e i finanziatori cominciano ad avere dubbi, il terremoto coinvolge tutti. Specialmente se, come nel caso, la prima a tirarsi indietro è la banca, l’ente che sborsa le maggiori somme e garantisce l’affidabilità dei debitori. Esse, quando interpellate e implicate nel mega affare, spesso sono tirate dentro per le influenze che esercitano personaggi all’interno e all’esterno dell’istituto bancario e quando si accorgono che si rischia troppo chiudono le linee di credito. Franco Rampazzo e Gianni Colombo, sodali fino a quando tutto va bene, entrano in crisi, come le loro famiglie, come le loro figlie. Assieme ai due, senza fondi per pagare i fornitori e i dipendenti, mentre il malaffare cinese preme, anche chi aspetta di essere pagato si trova inevitabilmente in grave difficoltà. È una ripercussione a catena, conosciuto come effetto domino. Crollano tutte le tessere che erano vicine. Crolla tutto, compreso i rapporti affettivi della famiglia, la fede, l’amicizia, la voglia di vivere.

Per raccontare queste smanie, Alessandro Rossetto, come detto già documentarista, usa per i suoi personaggi, principalmente il geometra Colombo e l’ex muratore Rampazzo che sognano di diventare costruttori in grande e la voce narrante di Paolo Pierobon, e ciò sia per l’origine letteraria del soggetto (alla base c’è l’omonimo romanzo di Romolo Bugaro) sia la strategia che il regista ha scelto. Il narratore (è efficacissimo!) tiene un ritmo incessante pur nella calma declamatoria, spiega tutte le pieghe ambientali, esprime l’avidità nascente, ci conduce come una guida nella vita spericolata delle figurine di questo album che brucia. Un’idea del tutto convincente che è molto funzionale sia alla comprensione dell’ambiente sia alla narrazione filmica. Ad un certo punto non lontano dalla fine, la voce cessa e lo spettatore resta in balìa dei personaggi allo sbando, fisico e morale. Contemporaneamente, un’altra chiave indovinata è il commento musicale che domina ma non invade, passando tragicamente da Vivaldi al rock, come per accompagnarci dai sogni sognati agli incubi reali. senza dimenticare la grande efficacia delle scene: alberghi dismessi che vengono sventrati, suppellettili buttate giù dal decimo piano, sequenze insomma che hanno l’intento di colpire l’attenzione, di provocare una reazione e forse anche l’indignazione di chi guarda.

Al suo secondo film, Alessandro Rossetto elabora una storia durissima con l’occhio di chi sa cosa osservare e cosa mostrare al pubblico affinché sia chiaro il discorso di fondo, raggiungendo lo scopo mediante una scrittura graffiante che spella vivi i protagonisti, tutti cattivi: buoni non ce n’è. Cinema indagatore, che si avvicina con i primi piani che deformano le risate sghignazzanti dei praticanti imprenditori del nulla, che allarga le vedute sul panorama veneto e poi stringe affannosamente sui singoli dal fiato corto. Cinema senza fronzoli, che rifiuta ammennicoli inutili perché quella gente lavora tutta la vita e non ha tempo per godersi i soldi che fa. Quando e se li fa.

A volte, lo sguardo di un cineasta abituato a fotografare la vera realtà quotidiana della gente diventa più efficace di un regista premiato che “costruisce” la scena e proprio per questa mentalità, quando la macchina da presa scende e si avvicina, allora si affida allo sguardo al livello di chi lavora e quindi fa parlare tutti i personaggi, persino una donna cinese, con la lingua terra terra, quella con cui la gente di un posto si capisce al volo: il dialetto. Perché solo il dialetto ha le intonazioni giuste, il termine più adeguato, la parola che colpisce. Sono, di conseguenza, tutti naturali, senza enfasi, sembra che non recitino. E quando la voce narrante di Paolo Pierobon smette, non è che non abbia più nulla da dire, sembra invece dirci: Avete visto che avevo ragione con il mio pessimismo iniziale? Anche perché ciò che avviene in quella zona d’Italia non è un fenomeno locale, è una storia planetaria. Perché “queste vicende locali hanno ripercussioni fino nel lontano oriente e l'importante operazione edilizia che qui va fallendo diventa il terreno di lotta inconsapevole dell'uomo contro l'uomo: il film è frutto dell'effetto domino stesso, che traina e incatena tutto e tutti gli uni agli altri e senza saperlo, i personaggi si addentano come cani ciechi, ognuno è sbranato mentre sta per sbranare, non può che sbranare, ma sarà sbranato a sua volta”, come dice il bravissimo regista.






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