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Fratelli nemici - Close Enemies (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 7 giu 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

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Fratelli nemici - Close Enemies

(Frères ennemis) Francia/Belgio 2018 noir 1h51’

Regia: David Oelhoffen

Sceneggiatura: David Oelhoffen, Jeanne Aptekman

Fotografia: Guillaume Deffontaines

Montaggio: Anne-Sophie Bion

Musiche: Superpoze

Scenografia: Stéphane Taillasson

Costumi: Anne-Sophie Gledhill

Matthias Schoenaerts: Manuel Marco

Reda Kateb: Driss

Adel Bencherif: Imrane Mogalia

Fianso: Fouad

Astrid Whettnall: Cecilie

Sabrina Ouazani: Mounia

Gwendolyn Gourvenec: Manon

Nicolas Giraud: Rémi Rufo

Yann Goven: Fernandez

Ahmed Benaissa: Raji

Nati e cresciuti in una periferia in cui domina la legge del narcotraffico, Driss e Manuel erano come fratelli. Da adulti, hanno però preso strade opposte: Manuel ha scelto di abbracciare la vita da delinquente mentre Driss ha cambiato ogni aspetto della sua esistenza, divenendo poliziotto. Quando il più grande affare di Manuel va terribilmente storto, i due uomini si incontrano nuovamente e si rendono conto di avere bisogno l'uno dell'altro per sopravvivere nei rispettivi mondi.


Voto 7,5


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Fratelli nemici del titolo è chiaramente un ossimoro ma è quello che succede tra due uomini che sono cresciuti assieme nello stesso ambiente, una delle tante banlieue parigine, e che in seguito hanno seguito strade molto diverse. Manuel ha un giro d’affari in stupefacenti nei quartieri periferici di Parigi con un traffico internazionale che parte dall’Africa centrale e transitando da Tangeri, quindi nel Marocco, patria dei quasi tutti i magrebini della zona, arriva a Lisbona e infine in Francia. È cresciuto da giovane bianco per quelle strade con Driss, il suo amico intimo figlio di immigrati che però ha scelto di sparire dalla circolazione e diventare poliziotto e con la faccia che si ritrova, come dice lui, hanno pensato bene di impiegarlo nella squadra narcotici per battere tra i quartieri che ben conosce. In verità erano un trio, c’era anche Imrane, altro amico intimo, ma l’amicizia tra i primi due era più forte, era fraterna. Poi Driss ha abbandonato tutti. Anche i genitori anziani, che in pratica lo hanno ripudiato per aver tradito la famiglia e il passato. Gli affari della zona non sono proprio una gestione di traffico classica con la banda organizzata a piramide, è piuttosto un insieme di cani sciolti, iniziative di piccoli gruppi, ma su tutto l’ambiente veglia l’anziano Raji, a cui non sfugge niente e che controlla ogni cosa.

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Driss (un superlativo Reda Kateb, sempre più bravo, faccia perfetta essendo appunto di origine algerina ma anche un po’ italiana da parte di madre) è diventato un poliziotto esperto e sa come muoversi nella giungla della periferia e sa combinare con quei furfanti buoni compromessi per farsi aiutare nelle indagini, spesso impantanate dalla omertà diffusa. Nel quartiere di origine non mette più piede, perché è considerato da tutti un vero traditore, oramai, un nemico, ma nella sua vita arriva il giorno che deve fare il ritorno forzato: deve proprio ricontattare l’antico amico fraterno dopo che proprio il loro terzo compagno è caduto in un’imboscata da cui Manuel è uscito vivo per miracolo. Non è semplice. Uno rappresenta la legge, l’altro agisce fuori e contro la legge. E difatti l’incontro è durissimo e non preannuncia novità positive. Ma si sa, il lavoro di un poliziotto deve essere paziente e deve saper attendere i tempi giusti.


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Come in una classica tragedia greca, traslata in un polar tesissimo ambientato nella Parigi di oggi, l’obbligato rivedersi fa riaffiorare le loro radici nonostante la forte diffidenza e l’ostilità iniziale, ma anche se con fatica entrambi capiscono che uno ha bisogno dell’altro e devono collaborare, pur con gli enormi rischi che correranno. Come due bestie selvagge, si annusano, litigano, si rintuzzano, rinviano gli appuntamenti. La posta in gioco è alta, la partita che si gioca è importante e sono interessate diverse parti. Bisogna vigilare, le rivalità sono forti e tutti girano con le armi. La guerra, reale e di nervi, è differente a quella storica non essendoci più quel ferreo codice d’onore che regolava con regole severe i traffici illeciti di ogni tipo di merce: i capi erano riconosciuti da tutti i membri della banda e chi sgarrava pagava di persona. Oggi, essendoci piccole gangs, gruppetti di tre o quattro membri, tutto può succedere e nessuno si fida dell’altro. Manuel si fida solo dell’amico Imrane, che però è segretamente e malvolentieri un informatore del vecchio amico diventato agente di polizia, costretto obtorto collo per salvarsi da una pesante condanna. L’abilità di Driss è quella di interpolare tra le sue funzioni e le antiche amicizie, da sfruttare a suo beneficio.


