Gli abbracci spezzati (2009)
- michemar

- 3 mag 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

Gli abbracci spezzati
(Los abrazos rotos) Spagna 2009 dramma 2h7’
Regia: Pedro Almodóvar
Sceneggiatura: Pedro Almodóvar
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: José Salcedo
Musiche: Alberto Iglesias
Scenografia: Antxón Gómez, Víctor Molero
Costumi: Sonia Grande
Lluís Homar: Mateo Blanco / Harry Caine
Penélope Cruz: Magdalena “Lena” Rivero
Blanca Portillo: Judit García
José Luis Gómez: Ernesto Martel
Rubén Ochandiano: Ray-X
Tamar Novas: Diego
Ángela Molina: madre di Lena
Chus Lampreave: portinaia
Kiti Mánver: Madame Mylene
Lola Dueñas: lettrice di labbra
Mariola Fuentes: Edurne
Carmen Machi: Chon
Rossy de Palma: Julieta
Alejo Sauras: Álex
TRAMA: Un uomo scrive, vive e ama immerso nell'oscurità. Quattordici anni prima un incidente di macchina lo ha lasciato cieco e ha ucciso Lena, l'amata compagna di vita. Il suo pseudonimo è Harry Caine, professione sceneggiatore, ma il suo vero nome è Mateo Blanco, professione regista. Dopo l'incidente l'uomo decide di convertirsi nel suo stesso pseudonimo, per continuare a svolgere l'unica professione che la sua nuova condizione fisica gli permette. Ma un altro incidente torna a toccarlo da vicino, costringendo Harry a svelare e rielaborare la sua storia.
Voto 6,5

Siamo in un film di Pedro Almodóvar e quindi passione, ossessione, ricchezza, gelosia, famiglia, senso di colpa e creatività. Tutti gli ingredienti per un dramma sanguigno, o meglio un melodramma. Più esattamente siamo a Madrid, dove vive un uomo che si fa chiamare Harry Caine (ma è una crasi tra personaggi di Orson Welles, Harry Lime e Citizen Kane? Oppure una tra il mitico personaggio Harry Brown e l’interprete Michael Caine? Chi lo sa!), che è uno sceneggiatore cieco assistito da Judit e dal di lei figlio Diego. Il passato arriva di corsa quando Harry viene a sapere della morte di Ernesto Martel, un ricco uomo d'affari e produttore dei suoi film da regista, e proprio il figlio di questi viene a fargli visita. In una serie di flashback degli anni '90, vediamo Harry, che allora si chiamava Mateo Blanco, un regista al lavoro che si innamora dell'amante di Ernesto, Lena, che la lancia nel film, che l’altro finanzia. Il produttore è geloso e ossessivo, tanto da mandare il figlio a filmare il set, a spiare quindi Lena e Mateo e a dargli i filmati quotidiani. E a Judit non piace Lena, per ragioni che verranno esplorate.

Da notare anche il nome del giovane presentatosi, il figlio di Ernesto Martel, che, disprezzando la memoria del padre, ha cancellato il suo cognome con una X: Ray-X. Anche questo particolare ha un suo perché. Contatta colui che ora è solo scrittore per scrivere la sceneggiatura di un film che distrugga la vita dell’odiato padre, un uomo molto potente, col quale ha avuto un rapporto molto complicato. Harry rifiuta e, nonostante non possa vederlo, lo riconosce e a questo punto molti ricordi tornano a galla. La curiosità di Diego spinge l’uomo a raccontargli la sua storia d'amore con Magdalena, conosciuta da tutti come Lena, iniziata in quegli anni, quando lei era prima la segretaria e poi l’amante del produttore, di come si innamorarono sul set, una volta assunta come attrice, e cosa lo abbia spinto ad abbandonare il nome di Mateo Blanco.

Il film si apre con una scena suggestiva. Lo scrittore cieco (Lluis Homar) è accompagnato a casa da una giovane donna che si è offerta di leggergli il giornale. Mentre siedono l'uno di fronte all'altro, lui le chiede di descriversi. Di che colore sono i suoi occhi? Di che colore sono i suoi capelli? Cosa indossa? Poi chiede se può “guardare” con le mani ed allora le sue esplorazioni iniziano con i capelli, si muovono sul suo viso e finiscono con i suoi seni. La sequenza – tipicamente almodovariana nel suo erotismo - è efficace nella sua economia come un modo per presentarci Harry: un uomo gentile di mezza età che cerca il piacere dove può trovarlo senza essere, come si dice oggigiorno, un predatore. Un tempo regista che usava il suo vero nome, Mateo Blanco, egli aveva iniziato a nascondersi dietro il suo pseudonimo dopo gli eventi del 1994 che nel film sono raccontati, appunto, in flashback e coinvolgono quell’ultimo film chiamato Ragazze e valigie, con protagonista quella che è stata il suo vero amore della vita, Lena (Penelope Cruz), film prodotto dal suo amante geloso, il ricco e potente Ernesto Martel (Jose Luis Gomez).

Come accade frequentemente nel cinema, c’è ancora un film nel film, che si sovrappongono, che coincidono nei destini, che si completano a vicenda: sprazzi dell’attualità frammisti a sprazzi del girato nel girato. Una sorta di autobiografia che si riflette – perché no – nella vita di Pedro Almodóvar, che qui sicuramente si fa rappresentare da un protagonista ammalato, proprio come il nostro regista che aveva appena attraversato un periodo non pienamente felice della sua salute. Ed allora la trama si traduce nella serie dei ricordi quando il protagonista ricostruisce frammento dopo frammento la sua passione per l’attrice e compagna, il gravissimo incidente in cui lui resta cieco e Lena muore. Ricordo che, nonostante sia ormai sepolto nella mente, ha fatto da spartiacque nella sua vita con un prima e un dopo tragico e un cambio di identità. Un incidente che è anche una transizione, come questo film che sicuramente rappresenta la medesima figura nella via artistica dopo i grandissimi successi che hanno segnato la carriera del regista de La Mancha, che solo recentemente è tornato a parlare di sé con i bellissimi Dolor y gloria e Madres paralelas.

Come piace fare a lui, sulla pellicola ama specchiarsi e riflettersi, e riflettere sulle implicazioni che questa arte comporta, ma sempre attorniandosi di tanti personaggi sempre interpretati dagli attori e soprattutto le attrici che lo hanno accompagnato in questo percorso, ad iniziare da Lluís Homar che ha partecipato a diversi suoi film, oppure Rossy de Palma e Ángela Molina, ma in particolare, e su di tutte, Penélope Cruz, qui al suo quarto lavoro con il regista. Musa costante ed essenziale del suo cinema, anche in questa occasione, saputa frenare nella solita calda ed accogliente esuberanza, riempie lo schermo con la sua bellezza e bravura.
Gli abbracci dei cari si spezzano e la vita corre avanti, incurante come i fotogrammi di una pellicola. Non restano che i ricordi.
Il film ha forse troppi buchi che Almodóvar riempie tutti con il flashback, e inevitabilmente ci si rende conto che è più un puzzle che un racconto lineare. Di certo non è, a mio parere, tra i suoi migliori.
Riconoscimenti
Golden Globe 2010
Candidatura miglior film straniero






Commenti