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Gosford Park (2001)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 feb 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 23 mag 2023


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Gosford Park

USA/UK/Italia 2001 thriller drammatico 2h17’


Regia: Robert Altman

Sceneggiatura: Julian Fellowes

Fotografia: Andrew Dunn

Montaggio: Tim Squyres

Musiche: Patrick Doyle

Scenografia: Stephen Altman

Costumi: Jenny Beavan


Michael Gambon: Sir William McCordle

Maggie Smith: Constance, Contessa di Trentham

Kristin Scott Thomas: Lady Sylvia McCordle

Camilla Rutherford: Isobel McCordle

Charles Dance: Raimond, Lord Stockbridge

Geraldine Somerville: Louisa, Lady Stockbridge

Tom Hollander: Anthony Meredith

Natasha Wightman: Lady Lavinia Meredith

Jeremy Northam: Ivor Novello

Bob Balaban: Morris Weissman

James Wilby: Freddie Nesbitt

Claudie Blakley: Mabel Nesbitt

Laurence Fox: Lord Rupert Standish

Trent Ford: Jeremy Blond

Ryan Phillippe: Henry Denton

Stephen Fry: ispettore Thompson

Ron Webster: Dexter

Kelly Macdonald: Mary Maceachran

Clive Owen: Robert Parks

Helen Mirren: Mrs. Wilson

Eileen Atkins: Mrs. Croft

Emily Watson: Elsie

Alan Bates: Jennings

Richard E. Grant: George

Derek Jacobi: Probert

Sophie Thompson: Dorothy


TRAMA: Inghilterra primi anni '30. Sir William McCordle e sua moglie Lady Sylvia invitano alcuni parenti ed amici per un week end in campagna. Tra sfarzo e relax un delitto.


Voto 8

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A Gosford Park, bellissima tenuta di campagna, Sir William McCordle e la moglie Lady Sylvia organizzano una festa destinata a durare tutto il weekend. Una contessa, un eroe della Prima guerra mondiale, un idolo delle folle e il produttore americano dei film di Charlie Chan sono solo alcuni tra i tanti ospiti che affollano la villa. Tutto sembra procedere per il verso giusto, fino a che non viene commesso un omicidio.

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Dopo una lunga e gloriosissima carriera di grande regista, soprattutto con film cosiddetti corali (e questo ne è un ennesimo e magnifico esempio), Robert Altman, a distanza di 44 anni dall’esordio e ormai prossimo alla fine (mancheranno solo altri due film) ci dimostra ancora una volta le sue innate doti di grande narratore capace di spiegare come, senza tentennamenti e con abilità non semplice da trovare nella maggior parte dei registi, si possa tenere assieme dozzine di personaggi in un’unica storia senza mai eccedere o sminuire ogni storia personale e il carattere di ognuno di loro, portandoci a conoscerli bene uno ad uno alla fine della visione. Tutto ciò non è difficile, è praticamente quasi impossibile se non si hanno le doti di Altman. Linee narrative sovrapposte, dialoghi contemporanei, quasi una narrazione libera ed improvvisata che invece è organizzata nei minimi particolari, non con un canovaccio come sembra bensì con un copione scritto con cura, questa volta basato su un soggetto suo e di Bob Balaban e con la sceneggiatura di quel genio riconosciuto di Julian Fellowes, qui Premio Oscar, autore della miniserie di gran successo chiamata Downton Abbey, ripetendosi con la trasposizione al cinema del primo film ed il secondo.

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Gestendo quindi tutti i personaggi della trama (basa leggere con attenzione il cast e quanti attori di fama lo compongono) Robert Altman compone questo complesso affresco di personaggi e di numerose trame che aprono una finestra su quel mondo e danno una chiara visione della complessità del sistema di classe britannico, per non parlare dei numerosi conflitti all'interno di una grande famiglia privilegiata e tra i molti servitori che custodiscono gelosamente le proprie posizioni nell'ordine sociale moribondo. 14 ai piani alti della nobiltà e 20 nei piani bassi della servitù. Egli, con enorme capacità e grande efficacia, fa però sembrare tutto assolutamente facile da esporre, così, senza sforzo, come nelle altre occasioni, dando perfino l’impressione che la sua macchina da presa stia solo casualmente catturando momenti rivelatori al volo, semplicemente come un osservatore che vaga attraverso questo ricevimento in una casa di campagna per un piacevole fine settimana.