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È un continuo confronto tra le parti. Driss che parla di nascosto con Imrane, questi che intermedia con Manuel, il poliziotto che intrattiene un binario riservato con la moglie di quest’ultimo, Mounia, che nel frattempo si confida solo con Manuel. Nel giro vorticoso delle scene ci sono solo attimi di piccole pause rappresentate appunto dai frettolosi colloqui tra queste parti: ci si fida ma a coppie e non è detto che ognuno possa mettere la mano sul fuoco per l’altro. Nel frattempo, i venditori all’ingrosso e i compratori trattano con gente di vario genere, compreso quelli che i francesi amano chiamare “i gitani”, gente disposta a pagare bene ma di cui è meglio stare distanti. Macchine di lusso, pistole, borse di denaro. Non manca nulla, neanche la diffidenza. I ricordi della gioventù? È acqua passata, è di tanto tempo prima: l’agente della squadra omicidi che chiede a Driss se fosse stato una volta amico di Imrane, lui risponde secco e con un’alzata di spalle “On a grandi au même endroit, pas le même que toi.” Siamo cresciuti nello stesso posto, non quello come il tuo. Questo era il passato, questo è il faticoso presente.


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Il costante buio delle varie sequenze, il commento musicale che accresce le attese e tende i nervi dello spettatore, il crescendo ineluttabile che tira dritto verso il finale non più rinviabile, tutto porta all’inevitabile resa dei conti dopo il momento clou della consegna dei pacchi di stupefacenti tra le bande. È l’OK Corral del polar e molti rimarranno a terra, inevitabilmente. Ne sarà vala la pena per Driss, vedere andare in frantumi gli ultimi legami con la terra di origine? È la dura vita solitaria dei poliziotti, senza radici e amicizie, lui che vive solo con la figlia adolescente. Non sapremo mai nulla di sua moglie. Del passato sappiamo solo che la carta da parati dei vecchi genitori l’aveva attaccata lui ed è ancora lì, sulle pareti di una casa che non può frequentare più.


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Ci sono scene d’azione di così alta tensione che sono degne dei migliori film hollywoodiani, con la macchina a mano che sussulta assieme all’attore, con un frenetico montaggio e cambi di inquadratura, alternando il primo piano e la veduta dall’alto: l’eccellente regista David Oelhoffen, qui al suo terzo lungo, non ci fa mancare nulla e si dimostra ampiamente all’altezza, dirigendo un’opera palpitante dal primo all’ultimo minuto con uno sguardo secco ed essenziale, senza mai trascurare l’aspetto psicologico dei personaggi a cui dedica abilmente la giusta attenzione. Verso questo aspetto la messa a fuoco è ammirevole fino al punto di mostrarci con cura l’identità e la personalità dei personaggi. Alla fine conosceremo benissimo chi sono Driss e Manuel, che tipi erano e come pensano oggi. Mentre scorrono i titoli di coda e mentre udiamo la bellissima Talla Talline Manine di Abdallah Ag Oumbadougou, ci mostra delle foto in bianco e nero che illustrano la gioventù dei tre compagni, sorridenti, ignari del loro destino, ancora lontani dalle angosce dei traffici della periferia parigina. Il titolo di lavorazione era ‘Territoires’, come a marcare una distinzione che è prima di tutto geografica, ma anche di appartenenza e dominio.


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Reda Kateb è straordinario, recita con minimi sguardi, a tratti in sottrazione, con l’angoscia della previsione che conosce in anticipo, da buon poliziotto: un eccellente attore. Credo poi di aver visto il miglior Matthias Schoenaerts che mi sia mai capitato. Il regista David Oelhoffen spero proprio di rivederlo di nuovo all’opera perché mi aspetto che confermi ciò che ha (di)mostrato in questa splendida occasione. “Ho un amico avvocato che vanta tra i suoi clienti diversi trafficanti di droga molto importanti. Ho pensato che sarebbe stato interessante incontrarli per capire come organizzano concretamente le loro esistenze. La maggior parte di loro ha accettato di parlarmi ed è stato lampante il divario tra l'idea che abbiamo della vita del criminale e la realtà di questa, fatta di attese, paure e anche storie d'amore. Ciò mi ha spinto a voler conoscere la prospettiva che hanno i poliziotti che si occupano di antidroga. Ho scelto di ambientare la storia in periferia, nonostante si tratti di un ambiente cinematograficamente usurato, per rimanere fedele alla realtà. Non era di certo mio desiderio rimettere in scena situazioni o contesti già visti altrove. Non ho seguito alcun modello. Ho avuto però riferimenti e influenze. In primo luogo, ho cercato di catturare l'essenza di ciò che sta accadendo in Francia nel 2018, con tutte le sue peculiarità e senza pregiudizi. In secondo luogo, ho tratto ispirazione da ‘Gomorra’ di Matteo Garrone, un film che offre uno sguardo singolare e forte su una realtà locale molto specifica che il regista ha saputo far diventare universale. I due protagonisti devono combattere contro il gruppo che dovrebbe definirli e donare loro un'identità specifica. Mi piace trattare della tensione che si viene a creare tra la libertà individuale e le cerchie a cui apparteniamo. Un territorio (visto l’origine del titolo provvisorio?) geografico disfunzionale come la città può essere al tempo stesso una protezione e una reclusione, un rifugio e una prigione.



 
 
 

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