Frantz (2016)
- michemar

- 13 feb 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 24 giu

Frantz
Francia, Germania 2016 dramma 1h53’
Regia: François Ozon
Soggetto: Ernst Lubitsch (film ‘L'uomo che ho ucciso’)
Sceneggiatura: François Ozon
Fotografia: Pascal Marti
Montaggio: Laure Gardette
Musiche: Philippe Rombi
Scenografia: Michel Barthélémy
Costumi: Pascaline Chavanne
Paula Beer: Anna
Pierre Niney: Adrien Rivoire
Ernst Stötzner: dott. Hoffmeister
Marie Gruber: Magda Hoffmeister
Cyrielle Clair: madre di Adrien
Johann von Bülow: Kreutz
Alice de Lencquesaing: Fanny
Anton von Lucke: Frantz
TRAMA: In una cittadina tedesca poco dopo la Prima guerra mondiale, Anna si reca tutti i giorni sulla tomba del fidanzato Frantz, ucciso in Francia. Un giorno Adrien, un misterioso ragazzo francese, porta dei fiori alla tomba e la sua presenza susciterà delle reazioni imprevedibili in un ambiente segnato dalla sconfitta tedesca.
Voto 8

A François Ozon piace sempre scherzare con il suo pubblico, raccontando storie dove nulla è certo e tutto è probabile. In questo bellissimo “Frantz” ci mostra l’Europa dopo la Grande Guerra che fa fatica, ed è ovvio, a dimenticare l’odio verso il nemico: la Francia che non dimentica i suoi morti così come fa la Germania con i suoi e già si vede germogliare nel terreno fertile i presupposti della nascita del nazionalsocialismo che porterà il continente qualche decennio dopo ad un’altra tremenda guerra. In questo contesto storico ecco una storia d’amore troppo presto cancellata dalla morte dello studente Frantz sul fronte e l’apparizione misteriosa di un giovane francese che dice di averlo conosciuto, sconquassando la famiglia del soldato e il ricordo ancora vivo nella mente della bella Anna, la sua fidanzata inconsolabile. Chi è veramente questo Adrien? Cosa è venuto a fare in Germania?

Alternando la bellissima fotografia in bianco e nero con il colore ma al contrario di come usualmente fanno gli altri autori, cioè colorando solo i flashback e i sogni, confeziona un’opera che è l’essenza dei sentimenti e dei risentimenti, dell’amore e dell’odio, persino nella stessa persona. Così accade infatti alla protagonista Anna (una superlativa Paula Beer) e così a suo padre, il dottor Hans Hoffmeister, i quali prima – in maniera però alternata – rimangono attratti oppure sospettosi verso il compito giovane Adrien e poi, capovolgendo l’atteggiamento, lo stimano o provano una forte repulsione dopo la rivelazione della verità. Già, quella verità che nei film di Ozon non si sa mai quando arriva e soprattutto chissà se è la “vera” verità oppure un momento spiazzante delle trame che attirano la sua attenzione, in attesa della reale e definitiva svolta.

Impossibile non andare con la mente al glorioso cinema degli anni tra le due guerre, prima di tutto per la perfetta ambientazione, gli abiti, quella città umida e buia, la splendida fotografia in bianco e nero sfolgorante, e poi per quell’atmosfera misteriosa e austera tipicamente mitteleuropea. Qua e là sembra perfino di scorgere la severità e la compostezza teutonica che caratterizza le opere di Michael Haneke, in particolar modo quando osserviamo l’inflessibilità e la durezza impassibile del dottor Hoffmeister, che pare un parente stretto del rigoroso pastore de Il nastro bianco, di cui si respira la stessa aria prehitleriana. Ma da lì si distacca almeno per il notevole contributo della musica che fa parte integrante di diverse sequenze. A proposito, ma Adrien è veramente un provetto violinista? e Anna rimarrà per sempre a Parigi? Eh, Ozon semina come sempre dubbi e smarrimenti durante il percorso narrativo dei suoi film, sempre con grande sagacia, in perfetta armonia con una sceneggiatura inappuntabile.

Di certo è un film che affascina, che rimane nella mente e negli occhi per molte ore, con la convinzione di aver assistito ad un’opera che ha il sapore del drammatico e del thriller mentale, tra il desiderato e il reale, tra i ricordi che si trascinano nella vita e le speranze di un futuro migliore, specialmente nella bella Parigi degli anni ‘20/’30 felice e spensierata. Invece il nazionalsocialismo è dietro l’angolo e i boccali di birra cominciano ad inneggiare e simboleggiare il nuovo pensiero, mettendo in disparte e in minoranza chi cerca di ricordare che la guerra porta solo morte e distruzione, porta solo la morte dei giovani figli della Patria, la propria e quella degli altri. E chi li manda al fronte? Proprio loro stessi che brindano.

François Ozon, quindi, continua a raccontare vicende mai limpide, mai chiare, sempre con lo sguardo rivolto al mistero e la fa benissimo, anche con il contributo di attori in ottima forma e con una stella raggiante che vedremo ancora nel firmamento e che ha un nome ben preciso: Paula Beer, bella e brava, con un viso che dimostra più anni di quelli effettivi. Splendida! È facile uscire dalla sala innamorati di lei.

Riconoscimenti
2016 - Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia
Premio Marcello Mastroianni a Paula Beer
2017 - Premio César
Migliore fotografia
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regista
Candidatura miglior attore a Pierre Niney
Candidatura migliore promessa femminile a Paula Beer
Candidatura migliore adattamento
Candidatura miglior montaggio
Candidatura migliore scenografia
Candidatura migliori costumi
Candidatura migliore musica
Candidatura miglior sonoro






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