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Fight Club (1999)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 lug 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 31 lug 2019


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Fight Club USA/Germania 1999, drammatico, 2h19'


Regia: David Fincher Soggetto: Chuck Palahniuk (romanzo) Sceneggiatura: Jim Uhls Fotografia: Jeff Cronenweth Montaggio: James Haygood Musiche: Dust Brothers Scenografia: Alex McDowell Costumi: Michael Kaplan


Edward Norton: narratore Brad Pitt: Tyler Durden Helena Bonham Carter: Marla Singer Jared Leto: Faccia d'Angelo Meat Loaf: Robert "Bob" Paulson Zach Grenier: Richard Chesler David Andrews: Thomas


TRAMA: Un ragazzo non riesce più a dormire. Che fare? Presenziare a tutti i corsi terapeutici anti-malattie: lì un pianto lo si rimedia sempre. Poi, nella sua vita, inciampano Marla e Tyler, una donna e un uomo alla deriva, lei alla ricerca di qualcuno o qualcosa che la smuova, lui organizzatore di un Fight Club dove pestarsi a sangue per sentirsi vivi e importanti.


Voto 7,5



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Parafrasando citazioni e proverbi, questo fortunato cult generazionale riporta alla mente frasi come “essere o non essere”, “così è se vi pare”, “non è tutto oro quello che luccica” e così via. David Fincher è il campione assoluto dei finali non solo a sorpresa, direi piuttosto ad effetto, che ti lasciano sconcertato. Seven (altra opera cult del regista) e The Game – Nessuna regola (un buonissimo film purtroppo sottovalutato) erano serviti perfettamente come preparazione mentale per i suoi estimatori: adesso con questi due tizi, alieni dell’umana società, ribalta ogni aspettativa per arrivare al concetto che il finale forse non c’è e forse non c’era neanche l’inizio, probabilmente non c’è neanche il Club! Anzi! E poi, se neanche se ne può parlare evidentemente è una invenzione della nostra mente!


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Siamo davanti ad uno specchio e noi vediamo un altro noi. Eppure, lui, divertito, ci lascia lungo la sorprendente sceneggiatura di Jim Uhls diverse briciole di pane per poter trovare una logica e una via di ritorno, dissemina elementi apparentemente invisibili per capire che non stiamo andando in alcuna direzione ed invece alla fine ci ritroviamo a sorprenderci. Eloquente manifesto ideologico anticonsumistico, il film parte da uno yuppie dal bianco colletto – ancorché nevrotico e insonne - per arrivare ad un sorridente viso tumefatto sopra un torso nudo. L’importante è convincersi che: "Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!... Le cose che possiedi alla fine ti possiedono!"

Quasi un contraltare di Trainspotting.


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Il sorriso beffardo del narratore e le regole ferree del Club dettate dal suo alias tanto “macho” e mefistofelico Tyler Durden contribuiscono a rendere sarcastico e irridente il film, che trasforma un innocente e segreto Club in una vera organizzazione ancora segreta ma sovversiva: che la costituita società tremi pure! Edward Norton e Brad Pitt sono perfetti e solo Helena Bonham Carter poteva vestire i panni di Marla. Il film però è e rimane una operazione fincheriana al 100%. Ma una considerazione va fatta perché obbligatoria, soprattutto dal punto di vista estetico: il mattatore è indubbiamente Edward Norton, dall’inizio alla fine, sia come guida narratrice che come personaggio principale: smorfie, ammiccamenti, occhi di pesce lesso, insonnia, nevrosi, Ikea maniacale, possessore delle suppellettili inutili e frigo pieno di contorni e nulla da mangiare. Ma! Ma quando sullo schermo arriva il mefistofelico multicolore Tyler Durden, Brad Pitt si mangia tutti e ruba la scena: sarà l’abbigliamento, gli occhiali, i gesti iconici delle mani e del corpo, quelle magliette improbabili perfino per un manovale sulle impalcature di un palazzo, sarà quella camminata da saputello incosciente, non so… di certo so che sale in cima al pennone della nave del regista e diventa il padrone assoluto della scena. Fino a quando… fino a quando deve sparire. E il perché è il nocciolo della trama, così imprevedibile che non ci crede neanche lo stesso protagonista-narratore.


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Gran merito va anche ad una sceneggiatura degna di un’opera rock, tanto è ritmata e schizzata: puro punk, come i capelli di Durden, perché… alla fine del film, please, non parlatene con nessuno, perché prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club, seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club!

E via a rompicollo, dall’inizio alla fine!



 
 
 

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