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Grazie a Dio (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 1 mar 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Grazie a Dio

(Grâce à Dieu) Francia/Belgio 2018 dramma 2h17’


Regia: François Ozon

Sceneggiatura: François Ozon

Fotografia: Manuel Dacosse

Montaggio: Laure Gardette

Musiche: Evgueni & Sacha Galperine

Scenografia: Emmanuelle Duplay

Costumi: Pascaline Chavanne


Melvil Poupaud: Alexandre Guérin

Denis Ménochet: François Debord

Swann Arlaud: Emmanuel Thomassin

Éric Caravaca: Gilles Perret

François Marthouret: cardinale Barbarin

Bernard Verley: padre Bernard Preynat

Josiane Balasko: Irène

Martine Erhel: Regine Maire

Hélène Vincent: Odile Debord

François Chattot: Pierre Debord

Julie Duclos: Aline Debord

Frédéric Pierrot: capitano Courteau

Aurélia Petit: Marie Guérin

Jeanne Rosa: Dominique Perret


TRAMA: Alexandre vive a Lione con la moglie e i figli. Un giorno, scopre per caso che il prete che abusava di lui quando era tra gli scout officia sempre a contatto con i bambini. Inizia allora la sua personale battaglia con l'aiuto di François ed Emmanuel, anch'essi vittima del sacerdote, per raccontare ciò che il prete ha fatto loro soffrire. Le ripercussioni e le conseguenze delle loro confessioni non lasceranno però incolume nessuno.


Voto 7,5


Ci sono film di cui risulta soggettivamente difficoltoso iniziare a scrivere per un dilettante come me: vuoi per la complessità dell’argomento, vuoi per l’elevata qualità tecnica, vuoi per la regia coraggiosa e innovativa dell’autore, o semplicemente perché chi si accinge ha problemi ad esprimere bene le sue riflessioni. Il caso in oggetto è un po’ più particolare, essendo questo film attinente ad un gravissimo fenomeno che si trascina forse da sempre nella Chiesa Cattolica (in maiuscolo per rispetto). Ebbene, provo non poche difficoltà ad esprimermi in merito al film perché nell’immediato mi ha quasi scioccato. Mi attendevo emozioni non facili da superare durante la visione conoscendo il contenuto, ma non immaginavo che avrei avvertito reazioni come quelle che ho provato, in quanto ciò che si racconta, anche con particolari agghiaccianti, va al di là di ogni attesa. Tutti i reati di natura sessuale sono insopportabili ma ciò che riguarda le violenze domestiche e la pedofilia credo che vada oltre ogni sopportazione psicologica. Se poi trasportiamo questa orribile situazione nell’ambito clericale è inutile affermare che ci troviamo ai limiti del concepibile. Sono decenni che i media mondiali pubblicano periodicamente articoli in merito ad abusi subiti da bambini e ragazzini nel cerchio delle curie, durante le gite, dopo le funzioni religiose, durante i campi da boyscout. Episodi vergognosi che vengono spesso taciuti dalle vittime per vergogna o per scarsa comprensione degli eventi, data l’età di chi li subisce. Oppure, e ciò succede più frequentemente, la curia vescovile e tutto il mondo ecclesiastico o peggio ancora più in alto, il Vaticano, riescono a mettere a tacere le voci e le accuse. Come dice un avvocato nel film “È una organizzazione nata secoli fa” e quindi praticamente potentissima e inattaccabile.


“Grazie a Dio, la maggior parte dei fatti sono andati in prescrizione” afferma impunemente il cardinale Barbarin nella conferenza stampa in cui cerca di rimediare alle tremende accuse che hanno aperto una pesante inchiesta della polizia a carico di un prelato, padre Bernard Preynat, reo confesso degli abusi dopo le denunce degli uomini che all’epoca dei fatti erano degli innocenti adolescenti che frequentavano la sua parrocchia e che partecipavano ai campeggi assieme a lui. “Grazie a Dio”… locuzione appena rimangiata su protesta di un giornalista presente, ma che rappresenta il pensiero intimo del cardinale che stava cercando di mitigare le accuse verso il prete suo sottoposto e per salvare la propria pelle per aver nicchiato in quegli anni alle prime denunce e non aver mai preso seri provvedimenti, se non quelli di allontanare in altra parrocchia il padre, che ovviamente continuava a perpetrare il suo comportamento criminoso. Magari per poi tornare sul luogo dei primi misfatti come se nulla fosse accaduto. “Grazie a Dio”… è un lapsus freudiano che la dice lunga sulla mentalità omertosa del clero in merito a questi fatti.


