Estraneo a bordo (2021)
- michemar

- 29 apr 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Estraneo a bordo
(Stowaway) Germania/USA 2021 fantascienza 1h56’
Regia: Joe Penna
Sceneggiatura: Joe Penna, Ryan Morrison
Fotografia: Klemens Becker
Montaggio: Ryan Morrison
Musiche: Volker Bertelmann
Scenografia: Marco Bittner Rosser
Anna Kendrick: Zoe Levenson
Toni Collette: Marina Barnett
Shamier Anderson: Michael Adams
Daniel Dae Kim: David Kim
TRAMA: Durante una missione su Marte, un clandestino finito a bordo per caso provoca involontariamente danni ingenti ai sistemi di supporto vitale dell'astronave. Con risorse in rapido declino e lo spettro della fine che incombe, una ricercatrice medica si impone come l'unica voce contraria alla logica clinica del suo comandante e del biologo di bordo.
Voto 7

I personaggi sono quattro. Ma dovevano essere solo tre. I conti non tornano.
Sono a bordo di un’astronave che veleggia verso una piccola stazione spaziale dove attraccheranno. È un periodo nel quale ormai si effettuano viaggi su Marte e il lungo tragitto prevede una sosta su quella stazione intermedia, anche per incominciare a fare qualche esperimento. L’equipaggio è composto da Marina Barnett, la comandante, donna esperta e dotata del giusto carisma per una professione così specializzata; poi c’è David Kim, il biologo che deve collaudare la produzione di ossigeno e l’assorbimento dell’anidride carbonica in condizioni estreme come quelle del pianeta rosso mediante l’utilizzo delle alghe, con cui è partito con quantità sufficiente per studiare i risultati; infine c’è ZoeLevenson, una ricercatrice medica che ha anche il compito di medico di bordo, minuta ma coraggiosa, ben preparata, felice e sorpresa di essere stata scelta tra migliaia di concorrenti. Le istruzioni sono chiare e ben impresse nella mente dei tre, che partono e velocemente approdano senza problemi. Poco dopo l’inizio del soggiorno sulla stazione, consci che la loro assenza dalle famiglie e dalla terra sarà lungo ben due anni, con un evento che sfiora il dramma si ritrovano con un ospite involontario a bordo: MichaelAdams, un ingegnere del piano di lancio, rimasto incastrato vicino ad alcune schede elettroniche e rinchiuso dal relativo pannello. È svenuto ed è ferito, ma soprattutto si è ritrovato prigioniero del viaggio, lontano dal pianeta terrestre dove ha lasciato la sorella Ava che, reduce da un grave incidente domestico assieme a lui, accudisce con cura e affetto.

L’anomalo incidente ha però causato un grave guasto, avendo danneggiato parecchio il sistema di ricambio di ossigeno. La perdita della qualità dell’aria a questo punto causa una tale insufficienza che non solo non basta per quattro persone ma forse neanche per le tre destinate come da programma e la soluzione, in quanto dalla base terrestre non riescono a fornirne altre, potrebbe essere quella di recuperare l’ossigeno liquido che è presso i pannelli solari posti al di fuori della stazione, in cima ad un lungo braccio metallico. Oltre ad essere un’operazione faticosa, è molto pericolosa. Il fallimento significherebbe prendere una decisione drammaticamente inevitabile: uno dei quattro deve sacrificare la propria vita, pena la morte di tutti. È evidente: l’ossigeno a disposizione non basta. Chi può andare a riempire le bombole? La comandante deve restare a bordo, l’ospite non voluto non è addestrato e a questo punto restano soltanto Kim e la brava Zoe. Ogni minimo errore costerà altre vittime.

