Georgetown (2019)
- michemar

- 28 giu 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 13 mag 2023

Georgetown
USA 2019 biografico 1h39’
Regia: C. Waltz
Soggetto: Franklin Foer (New York Times Magazine)
Sceneggiatura: David Auburn
Fotografia: Henry Braham
Montaggio: Brett M. Reed
Musiche: Lorne Balfe
Scenografia: Andrew Berry
Costumi: Claire Nadon, Charlene Chuck Seniuk
Christoph Waltz: Ulrich Mott
Vanessa Redgrave: Elsa Brecht
Annette Bening: Amanda Brecht
Corey Hawkins: Daniel Volker
Saad Suddiqui: Zahari
Ron Lea: det. Reid
Michael Miranda: det. Koteras
TRAMA: Ulrich Mott è un uomo influente, di grandi relazioni, conosciuto e amato da tutti a Washington. Quando la ricca moglie novantenne Elsa Brecht viene trovata assassinata, le indagini riveleranno la sua vera natura. Tutti gli hanno creduto, tutti sono stati ingannati.
Voto 6

La caratteristica che ho sempre riscontrato nei personaggi interpretati da Christoph Waltz è che risultano quasi in ogni occasione dei sorridenti antipatici, dei melliflui insopportabili, dei pregevoli inaffidabili, che sia diretto da Quentin Tarantino o Roman Polanski o Tim Burton, per citare i più famosi. Caratteristica acuita poi dal suo accentuato accento anglofono da mitteleuropeo, come per aumentare il dosaggio di uomo di razza superiore ben selezionata. Occhi chiari, mento sporgente e leggermente deviato, denti bianchi che spalanca a frequenti sorrisi, che siano opportuni o meno, specialmente quando deve trafiggere con stilettate lessicali l’interlocutore. Come per confermare questa mia poco autorevole teoria, il nostro sceglie come debutto alla regia (se non si considera un vecchio TV movie tedesco) un soggetto tutto particolare, ove si racconta di un reale personaggio (Albrecht Gero Muth) che per le sue malefatte è finito in galera con una condanna di 50 anni, firmandosi, con una stizza civettuola ben conforme a come si vuole mostrare, semplicemente con C. Waltz. Il film tratta di un uomo che campava di soli espedienti poco o per nulla leciti, di conoscenze mai realizzate, di cariche inventate, di frequentazioni per nulla accadute. Un millantatore come pochi nella storia, dotato di una fantasia e una propensione al raggiro che solo con molto coraggio, direi meglio incoscienza, poteva realizzare ciò che ha combinato nel giro di qualche anno. Una scalata sociale basata su bugie e invenzioni. Ma così ardite che nessuno delle importantissime persone avvicinate da lui immaginava che fossero solo una montagna di chiacchiere. Fino al punto di vestirsi con una divisa militare di un corpo che forse neanche esiste!

Lo spunto per l’operazione romanzata della vicenda è l’articolo The Worst Marriage in Georgetown firmato da Franklin Foer apparso sul New York Times Magazine nel luglio del 2012. Il titolo del film invece si riferisce al lussuoso quartiere posto nel nordovest della città di Washington, quindi cuore pulsante delle attività politiche e diplomatiche degli Stati Uniti, sito lungo il fiume Potomac. Quale posto migliore di questo per poter avere la possibilità di insinuarsi nell’ambiente socio-politico che conta? Conoscere persone vicino agli uomini potenti della terra o magari proprio loro? Dal segretario generale dell’ONU Kofi Annan al segretario alla difesa MacNamara, dagli ambasciatori esteri in America ai grandi finanzieri di livello mondiale come Soros, ai più alti funzionari della macchina del governo USA e di altre nazioni. A Ulrich Mott bastava dire all’interlocutore che avevano un amico in comune (che lui non aveva mai conosciuto ovviamente) o che gli avesse raccomandato di avvicinarsi a suo nome e la trappola scattava, anche data la inaspettata ingenuità dell’altro, che fosse il primo ministro francese o il capo di stato maggiore di chissà quale nazione. Il fatto che lui fosse presente (non invitato) nei ricevimenti più importanti della città era di per sé un biglietto da visita: come potevano immaginare che fosse un semplice imbucato, magari con un badge rubato?