Conosciamo bene il cinema di François Ozon, fatto da sceneggiature da commedia drammatica che virano sempre nel thriller psicologico ed invece stavolta c’è poco da camuffare, non c’è alcun raggiro psicologico su cui impiantare una delle trame preferite dal regista francese, non ci sono sorprese. I fatti sono chiari sin dall’inizio: ciò che ci sconvolgerà piano piano è il disvelamento degli orribili particolari che i bambini di una volta sono invitati a raccontare, ricordi che alcuni avevano messo da parte nel posto più recondito del loro cervello per non soffrirne più, altri che invece trascinavano con sé come fardelli pesanti e ingombranti, che si affacciavano periodicamente condizionando la vita sociale. Fino ad arrivare all’apice, al caso di Emmanuel, la cui vita era diventata un disastro totale, con attacchi di epilessia, problemi fisici di natura sessuale, vita di coppia perennemente instabile e nessuna voglia di raccontare il suo passato di chierichetto. Tra le varie figure protagoniste della storia e delle denunce, quella di Emmanuel è la più complessa e la più difficile da interpretare, nelle mani del bravissimo Swann Arlaud, precedentemente apprezzato e premiato come miglior attore protagonista con il César 2018 in Petit paysan - Un eroe singolare (recensione) e appena vincitore del César 2020 qual miglior attore non protagonista per questo film. Un ruolo sofferto, con molteplici problematiche sociali e scolastiche che lo portano ad una vita irregolare con rapporti traballanti con le donne e il padre, colpevole di averlo trascurato. È anche quello che alla fine del film è ancora solo nella vita, mentre ognuno, dopo il notevole impegno per portare avanti le denunce davanti all’opinione pubblica e alla polizia, ritorna nel suo alveo familiare per continuare la vita di sempre: no, lui è l’unico che va via da solo.


Oltre ai vari personaggi maschili attorno a cui gira l’intera vicenda mediatica e d’indagine, la sceneggiatura pone in risalto anche le figure che sembrano solo di contorno ma che invece hanno il loro peso psicologico e di sostegno: le mamme. Le mamme degli ex ragazzi (Josiane Balasko e Martine Erhel), di François e di Emmanuel, due donne anziane che non si tirano indietro, che hanno sofferto quando ascoltavano sconcertate le confidenze dei figlioletti e che oggi li assecondano nella battaglia legale e di giustizia. Sono sempre lì ad accoglierli, ad aiutarli, a confortarli, a guardarli dritto negli occhi come perire “sono qui”, persino a fare da segretarie per raccogliere ulteriori testimonianze che arrivano da tante parti del Paese. Sì, perché chi sta organizzando tutto, François, che non ha altro scopo che chiedere giustizia contro la Chiesa che si è resa complice del silenzio sui tanti misfatti, lancia un’idea che si rivela efficace e di gran successo: un sito web per accentrare e mettere on line a disposizione di tutta l’opinione pubblica i racconti personali di tutti quelle persone che dopo tanti anni si decidono di apportare la loro testimonianza e la loro tremenda esperienza. Un exploit mediatico inizialmente insperato, dato il comprensibile riserbo che molti avevano in merito alle loro incresciose vicende, che riesce a dar maggior vigore e clamore all’iniziativa e far risaltare con un’eco enorme lo scandalo che si trascinava da decenni e decenni. La polizia porterà avanti con forza le indagini rigorose e tutte le storie confluiranno nelle aule di tribunale. La storia – non dimentichiamo che questo film È di finzione, ma È basato su fatti realmente accaduti – non finisce bene e ciò non costituisce spoiler in quanto è Storia, ma quello che fa impressione è, come descritto più su, come il cardinale cerca di appannare la realtà per poter coprire le vergogne rivelate sul conto non solo di padre Preynat ma anche quelle di tutti gli altri casi simili.


Mentre osserviamo gli uomini tornare soddisfatti alla loro vita di sempre, Ozon ci propone prima dei titoli di coda le sconcertanti conclusioni della storia che ci ha raccontato. Leggiamo:


“Padre Preynat beneficia della presunzione di innocenza. Non è stata fissata alcuna data per il processo.

Il 4 luglio 2019, il tribunale ecclesiastico lo ha ridotto allo stato laicale.

Il 7 marzo 2019, il cardinale Barbarin è stato condannato a 6 mesi di reclusione con condizionale per non aver denunciato le aggressioni sessuali su minori di 15 anni. Ha presentato ricorso ed è stato presunto innocente.

Il 3 agosto 2018 la prescrizione delle maggior parte delle vittime è passata da 20 a 30 anni.”


Mentre la consueta perfetta regia di François Ozon si dimostra come sempre efficacissima, egli riesce a tenere sempre alto il livello dell’attenzione dello spettatore, con un ritmo che mantiene il passo costante e senza cali, sfruttando anche stavolta in maniera adeguata il suo istinto che trasforma tutto in thriller mentale, nonostante le due oltre due ore della durata del film. Da vedere tutto d’un fiato in apnea e colmi di indignazione. Un film perfino scarno e secco, pur se corale, scritto e diretto con grande acume, che sa scoprire le pulsioni intime ed esistenziali dei tre uomini al centro della scena. Il cast risulta adatto e ben scelto dall’autore tra attori di fisico e espressività differenti, per cogliere giustamente le diversità delle vittime delle violenze: bravi tutti gli attori, molto efficaci e se emerge il premiato Swann Arlaud è solo merito del suo modo di offrirci il non facile ruolo sofferto di Emmanuel, il più problematico dei personaggi, anche se addirittura compare in scena solo nella seconda metà del film, che diventa però tutto suo da quel momento in poi. Bravi comunque anche Melvil Poupaud (Alexandre, il primo a muoversi) e Denis Ménochet (François), mentre a Frédéric Pierrot tocca fare ancora una volta il poliziotto.


Orso d’Argento a Berlino 2019, 8 candidature ai César 2020, di cui un César a Swann Arlaud, tutto meritato.



 
 
 

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