Il regista, americano di adozione ma brasiliano di origine, Joe Penna si era già fatto conoscere in precedenza con il film d’esordio Arctic (recensione), altro soggetto drammatico di sopravvivenza, ancora con pochissimi personaggi: anzi, per la precisione, 1 e mezzo, dove c’era un sopravvissuto di un incidente aereo nel continente artico e una donna da questi ritrovata in cattive condizioni di salute e dove si raccontava di un viaggio ai limiti della resistenza umana per giungere alla salvezza. Ci risiamo, pochi protagonisti per un altro viaggio allucinante e un tentativo estremo per salvare la vita in un deserto non più bianco ma nero come lo spazio infinito. Lì tormente di neve, qui stelle; lì natura selvaggia più forte dell’uomo, qui tecnologia di avanguardia che quando si guasta non serve più a nulla. La tragica differenza è che in questa occasione si presenta preponderante il dilemma morale su una vita da sacrificare per salvare il resto dell’equipaggio. Come si fa a chiedere ad una persona di accettare la morte per la vita degli altri? Come si fa a scegliere e secondo quale criterio? Di grado? di necessità? di importanza? secondo una classifica sociale e umana dei bisogni di ognuno?

All’apice della trama, la situazione mentale è insostenibile, i dubbi, le recriminazioni, le scelte da prendere fanno male a tutti e neanche per un comandante la missione è semplice adottare la soluzione giusta: non è scritta su alcun manuale di volo, anche perché è una condizione che non è prevista perché non doveva accadere. Intanto è accaduta e qualcuno, nel momento più decisivo, quella decisione la deve prendere. È e resta un film di fantascienza ma va aldilà dei soliti film di genere ed offre l’occasione per una riflessione amara, pur se su una eventualità così estrema che forse non è mai stata presa in esame dal cinema in precedenza. Un estraneo a bordo, dice il titolo italiano, ed è forse un termine più adatto dell’originale che recita più seccamente Stowaway, clandestino. Ma è definibile con questo termine un uomo che si ritrova senza volerlo in quel posto? Purtroppo, oggi per noi tutti clandestino indica ben altro significato, quello della necessità, del bisogno, della sopravvivenza di un individuo che volontariamente si imbarca in un’avventura pericolosa per una vita migliore. Nel film di Penna, Michael è un clandestino involontario, è un viaggiatore che non doveva partire, è un astronauta per forza.

Joe Penna e Ryan Morrison sono i due sceneggiatori che avevano preparato lo scritto prima dell’altra regia, ma con il timore che nessun produttore avrebbe voluto rischiare con un regista esordiente per un’opera costosa e azzardata, avevano deciso di puntare prima sull’altro film, che ebbe successo a Cannes, trovando poi slancio e fondi per portare a termine questo più vecchio. Non senza aver parlato prima con dipendenti della NASA, dell’ESA e compagnie privare come SpaceX per poterlo ambientare con la maggior precisione possibile. Film futuristico confezionato con cura, con ottimi attori e con una giusta dose di tensione, come sempre succede con la fantascienza, per giunta, nell’occasione, con l’elemento aggiunto della questione morale. Se tutte le condizioni sembrano credibili e possibili in quel futuro, resta un mistero e poco spiegabile come sia stato possibile che un ingegnere di lancio sia rimasto impigliato nelle strutture elettroniche durante il lancio di un missile che trasporta un’astronave. Rimane un evento molto difficile e poco credibile. Peccato, perché è un’anomalia stridente nell’ambito di una buona sceneggiatura, di un buon film di accettabile gradimento. Sorprende non poco la presenza della brava Toni Colette nei panni della comandante Marina, conoscendola in altri ruoli molto diversi, se la cava egregiamente Daniel Dae Kim, noto per le partecipazioni in Lost e Hawaii Five-0, nella parte del biologo David, notevole la performance di Shamier Anderson per Michael, ma il finale è tutto sulle spalle (esili ma esperte) di Anna Kendrick, la Zoe che assume il ruolo di assoluta eroina.

La regia non mostra, come già accaduto nel film d’esordio, titubanze e incertezze: Joe Penna sa ciò che vuole ed è bravo anche nei frangenti di crisi psicologica dell’equipaggio, mostrando le paure e le frustrazioni dei quattro, Credo che presto lo vedremo ancora in altre buone realizzazioni: questo film gli aprirà più porte di prima.






Commenti