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Girl (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 25 feb 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 7 lug

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Girl

Belgio/Olanda 2018 dramma 1h45’


Regia: Lukas Dhont

Sceneggiatura: Lukas Dhont, Angelo Tijssens

Fotografia: Frank van den Eeden

Montaggio: Alain Dessauvage

Musiche: Valentin Hadjadj

Sceneggiatura: Philippe Bertin

Costumi: Catherine Van Bree


Victor Polster: Lara

Arieh Worthalter: Mathias

Olivier Bodart: Milo

Tijmen Govaerts: Lewis

Katelijne Damen: dott.ssa Naert

Valentijn Dhaenens: dott. Pascal

Magali Elali: Christine

Alice de Broqueville: Lois

Alain Honorez: Alain

Chris Thys: Hannah

Angelo Tijssens: Hendricks

Marie-Louise Wilderijckx: Marie-Louise


TRAMA: Protagonista del film è Lara, adolescente con la passione della danza classica: insieme al padre e al fratellino si è trasferita in un’altra città per frequentare una prestigiosa scuola di balletto, a cui dedica tutta se stessa. Ma la sfida più grande è riuscire a fare i conti con il proprio corpo, perché Lara è nata ragazzo.


Voto 7


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Lara si osserva e controlla il suo corpo adolescenziale ogni sera davanti allo specchio dell’armadio della sua cameretta: il seno è praticamente assente, e non vede l’ora di iniziare la cura ormonale che le prescriverà la dottoressa che la segue. È una perlustrazione visiva e tattile, il suo doppio nello specchio non può tradire e non può mentire: lei è lì, ancora acerba, ancora in attesa e piena di speranza per i suoi futuri cambiamenti. Si aggiusta i biondi capelli che le scendono sul viso, si gira appena di lato e controlla i fianchi, i glutei, la grazia femminea a cui ambisce. Ha 15 anni, è figlia di un tassista e sorella di un bimbo a cui fa da mamma. Se dopo qualche istante cominciano i dubbi, dopo qualche minuto abbiamo la certezza: Lara è nata Victor, biologicamente un maschio, ma la sua testa pensa al femminile, quel corpo non lo sente suo e deve ringraziare prima di tutto un padre che la aiuta in tutti i sensi, poi l’ambiente della città dove risiede (Gand, nelle Fiandre del Belgio) che ha tutti i servizi necessari e adeguati per seguire passo passo l’evoluzione fisica e psicologica i soggetti che necessitano di questo percorso. Lara si specchia ma di fronte vede ancora Victor. Molto presto avvertiamo l’assenza totale della mamma. Semplicemente non c’è, non è contemplata dalla sceneggiatura, perché è proprio Lara che fa le sue veci accudendo il fratellino, aiutando in cucina il padre, discutendo con lui alla pari come se fosse la donna di casa. Non le viene difficile, d’altronde, è e sarà lei la donna di casa, specialmente quando la cura ormonale e l’intervento chirurgico previsto la faranno approdare nello stadio di donna a cui tanto aspira. Tutto ciò che gira intorno a lei, compreso le amiche di scuola che sono perfettamente informate e senza alcun pregiudizio, la guardano e la trattano come ragazza. Perfino la scuola di danza che frequenta la accoglie senza alcun problema. Anzi, la passione e la dedizione per il ballo classico sembra un altro traguardo che serve ad affermare ancor più la sua femminilità.


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Tutto a posto? Tutto facile? Per nulla. Perché se “fuori” di lei ogni cosa è illuminata e gira per il verso giusto, il conflitto che squarcia la calma mentale apparente e illusoria è dentro di lei. È impaziente, non nota miglioramenti, non vede gonfiarsi il seno, l’impegno psicofisico della danza la strema nel corpo esile e longilineo, come ogni ballerina al debutto vede l’impegno come un incubo. Il fisico comincia a cedere, vuole aumentare le dosi dei farmaci, ma ciò non è possibile dato lo sfiancamento dovuto alla palestra di danza. La dottoressa la frena, lo psicologo la controlla con decine di domande, il padre è preoccupato notandola sempre più nervosa e non è più tranquillo. È da sempre l’ultimo confidente delle emozioni intime della sua ragazzina e quindi ha il polso della situazione. Brutto segnale. Il conflitto si tramuta in un transfert verso la danza, in cui ogni prova è la sfida da vincere a caro prezzo, dove è essenziale l’armonia perfetta tra mente e corpo, ed invece la mente vacilla – impaziente della trasformazione, che sarebbe meglio definire affermazione – e il corpo si indebolisce. È un vortice di emozione e reazioni, a volte avvertito da chi la osserva (il padre), molto spesso non compreso (le amiche), che conduce perfino ad un atto sessuale con un ragazzo del condominio, che non è mosso chiaramente dal desiderio erotico, bensì dalla voglia di un vero confronto con l’altro (per lei) sesso: faccio sesso con un ragazzo, dunque sono. Donna. Ma è tutto goffo, non naturale.