Il piano premeditato era anche eccellente, anche se esposto a facili sospetti ed aveva un punto di partenza efficace: corteggiare una donna anziana, Elsa Brecht, ben introdotta nell’ambiente che conta della capitale americana, vedova, ricca e facilmente abbordabile dal lato affettivo e… sposarla. Bastava essere molto cortese, affabile, disponibile, inventare cariche precedenti, vestire la divisa militare di un esercito mediorientale, con tanto di mostrine di battaglia a cui non aveva mai preso parte e così via. A fantasia scatenata. Fino alla sfrontatezza di chiederle di sposarlo, trascurando i tre decenni di differenza di età, contro il parere della irritata figlia Amanda che cercava inutilmente fino all’ultimo di mettere in guardia la madre, avendo capito perfettamente le intenzioni velleitarie del tipo sospetto. Ma con la sorpresa, nostra di spettatori e lettori della reale storia, che tutti ci cascavano e concedevano la più totale attenzione e fiducia. Tranne solo nei casi in cui qualche persona faceva fatica a credergli, quando, presentandosi come presidente di una società di intermediazione internazionale, proponeva piani di pace e ipotesi di trattati internazionali così arditi e controcorrente che veniva quasi in malo modo allontanato. Ma, attenti, Ulrich Mott non era certo il tipo da demordere e nulla lo scoraggiava, rimanendo a cavallo del mondo creato dalla sua mania di grandezza. Una sola certezza rimane perdurante la visione del film, ma anche al termine: lui era così convincente e così vestito del personaggio che aveva inventato che ormai si era autoconvinto fosse tutto vero, anzi reagiva piuttosto male anche con la anziana signora Elsa, che arrivò perfino a maltrattare, salvo poi rappacificarsi con un gesto gentile a cui l’anziana non sapeva resistere.

La storia ci ha insegnato che questi personaggi diventano anche violenti pur di arrivare al loro scopo e siccome il piano di Ulrich Mott non prevedeva intoppi, l’evolversi della storia e i sospetti che ormai toccavano anche la fiduciosa vecchia moglie portarono all’uccisione di quest’ultima, circostanza che l’attore-regista preferisce non filmare ma affidare alla nostra immaginazione. Persino una volta arrestato come maggior sospettato, il grande millantatore non perse mai la calma e continuò a recitare la parte della persona fraintesa e non riconosciuta, tra lo sconcerto dei due avvocati d’ufficio che non sapevano più come difendere l’accusato risultando molto evidente non solo la colpa imputatagli ma anche lo strano atteggiamento che aveva assunto in tribunale. Semplicemente sconcertante.


Christop Waltz sceglie la strada del racconto a tappe, suddividendo in capitoli la narrazione i cui titoli preannunciano le fasi dell’attuazione del suo diabolico piano e delle funzioni che svolge sia in casa della Brecht dove si è insediato come padrone-maggiordomo, sia nel giro delle amicizie altolocate che si è nel frattempo costruito. Non tutti in ordine cronologico, per cui è necessario essere attenti per ricomporre il mosaico complessivo. Il principale pregio del film è nell’ottimo trio di attori, cominciando ovviamente dall’autore, che, predisposto com’è, si è vestito di un personaggio che gli calza a pennello: ambiguo sin dal primo istante, espressivo nei vari stati d’animo, soprattutto quando recita nei falsi panni dei ruoli che gli servono all’occasione, sempre abile trasformista. Vanessa Redgrave è la signora Elsa Brecht, la donna-passepartout del protagonista, attrice che porta ancora addosso l’antica bellezza e la fierezza di grande interprete di razza. Annette Bening è eccellente nel ruolo della figlia di quest’ultima, Amanda, sospettosa sin dall’inizio delle dubbie e oscure macchinazioni del bellimbusto che ha sconvolto la vita della madre. Dove piuttosto Christoph Waltz manca è nell’operazione complessiva di autore, nel confezionamento del prodotto, troppo piatto in diversi momenti, con una regia semplice e senza guizzi. Ovvio d'altronde che alla sua prima vera regia, per giunta per un prodotto tipicamente hollywoodiano, gli errori e le indecisioni sono largamente perdonabili. Avrebbe, secondo me, dovuto farsi dirigere da un collaudato regista, vuol dire che gli servirà di esperienza. Eppure è una storia davvero particolare, che sembra frutto di totale fantasia tanto è incredibile e quindi, secondo il mio modesto parere, bastava incanalarla nel suo verso naturale aggiungendo qualche colpo di scena, che invece qui sono piuttosto prevedibili. C’è anche da dire, in contrapposizione, che la vicenda, essendo realmente successa, è conosciuta e non deve sorprendere, se perlomeno lo spettatore si documenta in anticipo.
Rimane comunque un buon film e se anche la critica ufficiale ha storto il naso è in ogni caso un’opera discreta, meritando con un po’ di buona volontà la sufficienza.






Commenti