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E poi, quando meno ce lo possiamo attendere, soprattutto in un’occasione del genere (non è così che succede, per esempio, tanti anni dopo in Cena con delitto - Knives Out?), tra le piccole rivelazioni personali, scopriamo gradualmente oscuri segreti di famiglia quando il patriarca viene trovato assassinato nella biblioteca. Ci sono così tanti strati e così tanti in corso tutti assieme, che il tono arioso, la leggerezza del tocco, sembrano miracolosi. Questo è un regista al top della sua forma, che porta a frutto tutto ciò che ha imparato in una carriera lunga mezzo secolo. Altri registi (quelli che oggi riteniamo i suoi discepoli) che tentano questo tipo di narrazione ci danno sempre l’impressione che facciano salti mortali per giungere agli stessi risultati (solo qualcuno però sa trarre beneficio dalle sue lezioni, vedi il magnifico Magnolia del mio preferito Paul Thomas Anderson), ma Altman lo fa sembrare così facile che ti immergi nella narrazione senza renderti conto di quale incredibile quantità di lavoro deve essere stata impiegata per creare questa impressione di naturalezza.

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Nel bel mezzo (anche nel senso del momento temporale del film), quindi, di questa sfarzosa e classica riunione di parenti e conoscenti, esplode il giallo e contemporaneamente diventa un saggio sulla crudeltà dei rapporti di classe – alta e bassa, nobili e servitori – mescolando veleno e garbo, maledizioni ed eleganza. In questa trasferta inglese per un autore così americano, egli non è interessato tanto al classico whudonit, che pure lo è, quanto appare invece molto più affascinato dalla minuziosa osservazione delle relazioni sociali, a come ipocritamente questa gente ami indossare una seconda maschera sul proprio viso. E tutto avviene con duelli a punta di fioretto, in pieno stile teatrale, sotto l’occhio vigile e attento del suo obiettivo, pedinandoli per estrarre da loro possibilmente solo il peggio. È sicuramente un gran divertimento per autore di immagini e per uno scrittore andare a vivisezionare ferocemente quella gente. Ma anche per noi spettatori.

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Dire che il cast è di lusso è quasi sminuente e il regista mescola ad arte preparazioni ed estrazioni artistiche molto differenti (essendo la maggior parte del cast fatto di attrici e attori britannici, ma ce n’è tanti che vengono dagli USA). Difficile fare la classifica tra i più o meno bravi, è un festival di capacità recitativa che va divisa tra esperti anziani e giovani prorompenti, facce ciniche ed altre pronte a difendersi per attaccare. Altman si diverte anche a tessere intrighi e sotterfugi sulla base di un’apparente perdita d’identità, che è solo un trucco dei personaggi, anzi, per lui, è solo il pretesto per scavare ancora più a fondo sull’esistenza intima delle pedine coinvolte. E quindi ecco l’esposizione della superficiale Lady Sylvia; il riscatto della cameriera Elsie; lo strazio di Mrs. Wilson. E chissà, forse il vero fiore all’occhiello sono le stoccate sprezzanti di Lady Trentham (una superba Maggie Smith) ai danni del divo Ivor Novello: lei, quintessenza della snob che non frequenta i cinematografi, sbandiera allietata i disastrosi incassi dei film da lui interpretati. E lui di ripicca, al momento dell’arrivo, “Questi sono i personaggi che di solito interpreto”, riferendosi al parterre da puzza sotto il naso che lo accerchia. Oppure la cameriera Elsie (Emily Watson): “Quando un uomo così sposa una di ceto inferiore, non ha abbastanza cervello o soldi.”

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L'intero cast è superbamente impeccabile. Con il passare dei minuti, siamo trascinati da un vero e proprio giubilo di recitazione e regia: un’opera essenziale che mescola l’arte del cinema e quella del teatro pungente.

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2002 - Premio Oscar

Migliore sceneggiatura originale

Candidatura al miglior film

Candidatura alla migliore regia

Candidatura alla miglior attrice non protagonista a Helen Mirren

Candidatura alla miglior attrice non protagonista a Maggie Smith

Candidatura alla migliore scenografia

Candidatura ai migliori costumi

2002 - Golden Globe

Migliore regia

Candidatura al miglior film commedia o musicale

Candidatura alla miglior attrice non protagonista a Maggie Smith

Candidatura alla miglior attrice non protagonista a Helen Mirren

Candidatura alla migliore sceneggiatura

2002 - Premio BAFTA

Miglior film britannico

Migliori costumi



 
 
 

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