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Non è facile gestire un tema delicato come il cambio di sesso, fra le dimensioni inevitabilmente sociologiche, mediche e psicologiche e quella invece più intima e privata della protagonista, in quanto è proprio Lara l’antagonista di se stessa, e il suo corpo, percepito come mascolino da lei, è il suo nemico. Succede infatti che l’ambiente è confortevole e pieno d’amore mentre il fulcro del conflitto è con se stessa, è una guerra al proprio corpo. Lei però non è solo una transgender: è un’adolescente, una ballerina, una sognatrice, una figlia. Usare il corpo come elemento conflittuale è servito al regista a far diventare la sua storia universale. Purtroppo. Lara si rende presto conto che le sue attese stanno per essere deluse, il processo si sta rallentando, il traguardo lo vede lontano e la psiche non regge. Decide per una soluzione draconiana.


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Perché questo film? Perché una storia che dobbiamo vedere con estrema comprensione ci sembra così difficile? Com’è nata questa idea? Ce lo spiega lo stesso giovane regista Lukas Dhont rivelando prima la sua adolescenza e poi il progetto: “Quand'ero bambino, mio padre voleva che fossi un boy-scout. Ogni due settimane, spingeva me e mio fratello ad andare con gli altri ragazzi ad avventurarci nel fango o in campeggio. Entrambi odiavamo quelle attività e farle. Preferivamo di gran lunga recitare, cantare e ballare, perché sentivamo che erano gli unici modi per poterci esprimere liberamente ed essere noi stessi. Si può immaginare quanta confusione sia nata in noi quando molto tempo dopo abbiamo scoperto che si trattava di cose viste come femminili, prettamente per ragazze. Ero un maschio: come potevano allora piacermi? Ho quindi smesso di praticare recitazione, canto e ballo perché non volevo assolutamente che si ridesse di me. Molti anni dopo, quando avevo appena iniziato a frequentare la scuola di cinema, ho letto un articolo su un giornale a proposito di una giovanissima ragazza. Era nata come maschio ma si era convinta di essere in realtà una femmina, nonostante la biologia non fosse di certo d'accordo con lei. Sin da subito, ho provato ammirazione nei suoi confronti e mi sono appassionato alla sua vicenda di giovane temeraria che con coraggio sfida una società in cui genere di appartenenza e sesso sono inevitabilmente connessi. Ed è in quel momento che è nato il film: dalla necessità di dire qualcosa su come percepiamo l'appartenenza di genere, la femminilità e la mascolinità. Ma, soprattutto, dal desiderio di mostrare i dilemmi interiori di una giovane eroina che mette a rischio il proprio corpo per diventare la persona che vuole essere, di qualcuno che ha scelto di essere se stessa a soli quindici anni mentre altri ci impiegano una vita intera per decidere chi essere.”


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La vera scoperta è il giovane Victor Polster, danzatore e attore, il quale fornisce una incredibile (anzi credibilissima) performance, sbalordendo tutti: la camera a mano gli è continuamente addosso e lui restituisce ogni minimo movimento facciale e mentale, con millesimali cambiamenti di sguardi e atteggiamenti, di umori variabili a seconda dell’andamento delle aspettative che gestisce con cura dentro di sé. Eccettuato qualche minimo particolare del fisico (lo sviluppo della muscolatura tipica dei maschietti, spalle appena più larghe delle sue amiche) sul set Victor è una perfetta Lara, incredibile Lara, con piccoli gesti completamente femminili. E tra le cose più positive è senz’altro la completa gestione, pratica e psicologica, in mano al padre Mathias (bravissimo Arieh Worthalter), che sacrifica buona parte della sua vita per assecondare gli stravolgimenti del figlio/a, cambiando casa, scuola, e tante abitudini. Tanto bravo Polster da aggiudicarsi, tra le tante candidature e i premi vinti dal film, anche la miglior interpretazione nella vetrina di Un Certain Regard al Cannes 2018.


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La regia di Lukas Dhont è più che sufficiente e sta soprattutto attenta a fotografare quelli che erano gli intenti di base e senz’altro raggiunge questo obiettivo. Essendo un film prodotto nel nord Europa non ci si deve meravigliare se è stato coraggioso e banalmente sincero, con i meriti divisi tra Dhont e produzione, ma è inevitabile pensare che questo film in Italia non avrebbe mai visto la luce. La nostra nazione rimane dominata da una politica fin troppo bacchettona e se con un governo di centrodestra sarebbe stato impossibile, altrettanto sarebbe successo con gli oppositori di centrosinistra, perché in ogni caso alta si sarebbe alzata l’indignazione di un argomento così apertamente transgender, termine che fa venire l’urticaria a tanti politici. Invece di considerare il problema reale che c’è e che sempre ci sarà, dato che quando – frase troppo usata e quasi anestetizzante – un giovane si accorge di vivere in un corpo sbagliato l’errore più grave è quello di metterlo in difficoltà e negargli una vita pacifica con sé e con gli altri.


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Esaltante la prova del giovane Victor Polster, ma un elogio a chi ha avuto l’idea di realizzare questo bel film fiammingo di formazione.


2018 - Festival di Cannes

Miglior interpretazione “Un Certain Regard” a Victor Polster

Queer Palm

Caméra d'or per la miglior opera prima

Premio Fipresci “Un Certain Regard”

2019 - Golden Globe

Candidatura per il miglior film straniero

2018 - European Film Awards

Miglior rivelazione

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior attore a Victor Polster



 
 
 

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